Incompatibilità di uno dei componenti del collegio e revocazione delle sentenze della Cassazione
02 Dicembre 2022
Massima
In tema di revocazione di una sentenza della Corte di Cassazione, l'incompatibilità di uno dei cinque componenti del collegio decidente, non essendo qualificabile quale svista percettiva rilevante ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c., non integra un errore revocatorio, né è causa di nullità della sentenza impugnata. Il caso
Pronunciata dalla Suprema Corte sentenza di rigetto del ricorso per cassazione, il soccombente proponeva avverso la decisione revocazione ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c., per “errore di fatto” della sentenza impugnata. A base dell'istanza di revocazione si osservava che il presidente del collegio deliberante non aveva ritenuto necessario astenersi dal decidere nonostante la denuncia-querela depositata dal ricorrente nei suoi confronti, così violando l'art. 51 c.p.c. Sulla base di tale circostanza, il ricorrente articolava dieci motivi di revocazione sostenendo che, in conseguenza del grave conflitto di interessi tra il ricorrente e il presidente del collegio, quest'ultimo non aveva censurato l'operato dei giudici del primo e del secondo grado. La questione
Viene così sottoposta alla Suprema Corte la questione attinente alla configurabilità dell'incompatibilità di uno dei componenti del collegio decidente quale “errore di fatto” revocatorio riconducibile al combinato disposto degli artt. 391-bis e 395, n. 4, c.p.c. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte, con la decisione in commento, ha risolto negativamente la questione circa la configurabilità della incompatibilità di uno dei membri del collegio decidente come motivo di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione. Nello specifico, la Corte ha affermato che la dedotta incompatibilità, seppur accertata, di uno dei cinque componenti del collegio decidente non integra la fattispecie di cui all'art. 391-bis c.p.c. e, pertanto, non costituisce causa di revocazione, né è causa di nullità della decisione adottata. Osservazioni
La disciplina della revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione presenta molteplici profili peculiari rispetto alla disciplina generale di cui agli artt. 395 e ss. c.p.c. che ne giustificano una trattazione autonoma. L'art. 395 c.p.c., nell'identificare i provvedimenti impugnabili per revocazione, fa riferimento esclusivamente alle sentenze pronunciate in grado d'appello od in unico grado, non anche alle sentenze o agli altri provvedimenti comunque pronunciati dalla Corte di Cassazione, la cui revocabilità risultava, dunque, originariamente preclusa dal codice. L'espansione dell'istituto della revocazione anche alle pronunce della Cassazione costituisce il frutto di una complessa vicenda, nella quale sono intervenute sinergicamente, oltre alla stessa giurisprudenza della Corte di cassazione, anche la Corte costituzionale e da ultimo il legislatore. L'istituto della revocazione delle decisioni della Corte di Cassazione è stato normativamente introdotto, limitatamente all'errore di fatto ex art. 395, n. 4, c.p.c., dalla l. n. 353/1990, che ha inserito nel codice di rito l'art. 391-bis c.p.c., cui ha fatto seguito l'introduzione, ad opera del d.lgs. n. 40/2006, dell'art. 391-ter c.p.c., con cui si è ammessa la revocazione anche per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 c.p.c., ma solo limitatamente ai provvedimenti con cui la Cassazione abbia deciso la causa nel merito. L'input alla riforma normativaè partito dalla Corte di Cassazione che sollevò la questione di legittimità costituzionale dell'art. 395, n. 4, c.p.c., nella parte in cui non prevedeva la revocazione anche delle sentenze della Cassazione affette da errore di fatto (Cass., sez. un., ord. 8 febbraio 1983). In risposta al quesito, la Corte costituzionale dichiarò, con sent. 30 gennaio 1986, n. 17, “l'incostituzionalità dell'art. 395, n. 4, c.p.c. nella parte in cui non prevedeva la revocazione di sentenze dalla Corte di Cassazione […] affette dall'errore di cui al n. 4 dell'art. 395 dello stesso codice.” La Consulta, con la citata sentenza, auspicò, altresì, l'intervento riformante del legislatore. Tale intervento non tardò ad arrivare; difatti, il legislatore è intervenuto, dapprima, nel 1990, per estendere (attraverso la disposizione di cui all'art. 391-bis c.p.c.) l'istituto della revocazione anche alle pronunce della Corte di Cassazione, nei limiti dell'ipotesi di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c. Successivamente, con il d.lgs. n. 40/2006, il legislatore ha provveduto ad inserire l'art. 391-ter c.p.c., che ha esteso la revocazione in Cassazione, altresì, per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 del primo comma dell'art. 395 c.p.c., limitatamente ai provvedimenti con i quali “la Corte ha deciso la causa nel merito” (cioè “qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di merito”). Pertanto, la revocazione può essere proposta, per errore di fatto, avverso tutte le sentenze ed ordinanze pronunciate dalla Cassazione; mentre, per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 c.p.c., soltanto avverso i provvedimenti con cui la Corte abbia deciso la causa nel merito. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, l'unico vizio per cui la revocazione resta esclusa è dunque rappresentato dal contrasto con un anteriore giudicato, ai sensi dell'art. 395, n. 5, c.p.c., il che sembra trovare spiegazione nella natura straordinaria dell'impugnazione oggetto d'esame (Cass. civ., sez. un., 23 novembre 2015, n. 23833; Cass. civ., sez. un., 18 luglio 2013, n. 17557). Svolto questo breve excursus sull'istituto oggetto d'esame, per completare la disamina corre l'obbligo, in questa sede, di esaminare l'ambito di operatività dell'errore di fatto revocatorio, per specificarne meglio il significato e vagliarne i limiti. Si è invero sottolineato (Cass. civ., sez. un., sent. 16 novembre 2016, n. 23306) come l'errore revocatorio, per essere qualificato quale errore meramente percettivo, debba risolversi in una falsa percezione della realtà; in un errore, cioè, obbiettivamente ed immediatamente rilevabile, che deve, allora, apparire di assoluta immediatezza, di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di indagini o procedimenti ermeneutici (fin da Cass. civ., sez. un., 10 agosto 2000, n. 561; tra le molte altre, per tutte: Cass. civ., 1° marzo 2005, n. 4295; Cass. civ., 18 settembre 2008, n. 23856; Cass. civ., sez. un., 7 marzo 2016, n. 4413). Dunque, come da ultimo riconfermato, in materia di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, l'errore di fatto di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c., deve presentare i caratteri dell'evidenza e dell'obiettività, così da non richiedere lo sviluppo di argomentazioni induttive o indagini, e deve riguardare atti interni al giudizio di legittimità, ossia quelli che la Corte esamina direttamente nell'ambito del motivo di ricorso o delle questioni rilevabili d'ufficio (Cass. civ., 9 maggio 2022, n. 14552; Cass. civ., sez. un., 15 marzo 2022, n. 8469). Dal carattere di impugnazione eccezionale della revocazione discende, inoltre, che essa può essere esperita per i soli motivi tassativamente indicati nell'art. 395 del codice di procedura civile (cui fa espresso richiamo l'art. 391-bis dello stesso codice); ciò comporta la generale inammissibilità di ogni censura non compresa in detta tassativa elencazione ed esclude, di conseguenza, anche la deduzione del vizio di inesistenza o di nullità radicale della sentenza, che resta deducibile con le ordinarie impugnazioni (ex multis Cass. civ., sez. III, 7 maggio 2014, n. 9865; Cass. civ., sez. lav., 9 giugno 1994, n. 5603). Pertanto, la revocazione non può essere chiesta sulla base del solo assunto che alla deliberazione della pronuncia gravata abbia partecipato, seppur nelle vesti di presidente del collegio anziché di membro semplice, un componente che avrebbe avuto, ai sensi dell'art. 51 c.p.c., l'obbligo di astenersi, poiché tale circostanza non può essere in alcun modo considerata quale svista percettiva, integrante la previsione di cui all'art. 391-bis c.p.c. Questa è la soluzione cui è pervenuta la S.C., osservando che nessuno dei motivi articolati nel ricorso per revocazione era idoneo a permettere l'individuazione all'interno della sentenza impugnata di errori revocatori secondo le caratteristiche enucleate dalla giurisprudenza di legittimità. Il ricorso proposto, infatti, anziché evidenziare sviste percettive configuranti l'errore di fatto, si era limitato, in modo nemmeno tanto surrettizio, a rilevare che la presunta incompatibilità di un componente del collegio decidente aveva, a suo dire, inficiato la validità della decisione poi impugnata. Che tale circostanza non sia tale da integrare gli estremi dell'errore di fatto revocatorio risulta anche dai precedenti editi della stessa giurisprudenza di legittimità, come d'altronde ricorda la stessa decisione in commento, la quale richiama Cass. civ., 8 giugno 2007, n. 13433, a mente della quale «la pretesa incompatibilità del giudice, che ebbe a pronunciare sulla sentenza oggetto della domanda di revocazione, a far parte del collegio chiamato a decidere su di essa non determina nullità deducibile in sede di impugnazione, in quanto la stessa incompatibilità può dar luogo soltanto all'esercizio del potere di ricusazione, che la parte interessata ha l'onere di far valere, in caso di mancata astensione del giudice, nelle forme e nei termini di cui all'art. 52 c.p.c.». Riferimenti
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