Le lesioni subite aggravano un danno preesistente: come liquidare il danno?

06 Dicembre 2022

La Cassazione torna a pronunciarsi sui principi da applicare nella liquidazione del danno derivato dall' aggravamento di una condizione pregressa della vittima (c.d. danno iatrogeno), evidenziando come il calcolo debba basarsi non sull'invalidità della vittima in sè, ma sulla perdita di funzioni vitali, a pena di un'indebita quantificazione.

La Sesta Sezione della Cassazione Civile, nell'ordinanza 35025 depositata il 29 novembre 2022, ha nuovamente chiarito quali siano i criteri da applicare nella liquidazione del danno cd. iatrogeno, ovvero nell'ipotesi in cui il responsabile abbia aggravato postumi permanenti di cui la vittima avrebbe comunque patito.

Il caso. Avendo riportato lesioni a seguito di un errato intervento di stabilizzazione vertebrale la danneggiata promuoveva azione di risarcimento dei danni nei confronti del medico curante e della struttura medica.

Per quel che qui rileva, con sentenza di primo grado confermata nel giudizio d'appello il giudice, a fronte di lesioni permanenti quantificate dalla consulenza tecnica d'ufficio nella misura del 20%, aveva determinato nella minor misura del 10% lo stato di invalidità riferibile al fatto dannoso, posto che la donna sarebbe stata comunque affetta da una invalidità del 10% per una patologia preesistente all'intervento.

La danneggiata ha presentato ricorso in cassazione lamentando l'errore commesso dal giudice d'appello (e prima dal Tribunale) nell'applicazione dei principi consolidati di interpretazione dell'art. 1223 c.c. relativamente alla quantificazione del danno differenziale.

La sottrazione deve essere tra valori monetari.

Ponendosi nel solco dei propri precedenti (tra cui la sentenza n. 26117/2021 pubblicata su queste pagine con commento dello scrivente) la Cassazione ha ribadito che «l'apprezzamento delle menomazioni policrone ‘concorrenti' in capo al danneggiato rispetto al maggior danno causato dall'illecito va compiuto stimando, prima, in punti percentuali, l'invalidità complessiva, risultante cioè dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall'illecito e poi quella preesistente all'illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro».

Ciò fatto, si deve poi procedere a sottrarre dal valore monetario dell'invalidità complessivamente accertata quella corrispondente al grado di invalidità preesistente.

Con l'ordinanza in commento la Suprema Corte ha quindi cassato la decisione del giudice di merito che, confermando quanto statuito dal giudice di prime cure, aveva quantificato il danno ponendo a base del calcolo tabellare una percentuale invalidante del 10%, pari alla differenza tra quella del 20% effettivamente riscontrata e quella ascrivibile alle menomazioni preesistenti concorrenti, anziché operare la differenza tra la quantificazione tabellare della lesione del 20% e quella della lesione del 10%.

La Cassazione ha anche spiegato la ratio sottostante a tale decisione, ovvero il fatto che il danno risarcibile non è il grado di invalidità in sé, bensì le funzioni vitali perdute dalla vittima: tali privazioni progrediscono con intensità geometricamente crescente rispetto al crescere dell'invalidità, diversamente dalla misura convenzionale (cioè i punti percentuali) che ovviamente crescono secondo una progressione aritmetica.

Conseguentemente la somma riconosciuta dalle tabelle cresce in modo più che proporzionale rispetto alla gravità dei postumi, il che significa che riconoscere una invalidità del 10% dal punto di vista monetario attribuisce al danneggiato una somma inferiore rispetto a riconoscerne una del 20% e sottrarre la somma derivante dall'invalidità pregressa del 10%.

(Fonte: dirittoegiustizia.it)

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