Vertenza sindacale e critiche espresse sul web. Qual è il confine tra diritto di critica e diffamazione?

Marianna Russo
06 Dicembre 2022

La questione principale della pronuncia in commento concerne l'individuazione del confine tra l'esercizio del diritto di critica – che si concretizza nella libertà di manifestazione del pensiero, garantita dall'art. 21 Cost. e dall'art. 10 della Convenzione EDU – e la commissione del reato di diffamazione, che consiste nell'offesa dell'altrui reputazione attraverso una comunicazione che coinvolga più persone.
Massima

Il diritto di critica si inserisce nell'ambito della libertà di manifestazione del pensiero, garantita dall'art. 21 Cost. e dall'art. 10 della Convenzione EDU. A differenza della cronaca, la critica costituisce un'opinione meramente soggettiva ed è, per sua natura, parziale e ideologicamente orientata.

Compito del giudice è, dunque, di verificare se il negativo giudizio di valore espresso possa essere, in qualche modo, giustificabile nell'ambito di un contesto critico e funzionale all'argomentazione, così da escludere la invettiva personale volta ad aggredire il destinatario con espressioni inutilmente umilianti e gravemente infamanti.

Il caso

Nell'ambito di un'accesa protesta sindacale organizzata dagli operai di una cooperativa per motivi collegati al recesso da un contratto di appalto, il ricorrente pubblica tre articoli su un blog (datati 15, 21 e 26 febbraio 2016) per censurare pesantemente la condotta dell'amministratore delegato della società interessata, che reagisce denunciandolo per diffamazione.

In primo grado viene condannato dal Tribunale di Brescia per diffamazione, ma la Corte d'appello, riformando parzialmente la decisione, assolve l'imputato per i fatti commessi il 21 e il 26 febbraio 2016, ritenendo che si sia trattato di legittimo esercizio del diritto di critica sindacale. Però, resta confermata la responsabilità penale per il residuo episodio del 15 febbraio 2016.

L'imputato ricorre per cassazione, lamentando, innanzitutto, l'erronea applicazione degli artt. 595 c.p. (diffamazione) e 51 c.p. (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere), in quanto le espressioni ritenute diffamatorie sono anch'esse esercizio del diritto di critica sindacale e non possono essere decontestualizzate dalla circostanza di denuncia delle condizioni di sfruttamento dei lavoratori, alla quale sono strettamente collegate.

Le questioni

Il “cuore” della pronuncia in commento concerne l'individuazione del confine tra l'esercizio del diritto di critica – che si concretizza nella libertà di manifestazione del pensiero, garantita dall'art. 21 Cost. e dall'art. 10 della Convenzione EDU – e la commissione del reato di diffamazione, che consiste nell'offesa dell'altrui reputazione attraverso una comunicazione che coinvolga più persone.

Per reputazione si intende il “patrimonio di stima, di fiducia, di credito accumulato dal singolo nella

società e, in particolare, nell'ambiente in cui quotidianamente vive e opera”. In pratica, si tratta del “valore” sociale di una persona, che può essere leso da una comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di parole dirette a recare offesa alla reputazione di un individuo.

E la pubblicazione di un articolo su un blog seguito da almeno una cinquantina di lettori rappresenta senz'altro una comunicazione.

Anzi, rientra nell'ipotesi descritta nel terzo comma dell'art. 595 c.p., secondo cui se l'offesa è recata a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, è prevista la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o la multa non inferiore a € 516,00.

Compito del giudice di legittimità, come evidenziato dalla sentenza annotata, è di accertare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie contenute nell'articolo incriminato.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione focalizza la propria attenzione innanzitutto sulla nozione di “critica”, sulla scorta dell'ampia elaborazione giurisprudenziale in materia, e rileva che “non essendovi limiti astrattamente concepibili all'oggetto della libera manifestazione del pensiero, se non quelli specificamente indicati dal legislatore”, la disapprovazione e il biasimo possono essere espressi anche con toni apri e taglienti. Gli unici limiti rinvenibili, infatti, consistono nella difesa dei diritti inviolabili, per cui non è possibile attribuire ad altri fatti non veri, né indulgere nell'invettiva gratuita, in quanto l'eventuale offesa deve essere “necessaria e funzionale alla costruzione del giudizio critico”.

Come evidenzia la pronuncia, a differenza della cronaca, la critica si concretizza in un'opinione, che è pur sempre un giudizio valutativo. Infatti, pur avendo alla base un fatto, il giudizio, per sua stessa natura, non è “obiettivo”, né esiste una linea di demarcazione tra “vero” e “falso”, perché ogni manifestazione del pensiero è coperta dalle garanzie costituzionali (v. Cass. 14.02.2002, n. 20474; Cass. 18.12.2007, n. 13880; Cass. 20.02.2008, n. 13549).

Anche secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo la libertà di esprimere giudizi critici trova il suo limite invalicabile esclusivamente nell'esistenza di un “sufficiente riscontro fattuale” (Corte EDU 27 ottobre 2005, ricorso n. 58547/00; Corte EDU 29 novembre 2005, ricorso n. 75088/01).

Il giudizio critico è di per sé “influenzato dal filtro personale con il quale viene percepito il fatto posto a suo fondamento” e, per tale ragione, è “parziale, ideologicamente orientato e teso ad evidenziare proprio quegli aspetti o quelle concezioni del soggetto criticato che si reputano deplorevoli e che si intende stigmatizzare e censurare”.

Infine, la Corte di cassazione ricorda che occorre considerare se la critica sia stata manifestata nel rispetto del canone della continenza, che richiede di contestualizzare le espressioni intrinsecamente ingiuriose, cioè di valutarle in relazione al contesto, verificando se i toni utilizzati, benché forti e sferzanti, non risultino meramente gratuiti, ma siano invece “pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere” (Cass. 23 marzo 2018, n. 32027).

Osservazioni

Inquadrata all'interno di questa solida cornice giurisprudenziale a livello nazionale ed eurounitario, la decisione della Corte di cassazione si presenta chiara e ineccepibile dal punto di vista argomentativo.

La critica espressa dal ricorrente rientra nell'ambito di una dura vertenza sindacale, risolta in ambito giudiziario con esito favorevole ai lavoratori. Ciò significa, da un lato, che la circostanza fattuale dalla quale trae origine si è effettivamente verificata e, dall'altro, che parole utilizzate dall'autore dell'articolo, benché potenzialmente offensive, si inseriscono pienamente nel contesto di un'aspra critica sindacale.

Non si tratta, quindi, di invettive che prendono di mira la persona in sé considerata, ma di una marcata censura di una condotta datoriale che configura uno sfruttamento nei confronti dei lavoratori, come riconosciuto in via giudiziale.

Alla luce di ciò, è ravvisabile l'esimente del legittimo esercizio del diritto di critica, che esclude l'offensività della condotta. Pertanto, la Corte cassa la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

Minimi riferimenti bibliografici

M.N. Bettini, Il diritto di critica del lavoratore nella giurisprudenza, in AA.VV., Diritto e Libertà. Studi in memoria di Matteo Dell'Olio, Torino, 2008, I, 147;

F. D'Aversa, Il diritto di critica (anche sindacale) nell'epoca dei Social Media e degli altri sistemi di interazione sociale, in Labour & Law Issues, 2019, n. 2;

E. Fiata, Limiti al diritto d critica del lavoratore e controllo di legittimità, in Giur. it, 2019, n. 3, p. 612;

M.G. Greco, Diritto di critica e rapporto di lavoro, in Arg. dir. lav., 2006, n. 1, p. 289.

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