Rapporti fra falso in bilancio e bancarotta fraudolenta documentale in una complessa vicenda fallimentare

07 Dicembre 2022

La pronuncia della Cassazione Sezione penale in commento presenta due profili di interesse, su uno dei quali la decisione risulta innovativa. Il primo riguarda i rapporti tra la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale ed il delitto di falso in bilancio; più significativa, invece, la tesi prospettata con riferimento alla documentazione societaria la cui alterazione può comportare l'integrazione della fattispecie fallimentare.
Le massime

L'assoluzione dal reato di cui all'art. 223, comma 2, n. 1, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, nella fattispecie di falso in bilancio seguito dal fallimento, non interferisce sulla decisione in ordine al reato di bancarotta fraudolenta documentale stante la diversità dei rispettivi oggetti, potendo quello di bancarotta documentale propria concernere ipotesi di falsificazione di libri o di altre scritture contabili e non di bilanci, costituenti invece l'oggetto della indicata specifica fattispecie di cui all'art. 223, comma 2, n. 1, l.fall.

In tema di bancarotta documentale, ai fini dell'individuazione dell'oggetto materiale del reato, la cui condotta è delineata dall'art. 216, comma 1, n. 2, l.fall. , occorre distinguere tra impresa individuale e impresa collettiva. Mentre, infatti, nel caso di bancarotta documentale dell'imprenditore individuale vengono in considerazione i libri o le altre scritture contabili previste dall'art. 2214 c.c., per ciò che concerne le società commerciali - per effetto dell'implicito richiamo operato dall'art. 223 l.fall., tramite la previsione di punibilità dei fatti di bancarotta fraudolenta commessi dagli amministratori, direttori generali e sindaci di società dichiarate fallite - vengono in rilievo tutti quei libri che la legge rende per esse obbligatori. Nell'ipotesi di società a responsabilità limitata, pertanto, oltre ai libri ed alle scritture contabili previste dall'art. 2214 c.c., vengono in considerazione, grazie all'art. 2478 c.c., anche i libri sociali obbligatori previsti da tale disposizione normativa, fra i quali il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale.

Il caso

In sede di merito, un soggetto, consulente ed amministratore di fatto di una società fallita, era giudicato colpevole dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale nonché di concorso nell'aggravamento del dissesto della società, avendo omesso di iscrivere nel bilancio relativo all'esercizio 2004, redatto nel 2005, la passività conseguente alla escussione della fideiussione da parte di un creditore che avrebbe portato il patrimonio netto della stessa in negativo per circa 2,4 milioni di euro, continuando l'attività di impresa fino alla data del fallimento e portando il disavanzo ingiustificato a circa euro 13, 5 milioni di euro (13.500.000,00).

La difesa ricorreva in Cassazione, lamentando, per ciò che interessa in questa sede, che la Corte di appello avesse ritenuto sussistente l'obbligo di consegna del libro delle adunanze del collegio sindacale in capo all'imprenditore, laddove l'attuale art. 216, comma 1, n. 2, R.D. n. 267/1942 prescrive, in realtà, che, a differenza degli altri, il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sia tenuto dal collegio stesso, sicché diversamente ragionando si sarebbe finito col porre illegittimamente a carico del ricorrente un obbligo non spettante al medesimo, ove, peraltro, risultava che lo stesso avesse consegnato alla curatela tutti i libri contabili in suo possesso, rendendo perfettamente ricostruibile la storia e le vicende della società. Inoltre, la difesa sottolineava come il collegio sindacale si dimise nel maggio 2005, quando la società si trasformò in s.r.l. e, dunque, cessava a quel tempo l'obbligatorietà della sua tenuta.

Da ultimo, sempre in relazione al reato di bancarotta fraudolenta documentale, si evidenziava come i giudici di merito non avessero tenuto in alcun conto l'elemento costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale, che lo distingue dalla fattispecie dalla bancarotta documentale semplice, così come delineato dalla giurisprudenza di legittimità, consistente nella sussistenza di un quadro di generale inattendibilità nelle scritture contabili tale da rendere impossibile ricostruire il volume di affari o il patrimonio della società fallita. Una tale circostanza non sarebbe stata riscontrabile nel caso di specie, non potendosi configurare una tale conseguenza per il solo fatto dell'assenza del libro delle adunanze del collegio sindacale.

Con riferimento, invece, al reato di aggravamento del dissesto, oltre ad alcune considerazioni attinenti un travisamento della prova (in proposito, il ricorso per cassazione sosteneva che il curatore fallimentare avesse escluso l'aggravamento contestato in relazione alla mancata iscrizione della fideiussione), la difesa riteneva contraddittoria la decisione di condanna in quanto gli stessi giudici di merito, in merito al medesimo fatto di falso in bilancio avente ad oggetto la mancata iscrizione della fideiussione, avevano escluso la sussistenza del reato di cui all'art. 223, comma 1, n. 1, R.D. n. 267/1942, sicché non si comprendeva come, stante l'assoluzione per questo delitto, la medesima vicenda potesse integrare il delitto di cui al successivo n. 2 della medesima disposizione incriminatrice.

La questione

Il reato di bancarotta fraudolenta documentale è previsto nell'art. 322, comma 1, lett. b) d.lgs. n. 14 del 2019 (in precedenza art. 216, comma 1 n. 2, R.D. n. 267/1942), che fa riferimento all'imprenditore che sottrae, distrugge o falsifica, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La norma si applica tanto all'imprenditore individuale come ai dirigenti di imprese esercitate in forma societaria (in particolare gli amministratori, i sindaci, i liquidatori ed i direttori generali), nonché ai cosiddetti amministratori di fatto, i quali rispondono del fatto di reato unitamente con il soggetto che riveste la qualifica formale cui è correlato l'obbligo di tenuta delle scritture contabili (Cass., sez. V, 18 agosto 2016, n. 34991). Cessa invece ogni obbligo di tenuta e custodia l'amministratore cessato dalla carica che abbia regolarmente consegnato la contabilità al nuovo amministratore subentrante (Cass., sez. V, 8 maggio 2017, n. 21818).

La condotta vietata consiste nella mancata consegna al curatore ovvero la sottrazione, distruzione o omessa tenuta della documentazione contabile nonché nella sua intenzionale cattiva tenuta allo scopo di recare pregiudizio ai creditori e di rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari: a) la sottrazione è la condotta diretta ad impedire che le scritture contabili cadano nella disponibilità degli organi della procedura ed ad essa è equiparabile anche la condotta di chi non rivela la "chiave di accesso" al sistema informatico contabile; b) la distruzione è l'annientamento fisico (totale o parziale) del documento (es. incendio) ovvero del suo contenuto (mediante cancellature, abrasioni, ecc.), tale da impedire la sua finalità probatoria; c) la falsificazione consiste nell'alterazione materiale o ideologica della scrittura, così come la produzione di documentazione non genuina (peraltro, rientra nella falsificazione anche la parziale omissione del dovere annotativo potendosi la falsificazione dei dati realizzarsi attraverso la rappresentazione dell'evento economico in modo incompleto e distorto in ordine alla gestione di impresa e agli esiti della stessa).

La tenuta delle scritture in guisa da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari invece allude alla redazione delle scritture incompleta, disorganica e frammentaria, tale da non consentire una ricostruzione del patrimonio e dei fatti di gestione di impresa. Di conseguenza, come detto, la parziale omissione del dovere annotativo integra la fattispecie di reati in discorso; del pari, il reato è riscontrabile nella annotazione di fatture non rispondenti al vero sul piano della individuazione dei reali soggetti giuridici tra cui sono intervenute le operazioni commerciali documentate (Cass., sez. V, 24.10.2017, n. 48765).

È sufficiente, per l'integrazione della fattispecie, una seria difficoltà di ricostruzione della gestione imprenditoriale, quando gli accertamenti contabili da parte degli organi fallimentari presentino difficoltà superabili con particolare diligenza e ciò in quanto nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale l'interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile (Cass., sez. V, 13.3.2018, n. 11053). Medesima conclusione è assunta con riferimento alla condotta di sottrazione delle scritture contabili, la quale assume rilievo indipendentemente dalla circostanza che ne derivi l'impossibilità per gli organi della procedura concorsuale di ricostruire il patrimonio o il movimento degli affari dell'impresa.

Anche l'omessa tenuta della contabilità interna integra gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta - e non quello di bancarotta semplice - qualora si accerti che scopo dell'omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori (Cass., sez. V, 5.3.2018, n. 9921, secondo cui la differenza fra la bancarotta fraudolenta documentale e quella semplice consiste nell'elemento psicologico, che nel primo caso viene individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà del irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò rende impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell'imprenditore e, nel secondo caso, dal dolo o indifferentemente la colpa, che sono ravvisabili quando la gente ometta, rispettivamente, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture. Ne consegue che il dolo generico che caratterizza il reato fraudolento, dovendo consistere nella consapevolezza e volontà che la irregolare tenuta delle scritture rende impossibile la ricostruzione del patrimonio, non può corrispondere e non può essere ritenuta sovrapponibile alla pura semplice volontà di non tenere quelle scritture. Nello stesso senso, Cass., sez. V, 5 febbraio 2018, n. 5357).

Assolutamente critica rispetto a questa posizione si palesa la dottrina, secondo cui si tratta di una soluzione chiaramente contra legem (BRICCHETTI – TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano 1998, 64; PERINI – DAWAN, La bancarotta fraudolenta, Padova 2001, 141; AMBROSETTI, I reati fallimentari, AMBROSETTI – MEZZETTI – RONCO, Diritto penale dell'impresa, Bologna, 2008, 230; GIULIANI BALLESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, VI^ ed., Milano 2006, 323; PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, in Commentario Scialoja – Branca. Legge fallimentare, a cura di Galgano, Bologna – Roma 1995, 103).

Per l'elemento soggettivo la norma prevede, oltre alla rappresentazione dell'azione anti-doverosa, una specifica intenzionalità (lo scopo di recare a sé o ad altri ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori: la prospettazione è alternativa) soltanto per i comportamenti di sottrazione, distruzione, falsificazione; di contro per il comportamento proteso a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (ipotesi c.d. "generale") è sufficiente la consapevolezza dell'agente che la confusa tenuta della contabilità può concretare l'evento del reato (Cass., sez. V, 26 ottobre 2016, n. 44998). Tuttavia, la dottrina prevalente (PERINI – DAWAN, La bancarotta fraudolenta, Padova 2001, 141; PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, in Commentario Scialoja – Branca. Legge fallimentare, a cura di Galgano, Bologna – Roma 1995, 103. Nel senso della giurisprudenza, GIULIANI BALLESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, VI^ ed., Milano 2006, 323) è nel senso che il reato in discorso richiede il dolo specifico anche per le prime tre condotte richiamate dalla disposizione: in particolare, la volontà del reo dovrebbe dirigersi congiuntamente tanto a conseguire un ingiusto profitto che ad arrecare un pregiudizio per i creditori: solo in questo modo si eviterebbe di ricondurre alla bancarotta fraudolenta documentale condotte che esulano dall'oggettività giuridica della norma, come nel caso in cui l'imprenditore abbia falsificato le scritture contabili non per recare pregiudizio ai creditori, ma solo per sottrarsi agli esiti di una verifica tributaria.

Accanto al delitto di bancarotta fraudolenta documentale si pone il reato di bancarotta documentale semplice di cui all'art. 323, comma 2, d.lgs. n. 14/2019 (in precedenza art. 217, comma 2, R.D. n. 267/1942), che punisce l'omessa o irregolare o incompleta tenuta della contabilità (imposta dagli artt. 2214 ss. c.c.) senza richiedere prova che la condotta abbia cagionato un pregiudizio effettivo, trattandosi di un reato di mero pericolo (Cass., sez. V, 18 maggio 2016, n. 20695, secondo cui il reato di bancarotta semplice documentale è reato di pericolo presunto e mira ad evitare che vi siano ostacoli all'attività di ricostruzione del patrimonio e dei movimenti di affari della società da parte degli organi fallimentari, con possibile pregiudizio degli interessi dei creditori: la finalità ultima della norma è, quindi, quella di consentire ai creditori l'esatta conoscenza della consistenza del patrimonio del fallito sul quale potersi soddisfare): non è richiesto che la ricostruzione sia impossibile, il reato è ravvisabile anche allorquando si può ovviare alle lacune annotative mediante altre tracce contabili tenute dall'imprenditore (ad es. il corredo fiscale, con riferimento al libro inventari, si ritiene integri il reato di bancarotta semplice documentale l'imprenditore che tenga in modo sintetico il libro degli inventari, tale da non esprimere in maniera analitica i singoli elementi patrimoniali, rendendo necessario, ai fini della loro ricostruzione, il ricorso al libro giornale ed al mastro dei conti (Cass., sez. V, 9.02.2016, n. 5246; Cass., sez. V, 27.06.2013).

La condotta deve collocarsi entro il triennio antecedente al fallimento: nel caso di cessione dell'azienda, responsabile deve ritenersi l'autore del fatto, ove sia dichiarato di poi fallito, con la precisazione che la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili non deve protrarsi per l'intero triennio precedente alla dichiarazione di fallimento, sussistendo il reato anche se tale condotta venga tenuta, durante il periodo di tempo indicato, per un arco temporale inferiore ai tre anni. La cessazione dell'attività non esclude l'obbligo della tenuta della regolare contabilità, anche se manchino passività insolute, se non formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese: soltanto con questo adempimento si può dire esaurito l'obbligo di tenere le scritture contabili.

Le scritture considerate sono solo quelle prescritte dalla legge, ossia (a differenza che per l'art. 216, n. 2, l. fall.) ogni scrittura obbligatoria ex art. 2214 c.c., corredo che non può essere sostituito da eventuali scritture facoltative (come quelle con finalità fiscale, contributiva, ecc.).

La condotta può essere sorretta da dolo (generico) o da colpa, salvo che sia provata una specifica intenzionalità ad impedire la ricostruzione del movimento degli affari, caso in cui ricorre la fattispecie dell'art. 216, n. 2, l. fall.; anzi si deve precisare che l'omessa tenuta della contabilità interna integra gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta - e non quello di bancarotta semplice - qualora si accerti che scopo dell'omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori.

La decisione della Cassazione

Il ricorso è stato integralmente rigettato.

Per quanto concerne l'accusa di aggravamento del dissesto di cui all'art.233, comma 2, n. 2, R.D. n. 267/1942 – aggravamento conseguente ad una falsificazione del bilancio – e che secondo la difesa doveva cadere in ragione dell'assoluzione pronunciata con riferimento all'imputazione di falso in bilancio, la Cassazione evidenzia come quest'ultima assoluzione fosse stata disposta dai giudici di merito non già per l'insussistenza dei fatti ivi descritti (aggravamento del dissesto della società, artificiosamente alterando i dati di bilancio ed assicurando la continuità aziendale attraverso la dissimulazione dell'effettiva condizione economica e finanziaria della società), ma unicamente perché in relazione a tale imputazione, chiaramente formulata ai sensi degli artt. 223, comma 2, n. 1 R.D. n. 267/1942, doveva aversi riguardo alla formulazione delle norme di cui agli artt. 2621 e 2622 vigenti alla data di approvazione del bilancio 2004, a cui si riferivano le condotte ascritte e non risultavano superate le soglie all'epoca vigenti in relazione ad entrambe le norme del codice civile.

Di conseguenza, una tale decisione assolutoria non poteva rivestire alcun rilievo in relazione al delitto di aggravamento del dissesto a mezzo di operazioni dolose, posto che una mendace attestazione in bilancio – quand'anche non integri il delitto di falso in bilancio per mancato superamento delle soglie di rilevanza richieste nella precedente versione degli artt. 2621 e 2622 c.c. – può rappresentare una ipotesi di operazione dolosa richiamata dall'art. 223, comma 2, n. 2, R.D. n. 267/1942.

Del pari, la medesima decisione sul falso in bilancio non ha rilievo, secondo la Cassazione, con riferimento alla sussistenza del ritenuto reato di bancarotta fraudolenta documentale, avente ad oggetto la tenuta dei libri e delle scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e la movimentazione degli affari.

Nel caso di specie questo delitto è stato ritenuto integrato in ragione della falsificazione delle scritture contabili e dell'omessa consegna al curatore fallimentare del libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale: anche in relazione a tale fattispecie la difesa intendeva contrastare la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale – con riferimento al profilo della falsificazione dei libri e delle scritture contabili – sulla base dell'assoluzione dal reato di aggravamento del dissesto mediante alterazione artificiosa dei dati di bilancio, ma la Cassazione evidenzia come l'ipotesi di falso in bilancio seguito da fallimento della società di cui all'art. 223, comma 2, n. 1, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, costituisca un'ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria che si distingue dal falso in bilancio previsto dall'art. 2621 c.c. , che è reato sussidiario punito a prescindere dall'evento fallimentare, sia dalla bancarotta documentale propria concernente ipotesi di falsificazione di libri o di altre scritture contabili, per cui l'assoluzione dal reato di cui all'art. 223, comma 2, n. 1, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, nella fattispecie di falso in bilancio seguito dal fallimento, non interferisce sulla decisione in ordine al reato di bancarotta fraudolenta documentale stante la diversità dei rispettivi oggetti, potendo quello di bancarotta documentale propria concernere ipotesi di falsificazione di libri o di altre scritture contabili e non di bilanci, costituenti invece l'oggetto della indicata specifica fattispecie di cui all'art. 223, comma secondo, n. 1, citato.

Quanto, poi, alla mancata consegna del libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale, che la difesa contestava potessero rilevare ai fini del delitto di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, R.D. n. 267/1942, la decisione in commento rammenta che sul collegio sindacale incombono la cura e la tenuta del libro delle adunanze e delle deliberazioni (nel quale saranno trascritti i verbali delle riunioni e sarà dato conto delle attività effettuate e degli accertamenti eseguiti), mentre della consegna di tale libro, come di tutti i libri della società, è responsabile l'amministratore, trattandosi pur sempre di libro sociale obbligatorio che la società deve tenere, come espressamente prevede l'art. 2478 c.c., oltre i libri e le altre scritture contabili prescritti nell'art. 2214 c.c.. Sul collegio sindacale incombe, dunque, unicamente la sua cura, ma la tenuta a cura del collegio sindacale è cosa diversa dall'obbligo di tenuta di tale libro che grava sulla società, e quindi sul suo amministratore, sicché ai fini della integrazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale in argomento può assumere rilievo anche la mancata consegna del libro in questione in cui sono comunque riportate notizie rilevanti della società, a nulla rilevando che la sua tenuta sia affidata alla cura di soggetti diversi dall'amministratore.

Questa conclusione viene poi ulteriormente specificata dalla Corte di legittimità, la quale indica, ai fini dell'individuazione dell'oggetto materiale del reato di bancarotta documentale, la necessità di distinguere tra impresa individuale e impresa collettiva. Mentre, infatti, nel caso di bancarotta documentale dell'imprenditore individuale vengono in considerazione i libri o le altre scritture contabili previste dall'art. 2214 c.c. , per ciò che concerne le società commerciali vengono in rilievo tutti quei libri che la legge rende per esse obbligatori. Nell'ipotesi di società a responsabilità limitata, pertanto, oltre ai libri ed alle scritture contabili previste dall'art. 2214 c.c., vengono in considerazione, grazie all'art. 2478 c.c., anche i libri sociali obbligatori previsti da tale disposizione normativa, fra i quali il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale.

Considerazioni conclusive

La sentenza della Cassazione in commento presenta due profili di interesse, su uno dei quali la decisione si presenta innovativa.

Il primo aspetto da considerare attiene alla distinzione fra la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale ed il delitto di falso in bilancio.

In relazione a tale aspetto la decisione non presenta profili di novità avendo la giurisprudenza più volte ribadito la non piena sovrapposizione fra la falsità dei dati di bilancio rilevante ai sensi dell'art. 2621 c.c. e la falsità delle scritture oggetto della bancarotta documentale, per cui ad esempio non integra quest'ultima fattispecie delittuosa la mera inosservanza dei criteri civilistici di redazione del bilancio quand'anche dall'inosservanza degli stessi derivi la falsità di tale comunicazione contabile e va comunque esclusa la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale in relazione ad annotazioni mendaci contenute nel bilancio: in questo caso, infatti, ricorre la sola ipotesi di falso in bilancio (Cass., sez. V, 8 novembre 2016, n. 46689).

Più significativa, invece, la tesi prospettata con riferimento alla documentazione societaria la cui alterazione può comportare l'integrazione della fattispecie fallimentare. In proposito, in giurisprudenza si è sempre sostenuto che, ai sensi dei delitti di cui agli artt. 322 e 323 d.lgs. n. 14/ 2019, rilevassero essenzialmente i (soli) documenti di cui all'art. 2214 c.c. , nonché le scritture primarie (lettere, telegrammi, fatture, ricevute, e copia della corrispondenza spedita e pervenuta) e quelle scritture contabili preordinate a rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (Cass., sez. V, 13 marzo 2018, n. 11052, secondo cui l'oggetto del reato di bancarotta fraudolenta documentale può essere rappresentato da qualsiasi documento contabile relativo alla vita dell'impresa, dal quale sia possibile conoscere i tratti della sua gestione, diversamente da quanto previsto per l'ipotesi di bancarotta semplice documentale, in relazione alla quale l'oggetto del reato è individuato nelle sole scritture obbligatorie").

Si ritenevano quindi esclusi dal novero della documentazione rilevante i libri sociali, poiché l'oggetto della protezione è la portata "contabile" della documentazione. In senso contrario la giurisprudenza si era pronunciata una sola volta con riferimento al libro soci per le S.r.l., relativamente al periodo antecede la riforma introdotta con il d.l. n. 185 del 2008 che ha escluso l'obbligo di tenuta di tale documentazione (Cass. pen., sez. V, 23.06.2015, n. 26458), ma tale conclusione era giustificata dalla stessa Cassazione considerando la rilevanza che ha l'identificazione della compagine societaria per valutare la solidità economica e finanziaria dell'impresa. Rappresenta, dunque, una vera e propria innovazione la tesi, presente nella pronuncia in commento, secondo cui nel caso di imprese collettive – e quindi nella pressoché totalità dei casi… - oggetto materiale del reato di bancarotta sono anche tutti quei libri di cui è obbligatoria la conservazione e quindi anche i libri sociali, ivi compresi il libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale.

La tesi francamente lascia perplessi, posto che i delitti di cui ai citati artt. 322 e 323 vedono il fuoco dell'imputazione proiettata verso il dovere dell'imprenditore di consentire la ricostruzione della contabilità dell'impresa, profilo rispetto al quale non si vede che apporto possono apportare libri come quello del collegio sindacale. Indubbiamente, il registro delle deliberazioni del collegio sindacale può rivestire un interesse nella ricostruzione delle vicende della società fallita (si pensi, ad esempio, a censure che i sindaci possono muovere alla tenuta della contabilità o ad alcune scelte di gestione dei vertici aziendali o osservazioni circa l'avvenuta perdita del patrimonio netto), ma con riferimento ad ipotesi che nulla hanno a che fare con il profilo della contabilità, che è l'aspetto considerato dall'art. 322, comma 1 lett. b).

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