Riforma processo civile: il nuovo giudizio di separazione e divorzio

Francesco Agnino
06 Dicembre 2022

Il d.lgs. n. 149/2022 ha inserito nel libro secondo del codice di procedura civile un Titolo IV-bis, recante la disciplina del rito applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie. Tale nuovo corpus normativo è volto a regolare anche i procedimenti di separazione e divorzio.
Inquadramento

La legge delega n. 206/2021 incide in modo significativo sui procedimenti di separazione personale dei coniugi, di scioglimento del matrimonio o cessazione degli effetti civili del matrimonio e di modificazione delle relative condizioni.

Il d.lgs. n. 149/2022 si è preoccupato di coordinare il nuovo procedimento in materia di famiglia (previsto dalla stessa riforma) ed i giudizi della crisi matrimoniale.

Riguardo ai giudizi della crisi matrimoniale, l'attuazione della l. n. 206/2021 ha previsto l'inserimento, nel libro secondo del codice di procedura civile, di un Titolo IV-bis, rubricato “Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie” (di seguito, per brevità, “procedimento in materia di famiglia”), recante la disciplina del rito applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare.

Tale nuovo corpus normativo è volto a regolare anche i procedimenti di separazione e divorzio (segnatamente Capo III, Sezione II, intitolato: “Dei procedimenti di separazione, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento dell'unione civile e di regolamentazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni”), stante la formulazione generica ed omnicomprensiva che si riferisce allo "stato delle persone", giacché la delega legislativa indica con chiarezza gli unici giudizi “in materia di persone, minorenni e famiglia” sottratti al nuovo regime, ossia quelli “volti alla dichiarazione di adottabilità”, i “procedimenti di adozione di minori di età” e, ancora, i giudizi “attribuiti alla competenza delle sezioni istituite dal d.l. n. 13/2017, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 46/2017” [Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale].

Considerazioni preliminari

E' opportuno evidenziare che l'ordinamento italiano delinea più di una procedura di cui può fruire la coppia in crisi per addivenire alla modificazione e alla scissione del vincolo coniugale. Così si distinguono i procedimenti di separazione e divorzio contenziosi da quelli su accordo delle parti, e questi ultimi, a loro volta, a partire dal d.l. n. 132/2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 162/2014, si distinguono in procedimenti di separazione consensuale e divorzio congiunto dinanzi al giudice (711 c.p.c. e art., 4, comma 16, l. div.) e procedimenti senza l'intervento del giudice, nelle modalità della convenzione di negoziazione assistita dagli avvocati (art. 6 del d.l. n. 132/2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 162/2014) e del procedimento dinanzi all'ufficiale di stato civile (art. 12 d.l. n. 132/2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 162/2014).

Orbene la riforma promossa dalla l. n. 206/2021 interviene sia sulla disciplina dei procedimenti contenziosi che su quella dei procedimenti su accordo delle parti dinanzi al giudice, così come incide sulla via stragiudiziale della negoziazione assistita dagli avvocati, mentre non tocca i procedimenti di separazione e divorzio dinanzi all'ufficiale di Stato civile.

Al contempo il neo rito speciale per la famiglia mutua proprio dalla struttura dei procedimenti di separazione e divorzio contenziosi regolati dal diritto vigente taluni rilevanti snodi: così la prima udienza del nuovo rito unitario può leggersi come lo sviluppo della tradizionale udienza presidenziale nei procedimenti di separazione ed altresì il sistema dei provvedimenti provvisori tesi a modellarsi sui mutamenti della situazione fattuale nel corso del procedimento è ripreso dai procedimenti di separazione e divorzio.

Occorre evidenziare che il nuovo Titolo IV-bis del libro secondo del codice di procedura civile, segnatamente artt. 473-bis.11 e ss. c.p.c., da un lato, prevede uno schema procedimentale comune a tutti i procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie e, dall'altro lato, prevede disposizioni applicabili a singole tipologie di procedimenti: così gli artt. 473-bis.47 e ss. c.p.c. sono riferite in modo esclusivo ai procedimenti di separazione e di divorzio dinanzi al giudice (contenziosi e su accordo delle parti).

Lo schema procedimentale comune si presenta come una sorta di contenitore elastico, flessibile, destinato a modellarsi sulla singola situazione sostanziale dedotta nel processo.

Il nuovo rito ed il sistema delle preclusioni e della proposizione di nuove domande

Il procedimento è introdotto con ricorso, mentre il convenuto deve costituirsi con comparsa di risposta in data anteriore all'udienza, con la particolarità che, nell'ambito di diritti disponibili (diritti economici intercorrenti tra i coniugi e diritto al mantenimento del figlio maggiorenne), essi devono contenere a pena di decadenza l'allegazione dei fatti costitutivi, la formulazione delle domande, anche riconvenzionali, la deduzione delle eccezioni riservate alla parte e le iniziative probatorie sia in ordine ai fatti costitutivi che ai fatti che costituiscono eccezione.

Sul punto si osserva che il d.lgs. n. 149/2022 prevede preclusioni e decadenze concentrate negli atti introduttivi e non diluiti in successive memorie, da depositare anteriormente all'udienza, destinate, a contraddittorio perfezionato, alla formulazione delle prove a pena di decadenza, differenziando per tale aspetto i principi direttivi sul processo di famiglie e dei minori con le diverse opzioni adottate nel processo comune di rito ordinario.

Nell'ambito del processo familiare e minorile tutto si preclude con gli atti introduttivi, sul modello del rito del lavoro.

Pertanto, si è in presenza di uno schema caratterizzato: da atti introduttivi completi; da un sistema di preclusioni decadenziali collegato ad una fase introduttiva a scansione definita (ricorso, comparsa di risposta e sequenza di memorie), preclusioni valevoli - come esplicitato nel dato positivo - per i soli diritti disponibili e, dunque, non anche per i diritti indisponibili; da un'udienza di comparizione che può concludersi con la definizione dell'intera causa, pur se è prevista la possibilità, ove il processo debba proseguire per le domande accessorie, che venga emessa una sentenza parziale sullo status; da un potere permanente di intervento del giudice volto all'adeguamento della regolamentazione dei rapporti personali e patrimoniali delle parti alle situazioni fattuali ed ai nuovi accertamenti istruttori.

Con l'entrata in vigore della normativa conseguente alla legge delega, la competenza per materia sui giudizi di separazione e divorzio spetterà in primo grado alle istituende sezioni circondariali del "Tribunale della famiglia" che dovrebbero decidere in composizione monocratica (come stabilisce l'art 1, comma 24, lett. n), l. n. 206/2021, col superamento, pertanto, dell'attuale regola della collegialità imposta dall'art. 50-bis, comma 1, n. 1, c.p.c. (trattandosi di giudizi in cui è obbligatorio l'intervento del Pubblico Ministero ex art. 70, comma 1, n. 2, c.p.c.); ai sensi della lett. o dello stesso comma, giudice d'appello avverso i provvedimenti che definiscono tali processi saranno le sezioni distrettuali dello stesso "Tribunale della famiglia" (e non più, quindi, la Corte d'Appello), sezioni che, come precisa, la norma appena evocata giudicheranno in composizione collegiale.

Novità si prospettano relativamente alla competenza per territorio. In applicazione, infatti, di quel che dispone l'art. 473-bis.47 c.p.c. (che rinvia all'art. 473-bis.11, comma 1, c.p.c.), qualora vi siano figli minori, giudice competente per territorio sarà quello del luogo “in cui il minore ha la residenza abituale". Se vi è stato trasferimento del minore non autorizzato e non è decorso un anno, è competente il tribunale del luogo dell'ultima residenza abituale del minore prima del trasferimento”.

In tale maniera si prevede quale criterio di competenza prevalente quello della residenza abituale del minore che corrisponde al luogo in cui si trova di fatto il centro della sua vita al momento della proposizione della domanda, salvo il caso di illecito trasferimento.

Nel caso invece che non vi siano figli (o questi siano maggiorenni), si applicherà il criterio di residenza del coniuge convenuto, ovvero “in caso di irreperibilità o residenza all'estero del convenuto, è competente il tribunale del luogo di residenza dell'attore o, nel caso in cui l'attore sia residente all'estero, qualunque tribunale della Repubblica”, per come previsto dall'art. 473-bis.47 c.p.c.

Al riguardo si segnala che l'art. 29 del d.lgs. n. 149/2022 ha sostituito l'art. 31 della l. n. 218/1995, richiamando le norme di conflitto uniforme volte a designare il diritto applicabile ai procedimenti di separazione personale e divorzio previste dal regolamento UE n. 1259/2010 (Roma III).

Il nuovo articolo 31 così recita: “(Scelta della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale). — 1. La separazione personale e lo scioglimento del matrimonio sono regolati dalla legge designata dal regolamento n. 2010/1259/ UE del Consiglio del 20 dicembre 2010 relativo ad una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, e successive modificazioni. 2. Le parti possono designare di comune accordo la legge applicabile, ai sensi dell'articolo 5 del regolamento, mediante scrittura privata. La designazione può avvenire anche nel corso del procedimento, sino alla conclusione dell'udienza di prima comparizione delle parti, anche con dichiarazione resa a verbale dai coniugi, personalmente o a mezzo di un procuratore speciale”.

Il legislatore ha abbondonato il criterio della legge nazionale comune ai due coniugi ovvero della legge dello Stato nel quale la vita risulta prevalentemente localizzata, per valorizzare l'autonomia dei coniugi nella scelta della legge applicabile.

Per quanto concerne l'atto introduttivo del giudizio la normativa sul nuovo “procedimento in materia di famiglia”, che come detto sarà applicabile pure ai giudizi delle crisi matrimoniale, prevede indicazioni più analitiche di quanto facciano ora l'art. 706 c.p.c. e l'art. 4, comma 2, l. div. il riferimento è al dovere delle parti (il cui inadempimento sarà “sanzionato”: l'art. 473-bis.18 così dispone: “Il comportamento della parte che in ordine alle proprie condizioni economiche rende informazioni o effettua produzioni documentali inesatte o incomplete è valutabile ai sensi del secondo comma dell'articolo 116, nonché ai sensi del primo comma dell'articolo 92 e dell'articolo 96”. Pertanto, il legislatore ha previsto che la violazione del dovere di leale collaborazione è valutabile ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., ai fini dell'assunzione dei provvedimenti interinali nell'interesse dei coniugi e della prole ovvero riveste contenuto pecuniario, concretandosi dunque nella condanna al risarcimento del danno a carico della parte inadempiente), ove siano proposte domande di contributo economico o in presenza di figli minori (cfr. art. 473-bis.12, comma 3, c.p.c.), di depositare una più completa e dettagliata documentazione fiscale e finanziaria (oltre alla denuncia dei redditi, le parti saranno tenute a depositare “la documentazione attestante la titolarità di diritti reali su beni immobili e beni mobili registrati, nonché di quote sociali” nonché “gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni”) con riferimento a un arco temporale esplicitamente indicato (superando così i dubbi interpretativi sorti in passato riguardo all'analoga, ma più ristretta, previsione dell'art. 706, comma 3, c.p.c. [art. 4, comma 6, l. div.], ove si prevede che “al ricorso e alla memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate”.), ovvero quello degli ultimi tre anni (precedenti al momento della proposizione della domanda) [cfr. art. 473-bis.48 c.p.c. che rinvia all'art. 473-bis.12, terzo comma, c.p.c.: altri requisiti previsti dalla norma in esame la cui applicabilità sarà verosimilmente estesa al ricorso introduttivo dei giudizi di separazione e divorzio (dal legislatore delegato o in via interpretativa) sono quelli del "deposito di copia dei provvedimenti eventualmente già adottati all'esito di uno dei procedimenti di cui alla lettera a [dello stesso comma, i.e. di uno dei procedimenti cui si applicherà il nuovo procedimento in materia di famiglia]", nonché "l'indicazione di procedimenti penali in cui una delle parti o il minorenne sia persona offesa"].

L'assetto da stabilirsi dipende da una valutazione del quadro economico sottostante, per la quale risulta necessario disporre della necessaria documentazione di riferimento. Ciò anche al fine di avere contezza dei presupposti fattuali in forza dei quali sono stati assunti determinati provvedimenti, e conoscere quindi i necessari dati per una eventuale futura modifica o variazione dell'assetto così determinato.

Nei procedimenti appena menzionati, è quindi richiesto un comportamento di lealtà processuale particolarmente pregnante, che si manifesta con l'offerta degli elementi probatori utili a ricostruire le effettive condizioni economiche delle parti e giunge fino a richiedere a ciascuna di esse di fornire al giudice elementi di prova contrari al proprio personale interesse, giustificati dalla particolarità della materia del contendere, legata ad interessi aventi rilievo costituzionale (artt. 2, 29 e 30 Cost.).

In altri termini, i procedimenti di separazione e divorzio contenziosi riformati saranno anzitutto caratterizzati da atti introduttivi contenenti l'allegazione completa dei fatti e dei mezzi di prova.

Tale previsione assolve ad una duplice funzione da un lato consente al giudice di emettere, in sede di prima udienza, provvedimenti provvisori completi dall'altro evita che nel prosieguo del processo le parti possano avanzare una richiesta di modifica di essi.

In presenza di prole minore, poi, i coniugi saranno tenuti - sempre in virtù della norma appena ricordata - al deposito del c.d. “piano genitoriale”, attestante le attività quotidiane dei figli, le frequentazioni parentali e amicali, le vacanze godute, la cui funzione parrebbe quella di fornire al giudice un quadro completo degli “impegni e attività quotidiane” dei figli, agevolandolo così (quanto ai giudizi della crisi matrimoniale) nell'assunzione dei provvedimenti temporanei e urgenti nel loro interesse, ma direi pure nella decisione della causa.

Si deve precisare che nella materia dei diritti indisponibili qual è integralmente la materia minorile, sia per i diritti personali che per i diritti economici, le preclusioni non possono essere applicate dovendosi richiamare le regole di un processo non più dispositivo, ove la domanda, e l'allegazione del fatto, non è più dominio della sola parte, ma anche del p.m., finanche del giudice.

I principi direttivi ovviamente contengono riaperture dettate dal contraddittorio (il ricorrente conoscerà le difese del convenuto solo attraverso la lettura della comparsa e quindi potrà replicare in udienza e il convenuto avrà modo di replicare anch'egli alle eventuali novità dedotte dall'attore in udienza in un termine da fissarsi).

Invero, con riferimento agli atti introduttivi e alla determinazione del thema decidendum, il legislatore delegato ha optato per l'applicabilità nei giudizi della crisi matrimoniale della possibilità per le parti di “introdurre nuove domande e nuovi mezzi di prova relativi all'affidamento e al mantenimento dei figli minori”, ergo senza la necessità di allegare sopravvenienze extra o intra processuali) (cfr. art. 473-bis.19, comma 2, c.p.c.). La novità è costituita dalle riaperture per "nuovi accertamenti istruttori", tutto questo rende meno rigorosa l'applicazione delle decadenze, poiché le novità discendenti dall'assunzione della prova possono riaprire i termini difensivi delle parti in ordine ad allegazioni e prove.

Al contrario, lo stesso potere è limitato quanto alle domande nuove concernenti il “mantenimento delle parti e dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti” “se si verificano mutamenti nelle circostanze o a seguito di nuovi accertamenti istruttori” (art. 473-bis.19, comma 2, c.p.c.).

Tale soluzione è condivisibile, laddove da una parte svincola dal rigore dei meccanismi preclusivi le istanze relative alla prole minorenne (in ragione del superiore interesse di ogni provvedimento che la riguarda), dall'altra ribadisce il principio secondo cui la formazione dell'oggetto del giudizio non può che essere permeabile al mutamento delle circostanze interne o esterne al processo.

Al riguardo deve evidenziarsi che il legislatore delegato - rispetto alla originaria previsione della lett. i) del comma 23 del citato art. 1, l. n. 206/2021 - ha escluso dalla possibilità per le parti di “introdurre nuove domande e nuovi mezzi di prova”, l'affidamento ed il mantenimento dei figli maggiorenni portatori di handicap grave.

Al contrario, le rigide disposizioni in tema di preclusioni probatorie di cui agli all'art. 473-bis.17 c.p.c. (rispettivamente per l'attore e il convenuto) previste nel futuro “procedimento in materia di famiglia” dovranno essere adattate al peculiare meccanismo di formazione del thema decidendum e probandum nei giudizi della crisi matrimoniale; la nuova regola secondo cui le parti, fin dal primo atto difensivo, sono soggette all'onere di indicare a pena di decadenza i mezzi di prova e i documenti di cui intendono avvalersi (seppure relativamente ai soli diritti disponibili), opererà per l'attore con riferimento non al ricorso introduttivo, bensì alla memoria di costituzione integrativa ex art. 709, comma 3, c.p.c. (art. 4, comma 10, l. div.) e, per il convenuto, alla memoria di costituzione di cui alle stesse norme (memoria eventualmente integrativa di quella prevista all'art. 706, comma 3, c.p.c. [art. 4, comma 5, l. div.] se già depositata).

L'eliminazione della struttura bifasica del giudizio e la disciplina dei provvedimenti urgenti

Da quanto precede, emerge che i procedimenti di separazione e divorzio contenziosi del futuro non saranno più caratterizzati da una struttura bifasica, com'è attualmente, ossia dalla fase dinanzi al presidente (per il tentativo di conciliazione e, in caso di fallimento di esso, per l'emanazione dei provvedimenti provvisori e urgenti) e dalla successiva dinanzi al giudice istruttore (la fase di merito che segue sostanzialmente le regole del processo di cognizione).

Il riordino sopprime la struttura bifasica presidenziale-merito, con sensibile riduzione dei tempi e del numero degli atti di parte; la figura del giudice esce molto rafforzata e più dinamica nella gestione del processo.

Difatti nel “rito unificato” la prima udienza - da tenersi entro novanta giorni dal deposito del ricorso ex art. 473-bis.14, comma 3, c.p.c., - è snodo centrale e in tale ambito risultano concentrate le attività proprie dell'udienza presidenziale di cui all'art. 708 c.p.c., dell'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. e di quella di precisazione delle conclusioni.

Il riferimento è al profilo di maggiore specialità di tali giudizi, ovvero la fase presidenziale finalizzata al tentativo di conciliazione e all'assunzione dei provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole.

Pertanto, con la riforma verrà meno la tipica divisione dei processi di separazione e di divorzio in due fasi, la prima delle quali davanti al presidente (ora del tribunale e, in futuro, della sezione distaccata del nuovo "Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie" [d'ora in poi, per brevità, "Tribunale della famiglia"]), l'altra, invece, innanzi al giudice istruttore, dal momento che il presidente del tribunale sarà chiamato solo ad adottare i provvedimenti indifferibili resi inaudita altera parte, da confermare, modificare o revocare nel contradditorio delle parti in una apposita udienza fissata nel termine di quindi giorni, per come previsto dall'art. 473-bis.15 c.p.c.

Tali procedimenti, poi, si gioveranno di un sistema di provvedimenti provvisori e urgenti, attraverso il quale il presidente o il giudice da lui delegato (art. 473-bis.15 c.p.c.) dettano una disciplina interinale, generalmente a natura sommaria, per far fronte a situazioni che richiedono un intervento immediato in attesa della pronuncia definitiva, più ampio ed articolato rispetto a quello vigente, giacché si prevede la possibilità di emettere una misura, con presupposti rigorosamente cautelari, al momento del deposito del ricorso e, quindi in limine litis, prima della prima udienza e inaudita altera parte, salvo convalida, qualora il procedimento non possa convertirsi in una soluzione negoziale per accordo.

Si tratta di provvedimenti provvisori di natura anticipatoria che il giudice pronuncia, in coerenza con l'esperienza previgente delle ordinanze presidenziali ex art. 708 c.p.c., dovendo, per la particolarità dei diritti implicati (affidamento del figlio, diritti economici di natura latu sensu alimentare), essere dettata immediatamente una regola concreta di comportamento alle parti.

In tal caso il presupposto cautelare non è più richiesto, trattandosi di misure anticipatorie che lo implicano sempre.

Tutti i provvedimenti anticipatori sono impugnabili innanzi al collegio sul modello - non esplicitamente richiamato, ma implicitamente adottato - del reclamo cautelare. Correttamente le misure anticipatorie possono essere modificate solo in presenza di fatti sopravvenuti o di nuovi accertamenti istruttori, differentemente dall'attuale regime dell'art. 709, ultimo comma, c.p.c.

Tale previsione attua un sensibile ampliamento del potere cautelare del giudice.

Il modello processuale per i provvedimenti inaudita altera parte è, con evidenza, quello della tutela cautelare urgente. Non è, tuttavia, chiaro se l'intento sia quello di richiamare solo i parametri di rilevanza giuridica dell'urgenza, cioè l'imminenza e la irreparabilità, ovvero in toto le previsioni dell'art. 700, c.p.c., compreso il ruolo e la struttura della misura entro il sistema cautelare. Quest'ultima ipotesi implicherebbe non secondarie problematiche, quali la necessità di considerare la residualità della tutela in discorso rispetto alle misure cautelari tipiche.

A tal riguardo, l'art. 473-bis.14 c.p.c., il quale - come visto - regola il contenuto del ricorso introduttivo del processo secondo il nuovo rito della famiglia, stabilisce che con il decreto di fissazione della prima udienza (che, nel caso de quo, sarà quella davanti al presidente ex artt. 707, 708 c.p.c. e 4, comma 7 e 8, l. div.) il presidente “informa inoltre le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare”.

Tuttavia, ove le parti (normalmente l'attore, ma potrebbe trattarsi anche del convenuto, oppure di entrambi nell'incrociarsi di reciproche addebiti) alleghino negli atti introduttivi “qualsiasi forma di violenza” prevista dalla più ricordata Convenzione di Istanbul (ergo, contro la donna o di tipo "domestico"): al verificarsi di quest'ipotesi il presidente non potrà esperire il tentativo di conciliazione.

Altra innovazione consiste in un ulteriore adempimento processuale (rispetto a quelli attualmente previsti) che si inserisce tra il tentativo di conciliazione (nel caso che esso fallisca) e l'assunzione dei provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole, adempimento che si concreta nell'invito rivolto dal giudice alle parti ad esperire un tentativo di mediazione familiare (art. 473-bis.10 c.p.c.); se una di esse non accoglie tale invito (e, a maggior ragione, se rifiutano entrambe), il giudice può senz'altro pronunciare le misure interinali ex art. 473-bis.22 c.p.c.

Pertanto, qualora ne ravvisi l'opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'art. 473-bis.22 c.p.c. per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli.

La norma riproduce il contenuto dell'attuale art. 337-octies, comma 2, c.c. e risponde all'idea che laddove le parti, motivate a percorrere la strada della mediazione, esprimano il loro accordo in tal senso, il giudice possa anche rinviare l'adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti che pure sarebbe tenuto a emanare. La disposizione mira a consentire alle parti interessate alla mediazione di verificare la possibilità di una soluzione bonaria del conflitto, evitando che il nuovo assetto che diversamente sarebbe stato determinato dal giudice possa compromettere la prosecuzione della via del dialogo.

Infine, altra novità è relativa alla sorte dei provvedimenti adottati dal presidente o dal giudice da lui delegato “dei provvedimenti indifferibili necessari nell'interesse dei figli e, nei limiti delle domande da queste proposte delle parti” (art. 473-bis.15), infatti è prevista la fissazione nei successivi quindici giorni della udienza per “la conferma, modifica o revoca dei provvedimenti adottati con il decreto”.

Passando ora a considerare la fase dei giudizi della crisi matrimoniale che si svolge davanti al giudice istruttore, l'art. 473-bis.24 c.p.c. si occupa del regime di impugnabilità dell'ordinanza con cui il giudice istruttore modifica o revoca dei provvedimenti temporanei e urgenti assunti a seguito del fallimento del tentativo di conciliazione.

Infatti, l'art. 473-bis.24 c.p.c. prevede: “contro i provvedimenti temporanei e urgenti di cui al primo comma dell'articolo 473-bis.22 c.p.c. si può proporre reclamo con ricorso alla corte di appello. È altresì ammesso reclamo contro i provvedimenti temporanei emessi in corso di causa che sospendono o introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, nonché quelli che prevedono sostanziali modifiche dell'affidamento e della collocazione dei minori ovvero ne dispongono l'affidamento a soggetti diversi dai genitori. Il reclamo deve essere proposto entro il termine perentorio di dieci giorni dalla pronuncia del provvedimento in udienza ovvero dalla comunicazione, o dalla notificazione se anteriore. Eventuali circostanze sopravvenute sono dedotte davanti al giudice di merito”.

Il legislatore non ha equiparato in tema di impugnabilità l'ordinanza presidenziale e quella del giudice istruttore, sebbene esse dispongano sul regime interinale della famiglia nelle more del giudizio di separazione, dal momento che la reclamabilità è espressamente prevista solo per i “provvedimenti temporanei ed urgenti di cui al primo comma dell'art. 473-bis.22”, tenuto conto che per i provvedimenti presidenziali è previsto – per come prima riferito, una apposita udienza per la eventuale conferma, modifica o revoca.

Passando poi alle disposizioni che riguardano specificamente i procedimenti di separazione e di divorzio si evidenziano due rilevanti novità: una relativa ai procedimenti contenziosi, l'altra relativa ai procedimenti su accordo delle parti.

Il cumulo della domanda di separazione e di quella di divorzio

Riguardo ai procedimenti contenziosi, novità di sicuro interesse è rappresentata dal riconoscimento della possibilità di cumulare in uno stesso processo la domanda di separazione e quella di divorzio: art. 473-bis.49 (Cumulo di domande di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio): “negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale le parti possono proporre anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse. Le domande così proposte sono procedibili decorso il termine a tal fine previsto dalla legge, e previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale. Se il giudizio di separazione e quello di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio sono proposti tra le stesse parti davanti a giudici diversi, si applica l'articolo 40. In presenza di figli minori, la rimessione avviene in favore del giudice individuato ai sensi dell'articolo 473 -bis .11, primo comma. Se i procedimenti di cui al secondo comma pendono davanti allo stesso giudice, si applica l'articolo 274. La sentenza emessa all'esito dei procedimenti di cui al presente articolo contiene autonomi capi per le diverse domande e determina la decorrenza dei diversi contributi economici eventualmente previsti”.

La norma di cui all'articolo 473-bis.49 c.p.c. dà attuazione a uno dei principi di delega contenuti nell'art. 1, comma 23, lett. bb), della l. n. 206/2021, nella parte in cui “si invita il legislatore delegato a “prevedere che nel processo di separazione tanto il ricorrente quanto il convenuto abbiano facoltà di proporre domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, disponendo che quest'ultima sia procedibile solo all'esito del passaggio in giudicato della sentenza parziale che abbia pronunciato la separazione e fermo il rispetto del termine previsto dall'articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e che sia ammissibile la riunione dei procedimenti aventi ad oggetto queste domande qualora pendenti tra le stesse parti dinanzi al medesimo tribunale, assicurando in entrambi i casi l'autonomia dei diversi capi della sentenza, con specificazione della decorrenza dei relativi effetti”.

Dunque, nell'ambito del nuovo rito unificato è possibile la proposizione contestuale della domanda di separazione giudiziale e di divorzio contenzioso, aprendosi la via ad un unico procedimento, con un unico rito, dinanzi ad un unico giudice.

Segnatamente, il simultaneus processus potrà realizzarsi in due diversi modi: --a) proponendo la domanda di scioglimento del matrimonio negli atti introduttivi del procedimento di separazione (in questo caso, tale pretesa sarà “procedibile solo all'esito del passaggio in giudicato della sentenza parziale che abbia pronunciato la separazione e fermo il rispetto del termine [dodici mesi dall'avvenuta comparizione personale dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale] previsto dall'art. 3 l. n. 898/1970 come modificato dall'art. 27 del d.lgs. n. 149/2022, la legge delega precisa che il cumulo può avvenire su iniziativa sia del ricorrente sia del convenuto); --b) disponendo la riunione dei due giudizi (separazione e divorzio), qualora essi siano pendenti davanti allo stesso tribunale ai sensi dell'art. 274 c.p.c. ovvero qualora siano pendenti dinanzi a giudici diversi trova applicazione l'art. 40 c.p.c. (art. 473-bis.49 c.p.c.). Si tratta, quindi, di due procedimenti introdotti separatamente e che solo successivamente confluiscono in un unico procedimento. L'obiettivo è quello di consentire che sia “trasfusa” l'intera istruttoria già realizzata nel procedimento separativo all'interno del procedimento divorzile, con evidente rispetto del principio di economia processuale, ma anche quello “di ridurre il numero dei procedimenti pendenti dinanzi alle corti superiori in quanto, qualora impugnata la sentenza emessa all'esito della definizione del giudizio di primo grado sui procedimenti riuniti, genererà un unico procedimento pendente in corte di appello ed in Cassazione, in luogo di due (impugnazione della separazione e successivamente del divorzio)”.

Si tratta, dunque, di una procedibilità (per la domanda di divorzio) condizionata ad un doppio requisito: passaggio in giudicato della sentenza “parziale” di separazione (prevista dal vigente all'art. 709 bis c.p.c.) e rispetto del tempo di ininterrotta separazione previsto dall'art. 3 l. div. In particolare una pronuncia passata in giudicato (quella sulla separazione) è pregiudiziale all'altra (quella di divorzio) e lo svolgimento di una parte di un procedimento (quello di separazione fino alla sentenza parziale sullo status) è propedeutico allo svolgimento dell'altro procedimento (quello di divorzio).

Accade allora che il divorzio è introdotto contestualmente alla separazione ma la sua trattazione è ferma fino al maturare delle indicate condizioni previste dalla legge. Propriamente la trattazione delle due cause è scaglionata, pur se è da chiarire se il riferimento è al solo status od anche alle domande a questa connesse (affidamento dei figli, assegnazione della casa familiare, determinazione del contributo al mantenimento della prole e del coniuge), ossia alle domande per le quali occorre compiere accertamenti analoghi nei due procedimenti.

Ad avviso della Commissione Luiso la contemporanea proposizione del giudizio di separazione giudiziale e di divorzio contenzioso è consentita in quanto la contemporanea proposizione di domande di stato, tra le quali sussista rapporto di pregiudizialità (essendo necessario il passaggio in giudicato dell'una domanda perché ricorra la condizione per proporre dell'altra), non è ostacolata dall'esistenza di tale rapporto, potendo la seconda domanda essere decisa solo all'esito del passaggio in giudicato della prima; di contro, l'opzione “garantirà economie processuali, potendo il giudice per numerose domande (affidamento dei figli, assegnazione della casa familiare, determinazione del contributo al mantenimento della prole, del coniuge e dell'ex coniuge) compiere analoghi accertamenti, con considerevole risparmio di tempo e di energie processuali”.

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha affermato che la contemporanea proposizione di domande di stato, tra le quali sussista rapporto di pregiudizialità, essendo necessario il passaggio in giudicato dell'una domanda perché ricorra la condizione per proporre l'altra, non è ostacolata dall'esistenza di un rapporto di pregiudizialità, potendo la seconda domanda essere decisa solo all'esito del passaggio in giudicato della prima (Cass., Sez. 6, 3 luglio 2018, n. 17392, Rv. 650189-01, in merito alla contemporanea proposizione di domanda di disconoscimento di paternità e di accertamento giudiziale di paternità).

Dalla propedeuticità di una pronuncia rispetto all'altra discende l'autonomia dei diversi capi della sentenza, per cui la sentenza che decide le due cause è formalmente unica ma contiene pronunce sostanzialmente autonome, mantenendosi separati i capi a contenuto patrimoniale anche a cagione della diversa funzione cui assolvono.

Infatti, l'art. 473-bis.49, ultimo comma, c.p.c. dispone che “la sentenza emessa all'esito dei procedimenti di cui al presente articolo contiene autonomi capi per le diverse domande” [quello di separazione e quello di divorzio], si tratta di disposizione superflua, considerato che l'autonomia di capi di sentenza su diverse domande è già nell'ordine delle cose e non richiede certo di essere garantita da alcun intervento normativo.

Si tratta di un'innovazione - la possibilità di cumulo dei giudizi della crisi matrimoniale - che si rivelerà probabilmente utile per risolvere le (tante) questioni di interferenza tra i processi di separazione e quello di divorzio (proposti autonomamente).

Tali problemi si pongono nel caso in cui la domanda di divorzio consegua, come spesso avviene, a una sentenza non definitiva di separazione. Una questione di interferenze tra giudizio di separazione (contenziosa) e divorzio non si pone, invece, allorché la domanda di scioglimento del matrimonio sia fondata su una sentenza definitiva di separazione (e la separazione si sia protratta per il termine di cui all'art. 3, n. 2, lett. b, l. div.); in questa ipotesi, infatti, il presupposto del passaggio in giudicato della sentenza di separazione esclude in radice la contemporanea pendenza dei due processi.

Deve, tuttavia, evidenziarsi che una siffatta facoltà, nei casi di forte conflittualità, che nei giudizi in questione raggiunge picchi inusuali in altre materie, apre al rischio di impugnazioni strumentalmente volte a impedire il passaggio in giudicato della sentenza sullo status al fine di procrastinare per periodi di tempo significativamente lunghi ove l'impugnazione prosegua anche in Cassazione. V'è da ritenere che, in quanto facoltà, il giudice possa rigettarla: anche per questa pronuncia, tuttavia, sarebbe necessario attendere la conclusione del giudizio di separazione, con un allungamento dei tempi che non pare coerente con lo spirito acceleratorio delle novità in commento né col principio della ragionevole durata del processo.

Il piano genitoriale

L'art. 473-bis.50 c.p.c. attua i principi di delega contenuti nell'art. 1, comma 23, lettere g) e r), della l. n. 206 del 2021, nella parte in cui è disposto che “il giudice, quando adotta i provvedimenti temporanei e urgenti di cui all'art. 473-bis.22, primo comma, indica le informazioni che ciascun genitore è tenuto a comunicare all'altro e può formulare una proposta di piano genitoriale tenendo conto di quelli allegati dalle parti. Se queste accettano la proposta, il mancato rispetto delle condizioni previste nel piano genitoriale costituisce comportamento sanzionabile ai sensi dell'art. 473-bis.39”.

La norma, da leggersi in collegamento con quella di cui all'art. 473-bis.12 c.p.c. (che al quarto comma precisa che “Nei procedimenti relativi ai minori, al ricorso è allegato un piano genitoriale che indica gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente godute”) prevede che, con i provvedimenti, anche temporanei, che statuiscono sull'affidamento della prole, il giudice indichi le informazioni che ciascun genitore deve comunicare all'altro e costituisce piana applicazione dei principi dell'affidamento, anche per le ipotesi di affidamento esclusivo o esclusivo rafforzato. Invero, anche in queste ultime due ipotesi il genitore non affidatario mantiene il generale potere/dovere di vigilanza (art. 337-quater, ultimo comma, c.c.), che può essere esercitato solo ove il genitore sia in possesso delle informazioni sulla vita del figlio. La previsione che sia il giudice a indicare specificatamente le informazioni che un genitore deve comunicare all'altro avrà un effetto deflattivo del contenzioso “satellitare”, così impedendo il sorgere di controversie aventi ad oggetto l'individuazione delle notizie sulla vita del figlio che ciascun genitore ha il diritto di avere dall'altro. La seconda parte dell'articolo prevede che, nel formulare la propria proposta di piano genitoriale, il giudice tenga conto di quelli allegati dalle parti, pur potendosene discostare, in ragione degli ampi poteri officiosi di cui dispone.

La violazione del piano genitoriale proposto dal giudice e accettato dai genitori, costituisce autonomo comportamento sanzionabile ai sensi dell'art. 473 bis.39 c.p.c.

Il procedimento su domanda congiunta

L'art. 473-bis.51 c.p.c. introduce un procedimento su domanda congiunta, attuando i principi di delega contenuti nell'art. 1, comma 17 lett. o).

Tale norma è diretta ad assicurare l'omogeneità delle procedure e, quindi, la piena razionalizzazione della materia, si compattano anche i riti per i procedimenti su accordo delle parti, siccome seguiranno il medesimo iter sia quelli di separazione che quelli di divorzio, ma anche quelli per l'affidamento e il mantenimento dei figli delle coppie non coniugate.

Si è, quindi, al cospetto di altri due riti distinti tra loro e, a loro volta, distinti dal rito “unificato” applicabile ai procedimenti di separazione e divorzio contenziosi siccome, in ragione dell'accordo tra le parti, sono richieste modalità semplificate e più celeri.

Le novità distintive di tale nuovo giudizio rispetto a quello già regolato sono due.

La prima attiene al contenuto dell'atto introduttivo, nel quale sarà necessario dar conto delle “disponibilità reddituali, patrimoniali dell'ultimo triennio” e degli “oneri a carico delle parti, nonché le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici”.

Tale precetto pare mutare poco sul piano applicativo, in quanto si risolve sostanzialmente nel dovere di indicare le “condizioni” di separazione (o di quelle relative allo scioglimento del matrimonio su domanda congiunta), indicazione che già ora i coniugi normalmente effettuano nel ricorso con cui instaurano il procedimento.

Più rilevante la seconda innovazione prospettata nell'art. 473-bis.51, comma 2, c.p.c. che si concreta nella possibilità che le parti si avvalgano della “facoltà di sostituire l'udienza con il deposito di note scritte”, facendone “richiesta nel ricorso, dichiarando di non volersi riconciliare e depositando i documenti di cui all'art. 473-bis.13, comma 3”.

Il legislatore ha ravvisato nell'udienza a trattazione scritta uno strumento che risponde ad esigenze di efficienza in termini di durata del processo (consentendo al giudice una migliore organizzazione del carico di lavoro e agli avvocati di evitare impegni concomitanti) per cui la utilizza in siffatta proiezione.

Tuttavia, tale previsione solleva dubbi in ordine alla previsione che l'udienza presidenziale - sostanzialmente finalizzata, in tali giudizi, al tentativo di conciliazione (non essendo prevista l'assunzione dei provvedimenti interinali) - possa svolgersi in forma diversa da quella orale, senza cioè la presenza dei coniugi davanti al giudice. Se è pur vero, infatti, che la conciliazione in questa sede rappresenti un accadimento molto raro, l'unica chance di successo è affidata all'eventuale capacità persuasiva del presidente, una capacità che può esplicarsi unicamente nel confronto, in presenza con i coniugi.

La dottrina quasi unanime ritiene che, nel silenzio della legge, sia da escludere che nei giudizi de quibus il presidente possa emanare i provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole, a differenza di quanto avviene invece nei procedimenti di separazione giudiziale e di divorzio contenzioso.

E del resto, permettere che questi ultimi possano rilasciare, anticipatamente, la dichiarazione di non volersi conciliare significa rendere impossibile "a monte" che tale adempimento abbia luogo, contraddicendo in tal modo la centralità che esso ricopre nell'assetto normativo dell'attuale art. 711 c.p.c. (ossia la disposizione esplicitamente indicata dal legislatore delegato quale "modello" per il nuovo giudizio di soluzione giudiziale e consensuale dei procedimenti della crisi matrimoniale [e di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio]).

L'art. 473-bis.51, comma 5, c.p.c. prevede che “in caso di domanda congiunta di modifica delle condizioni inerenti all'esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli e ai contributi economici in favore di questi o delle parti, il presidente designa il relatore che, acquisito il parere del pubblico ministero, riferisce in camera di consiglio. Il giudice dispone la comparizione personale delle parti quando queste ne fanno richiesta congiunta o sono necessari chiarimenti in merito alle nuove condizioni proposte”.

La prima osservazione da fare è che la forma dell'istanza congiunta per l'introduzione del giudizio, fa intendere che - per quel che concerne la revisione delle condizioni di divorzio - il nuovo rito dovrebbe applicarsi solo all'ipotesi che lo scioglimento del matrimonio sia stato chiesto su domanda congiunta (con esclusione, pertanto, di quello c.d. contenzioso o unilaterale); quanto poi alla modifica delle condizioni di affidamento dei figli, ugualmente il nuovo procedimento riguarderà soltanto l'ipotesi che il precedente procedimento sia stato promosso congiuntamente dai genitori.

Se questo è vero, dunque, pare che il legislatore abbia voluto predisporre un rito ad hoc e semplificato per quelle ipotesi di procedimenti consensuali (di soluzione della crisi matrimoniale o di affidamento di figli nati fuori dal matrimonio), con riferimento ai quali si suppone che pure la revisione delle condizioni precedentemente stabilite avvenga su accordo delle parti.

Questo spiega perché, di regola, alla presentazione dell'istanza di modifica delle condizioni segua immediatamente la decisione del tribunale, mentre l'udienza di comparizione personale delle parti rappresenti un'eccezione giustificata vuoi dalla richiesta congiunta di queste, vuoi dalla circostanza che l'organo giudiziario ritenga necessari approfondimenti in merito alle nuove condizioni proposte dalle parti stesse.

Conclusioni

Con il d.lgs. n. 149/2022 il legislatore ha inteso fare ricorso a forme processuali snelle e celeri. In presenza di una situazione di crisi familiare riconosciuta da entrambi i componenti della coppia, forme maggiormente semplificate rispondono più adeguatamente alle esigenze, emerse dall'ordine sociale (anche in funzione di assicurare stabilità a nuovi nuclei familiari), di favorire una pronta dissoluzione del vincolo matrimoniale.

Tale esigenza ha comportato l'eliminazione dei tratti distintivi tra la disciplina del procedimento di separazione consensuale e quella del divorzio su domanda congiunta (procedimento di volontaria giurisdizione da un lato, procedimento contenzioso dall'altro lato, funzione di mero controllo da un lato, funzione decisoria dall'altro lato, decreto di omologazione da un lato e sentenza costitutiva con passaggio in giudicato dall'altro lato), concependo un divorzio congiunto che si piega alle forme della separazione consensuale.

In tal modo il divorzio su domanda congiunta fuoriesce dalle forme contenziose, attualmente vigenti, e recupera le modalità della volontaria giurisdizione, proprie della separazione consensuale, con un ricorso contenente l'accordo, una comparizione che può essere anche rinunziata dalle parti, dichiarandosi di non volersi conciliare, e una successiva omologa con decreto da parte del tribunale.

La stessa modalità di volontaria giurisdizione, nel caso in cui la revisione delle condizioni di separazione e di divorzio o la modifica delle condizioni relative ai figli di genitori non coniugati sia presentata con istanza congiunta.

Inoltre, la previsione dell'art. 473-bis.51, comma 4, c.p.c. della forma della sentenza che riveste il provvedimento con cui il collegio si pronuncerà sulle domande concordate, garantisce una più adeguata circolazione del provvedimento in ambito europeo.

Riferimenti
  • M. Dogliotti, Separazione e divorzio, Torino, 1995, 28.
  • E. Vullo, Nuove norme per i giudizi di separazione e divorzio, in Famiglia e Diritto, 2022, 4, 357 (commento alla normativa).
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