Semilibertà sostitutiva dell'affidamento in prova. Le previsioni della riforma Cartabia in tema di semilibertà

Leonardo Degl'Innocenti
Francesco Faldi
09 Dicembre 2022

I criteri utilizzabili dal Tribunale di sorveglianza per concedere al condannato la misura alternativa alla detenzione della semilibertà sostitutiva di quella dell'affidamento in prova al servizio sociale. Cenni sulla semilibertà disposta come pena sostitutiva o in caso di mancato pagamento della pena pecuniaria secondo le previsioni del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia).
Massima

In caso di gravi reati contro la persona ai fini della formulazione del giudizio prognostico positivo al quale è subordinata ex art. 47 ord. penit. l'applicazione dell'affidamento in prova è necessario che il condannato abbia elaborato una adeguata revisione critica rispetto al disvalore della condotta posta in essere.

Il caso

X. era stato rinviato a giudizio per rispondere del delitto di tentata violenza sessuale di gruppo ex art. 609-octies c.p., commessa con altra persona in danno di una giovane donna, e del delitto di morte come conseguenza del predetto reato ex art. 586 c.p. in quanto la persona offesa, al fine di sottrarsi all'aggressione a sfondo sessuale, tentando di scavalcare il muro divisorio tra il balcone della stanza ove si trovava e la stanza attigua, precipitava al suolo e decedeva a causa delle numerose lesioni politraumatiche riportate.

Il giudice di primo grado aveva affermato la responsabilità di entrambi gli imputati in ordine ai predetti reati, decisione ribaltata dalla Corte di Appello che li aveva mandati assolti per insussistenza del fatto. Tale decisione è stata annullata dalla Corte di cassazione e la Corte di Appello all'esito del giudizio di rinvio, da un lato, ha dichiarato non doversi procedere per il delitto di cui all'art. 586 c.p. per intervenuta prescrizione e, dall'altro, ha condannato gli imputati per il delitto di tentata violenza sessuale di gruppo alla pena di anni 3 di reclusione.

La Corte di cassazione con sentenza del 7.10.2021 n. 39006, ha infine dichiarato inammissibile il ricorso avverso la seconda decisione della Corte di Appello, ponendo fine a questa travagliata vicenda processuale.

Nel rigettare uno dei motivi di ricorso dedotti dall'interessato la Corte ha escluso che nel caso di specie fosse configurabile il meno grave delitto di concorso in violenza sessuale, confermando la propria precedente giurisprudenza secondo la quale ai fini della integrazione del delitto di cui all'art. 609-octies c.p. è sufficiente la presenza anche di solo due persone in quanto l'espressione “più persone riunite”, contenuta nel testo della norma, «comprende anche l'ipotesi che gli autori del fatto siano due»(Cass. pen., sez. III, 7 febbraio 2017, n. 52629, F., in C.E.D. Cass., n. 271878). Secondo la giurisprudenza di legittimità il delitto de quo «si distingue dal concorso di persone nel reato di violenza sessuale, perché non è sufficiente ai fini della sua configurabilità, l'accordo della volontà dei compartecipi, ma è necessaria la simultanea, effettiva presenza dei correi nel luogo e nel momento della consumazione del reato, in un rapporto causale inequivocabile» (Cass. pen., sez. III, 14 marzo 2010, n. 15619, B., ivi, n. 246659, Cass. pen., sez. III, 6 febbraio 2018, n. 44835, T., ivi n.274325; Cass. pen., sez. III, 29 ottobre 2019, n.49723, ivi, n.277505), configurandosi come «una fattispecie autonoma di reato a carattere necessariamente plurisoggettivo proprio, consistente nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis c.p., in cui la pluralità di agenti è richiesta come elemento costitutivo» (Cass. pen., sez. III, 18 luglio 2012, n. 36036, P., in C.E.D. Cass., n. 253687).

Entrambi i condannati hanno beneficiato della sospensione automatica dell'efficacia esecutiva dell'ordine di carcerazione ex art. 656, comma 5 c.p.p. in ragione dell'entità della pena da espiare (non superiore a quattro anni) e della natura del reato: trattandosi di tentativo, infatti, non opera il divieto di sospensione stabilito dal comma 9 della citata norma in relazione ai reati indicati nell'art 4-bis c.p. (nel caso di specie la violenza sessuale di gruppo), e ciò in ragione del fatto che il tentativo costituisce, secondo la communis opinio della dottrina e della giurisprudenza, una fattispecie autonoma rispetto al corrispondente delitto consumato, di talché l'eventuale estensione del divieto di sospensione anche all'ipotesi del tentativo rischierebbe di violare il divieto di analogia in malam partem.

Il Tribunale di Sorveglianza competente per territorio ha rigettato la domanda di affidamento in prova al servizio sociale ed ha applicato ad entrambi i condannati la misura alternativa maggiormente contenitiva della semilibertà. Trattasi della c.d. libertà sostitutiva dell'affidamento in prova che può essere concessa, in caso di pena non superiore a quattro anni, non imputabile ad un delitto ostativo di prima fascia ex art. 4-bis, comma 1 ord. penit., nel caso in cui il Tribunale di Sorveglianza ritenga che non sussistano le condizioni per l'applicazione dell'affidamento in prova (art. 50, comma 1, ultima parte, ord. penit.; istituto che deve essere tenuto distinto dalla semilibertà quale pena sostitutiva, introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, emanato in attuazione della delega conferita al governo con la legge 27 settembre 2021, n.134 - così detta riforma Cartabia).

La questione

La decisione del Tribunale offre lo spunto per affrontare il tema dei criteri utilizzabili per la formulazione del giudizio prognostico positivo al quale è subordinata ai sensi dell'art. 47 ord. penit. l'applicazione dell'affidamento in prova. Nel caso di specie la concessione di tale beneficio è stata negata dal collegio in ragione dell'assenza di una adeguata ed effettiva revisione critica rispetto al disvalore dei gravi reati commessi (dovendosi tener conto anche del delitto di cui all'art. 586 c.p., conseguenza del tentativo di violenza sessuale di gruppo, della cui sussistenza sul piano, per cosi dire fattuale, il Tribunale non poteva non tener conto, fermi restando tutti gli effetti in favorem rei connessi all'accertamento della prescrizione).

Costituisce ius receptum la regola secondo la quale in tema di affidamento in prova al servizio sociale, «ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l'istituto, e, quindi, dell'accoglimento o del rigetto dell'istanza, non possono, di per sé, da soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell'osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato. Questa Corte ha altresì specificato che le fonti di conoscenza che il Tribunale di sorveglianza è chiamato a valutare ai fini di tale giudizio sono da un lato il reato commesso, i precedenti penali, le pendenze processuali e le informazioni di polizia, dall'altro la condotta carceraria ed i risultati dell'indagine sociofamiliare operata dalle strutture di osservazione, onde verificare la sussistenza di elementi positivi che facciano ragionevolmente ritenere la proficuità dell'affidamento quali l'assenza di nuove denunzie, il ripudio delle condotte devianti passate, l'adesione ai valori socialmente condivisi, l'attaccamento al contesto familiare, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna e l'eventuale buona prospettiva risocializzante»(Cass. pen., sez. I, 10 giugno 2022, n. 38784, Bovini, inedita; cfr. anche. Cass. pen., sez. I, 27 maggio 2022, n. 38134. Agresta, inedita; Cass. pen., sez. I, 24 maggio 2022, n. 34862, Romano, inedita; Cass. pen., sez. I, 10 maggio 2022. n. 38830, Alfano, inedita).

Pertanto «pur non potendosi prescindere, dalla natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione, quale punto di partenza dell'analisi della personalità del soggetto, è tuttavia necessaria la valutazione sia della condotta serbata dal condannato in epoca successiva alla commissione del reato sia dei suoi comportamenti attuali che sono essenziali ai fini dell'apprezzamento dell'esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e della prevenzione del pericolo di recidiva. Nel giudizio prescritto dall'art. 47 ord. penit. è, quindi, indispensabile l'esame dei comportamenti attuali del condannato perché non è sufficiente verificare l'assenza di indicazioni negative, ricavabili senz'altro dal passato (si pensi ai precedenti penali), ma è necessario accertare in positivo la presenza di elementi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva. Si deve, pertanto, avere riguardo al comportamento e alla situazione del soggetto dopo i fatti per i quali è stata inflitta la condanna in esecuzione, per verificare concretamente se sussistano, o no, sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e condizioni che ne rendano possibile il reinserimento sociale attraverso la richiesta misura alternativa; ciò non significa acquisire dai risultati dell'osservazione della personalità la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo, al contrario, sufficiente l'avvio di tale processo critico. Tra gli indicatori utilmente apprezzabili in tale ottica, possono essere annoverati l'assenza di nuove denunzie, il ripudio delle pregresse condotte devianti, l'adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna, l'attaccamento al contesto familiare e l'eventuale buona prospettiva di risocializzazione. Il Tribunale di sorveglianza, nell'esaminare le informazioni e le relazioni provenienti dagli organi deputati all'osservazione del condannato, non è, in alcun modo, vincolato dai giudizi di idoneità ivi espressi, ma è tenuto soltanto a considerare le riferite informazioni sulla personalità e lo stile di vita dell'interessato, parametrandone la rilevanza ai fini della decisione alle istanze rieducative e ai profili di pericolosità dell'interessato, secondo il criterio della gradualità nella concessione di benefici penitenziari che governa l'ammissione ai benefici penitenziari; detto criterio, pur non costituendo una regola assoluta e codificata, risponde ad un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative e di prevenzione cui è ispirato il principio stesso del trattamento penitenziario specie quando risulta documentato un non irrilevante vissuto criminale. Ciò che conta, in definitiva, è l'analisi della personalità individuale del condannato e la verifica della sua evoluzione psicologica, che dal fatto di reato si deve estendere ai precedenti e alle pendenze penali, agli eventuali progressi compiuti dal condannato nel periodo successivo ed alla condotta di vita precedente e successiva alla condanna, da condurre sulla scorta dei dati conoscitivi forniti dalla osservazione e dalle valutazioni offerte dal servizio sociale, allo scopo di accertare l'idoneità della misura alternativa a contribuire al reinserimento sociale del condannato ed a contenerne la sua pericolosità sociale, se tuttora esistente» (Cass. pen., sez. I, 15 luglio 2022, n. 36400, De Rosa, inedita. Sui criteri di applicazione dell'affidamento in prova cfr. Ardita-Degl'Innocenti-Faldi, Diritto Penitenziario, Laurus, 2020, pagg.238 e segg.).

Con riguardo ai condannati detenuti ai fini della formulazione del giudizio prognostico positivo al quale è subordinata l'applicazione dell'affidamento in prova assumono rilievo le risultanze dell'osservazione penitenziaria nei termini indicati dall'art. 13 ord. penit., secondo il quale l'osservazione della personalità è finalizzata a «rilevare le carenze psicofisiche o le altre cause che hanno condotto al reato e per proporre un idoneo programma di reinserimento»; (comma 2); nell'ambito dell'osservazione «è offerta all'interessato l'opportunità di una riflessione sul fatto criminoso commesso, sulle motivazioni e sulle conseguenze prodotte, in particolare per la vittima, nonché sulle possibili azioni di riparazione» (comma 3).

Una disposizione particolare è dettata per gli autori dei delitti sessuali indicati nell'art. 4-bis, comma 1-quater ord. penit.: l'eventuale applicazione di una misura alternativa è subordinata allo svolgimento «dell'osservazione specifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione di esperti» in materia di psicologia, psichiatria e criminologia clinica, in modo da offrire al giudice un contributo conoscitivo più approfondito ed articolato. Rammentato che la valutazione dei risultati dell'osservazione annuale è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di sorveglianza, nel senso che essa non esplica alcuna efficacia vincolante, va tenuto presente che in virtù di quanto dispone l'art. 13-bis ord. penit. per gli autori dei delitti sessuali indicati dalla norma (tra i quali figura anche il delitto di violenza sessuale di gruppo ex art. 609-octies c.p.) ai fini dell'eventuale applicazione di una misura alternativa assume rilievo la «partecipazione a un trattamento psicologico con finalità di recupero e di sostegno».

Ai fini dell'applicazione dell'affidamento in prova nei confronti dei condannati detenuti può assumere rilievo anche l'eventuale ammissione del reo al beneficio “minore” del permesso premio e ciò in ossequio al criterio della progressività trattamentale ed alla così detta funzione pedagogico-propulsiva del permesso che, secondo quanto dispone expressis verbis l'art. 30-ter comma 3 ord. penit., costituisce parte integrante del trattamento. Infatti secondo il costante e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità detto criterio «pur non costituendo una regola assoluta e codificata è suggerito dall'esperienza e risponde ad un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative e di prevenzione cui è ispirato il significato stesso del trattamento penitenziario»(Cass. pen., sez. I, 19 aprile 2018, n. 35217, Brusca, inedita; Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 2019, n. 22443, Froncillo; Cass. pen., sez. I, 4 giugno 2019, n. 33162, Habili, inedita; Cass. pen., sez. I, 27 novembre 2019, n. 4688, Ruglio, inedita); in quest'ottica deve pertanto ritenersi che il Tribunale di sorveglianza sia legittimato a concedere una misura alternativa diversa da quella chiesta dall'interessato, se il beneficio concesso è compatibile con quello richiesto e risponde alla logica di gradualità del trattamento rieducativo. Infatti prima di ammettere il condannato a una misura alternativa alla detenzione in carcere, anche quando sono emersi elementi positivi nel comportamento del detenuto, il Tribunale può legittimamente ritenere necessario un ulteriore periodo di osservazione e lo svolgimento di altri esperimenti premiali, al fine di verificare l'attitudine del soggetto ad adeguarsi alle prescrizioni da imporre in sede di concessione del beneficio, specie se il reato commesso sia sintomatico di una non irrilevante capacità a delinquere (Cass. pen., sez. I, 18 ottobre 2019, n. 5213, Lovreglio, inedita; il criterio della gradualità nella concessione dei benefici penitenziari è stato inoltre ribadito da Cass. pen., sez. I, 12 novembre 2020, n. 16576, Del Re, inedita e da Cass. pen., sez. I, 27 novembre 2020, n. 11350, Selva, inedita; Cass. pen., sez. I, 16 aprile 2021, n. 25202, Colicchio, inedita; Cass. pen., sez. I, 17 settembre 2021, n. 43229, Genovese, inedita, nel caso di specie la Corte ha ritenuto legittima l'ordinanza con la quale il Tribunale aveva applicato al condannato, riconosciuto colpevole dei reati di danneggiamento e atti persecutori ex art. 612-bis c.p., la misura alternativa maggiormente contenitiva della detenzione domiciliare in luogo di quella più ampia di cui all'art. 47 ord. penit.; Cass. pen., sez. I, 14 luglio 2022, n. 31640, Serao, inedita).

Da ultimo mette conto segnalare come l'art. 15-bis comma 2 ord. penit., introdotto dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (così detta riforma Cartabia) preveda che al fine dell'applicazione dei benefici penitenziari e delle misure alternative è valutata anche la partecipazione del condannato al programma di giustizia riparativa e l'eventuale esito positivo raggiunto, con la precisazione che, al fine di non pregiudicare l'accesso alle misure alternative, «non si tiene conto in ogni caso della mancata effettuazione del programma, dell'interruzione dello stesso o del mancato raggiungimento di un esito riparativo».

Alla giustizia riparativa è dedicato il Titolo IV (artt. 42-67) del decreto delegato. L'art. 42 definisce la giustizia riparativa come ogni programma che consente alla vittima ed all'autore del reato (e, eventualmente «ad altri soggetti appartenenti alla comunità» quali, ad esempio, i familiari della vittima e dell'autore del reato) di partecipare, se vi consentono, «alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l'aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore».

La giustizia riparativa, alla quale è possibile accedere, non solo nel corso del procedimento di cognizione, ma anche nella fase esecutiva (art. 44), può consistere nella mediazione tra vittima e autore del reato; nel dialogo riparativo, ovvero «in ogni altro programma dialogico guidato da mediatori» svolto nell'interesse delle parti (art. 53).

Tali attività dovrebbero condurre a quello che l'art. 56 definisce come “esito riparativo” e che può consistere o nel compimento di un atto simbolico (es. dichiarazione di scuse formali), ovvero in atti concreti (risarcimento del danno, restituzioni, eliminazione o attenuazione delle conseguenze dannose del reato).

Le soluzioni giuridiche

Il collegio, pur avendo dato atto dell'assenza di precedenti, pendenze e denunce, della disponibilità da parte del condannato di un inserimento lavorativo ed a svolgere attività di volontariato, nonché del versamento di una somma di denaro a favore di una associazione a tutela delle donne vittime di violenza, ha, come detto, rigettato la domanda di affidamento in prova ed ha applicato, d'ufficio, la misura alternativa maggiormente contenitiva della semilibertà. La motivazione è incentrata sull'assenza di una adeguata revisione critica rispetto al disvalore del reato commesso ritenuta dal collegio una condizione ostativa alla possibilità di formulare il giudizio prognostico positivo richiesto dall'art. 47 ord. penit., o, se si preferisce, un elemento che rende inidoneo l'affidamento in prova a perseguire e realizzare le finalità risocializzanti indicate dalla norma.

Il percorso argomentativo seguito dal Tribunale muove dal diniego da parte del giudice della cognizione di concessione delle attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis c.p. in ragione «della mancanza del benché minimo senso di colpa, subito dopo la commissione dei gravi reati di cui si sono resi partecipi, hanno continuato la vacanza come se nulla fosse accaduto, senza scrupoli, indifferenti, spensierati e continuando a divertirsi, come dimostra il tenore del post da loro pubblicato su facebook».

Mette conto segnalare che tale statuizione è stata ritenuta legittima anche dalla Suprema Corte: nella motivazione della sentenza 7.10.2021 i giudici di legittimità hanno affermato che «la giovane età dell'imputato non può giustificare di per sé la concessione delle attenuanti generiche, ma è necessario che il giudice accerti che la condizione giovanile (all'epoca dei fatti l'imputato aveva 19 anni) abbia influito sulla personalità del soggetto determinandone una non completa maturità e capacità di valutare il proprio comportamento secondo le norme del buon vivere civile» Nel caso di specie la Corte ha ritenuto incensurabile il percorso argomentativo seguito nella motivazione della sentenza impugnata, incentrato oltre che sulla gravità dei fatti e sulla personalità dell'imputato, sul «poco commendevole comportamento processuale dei due imputati e all'accertato mendacio di entrambi». Nellamotivazione la Corte ricorda come gli imputati avessero tentato «di inquinare il quadro probatorio concordando con … una versione di comodo».

Il Tribunale ha evidenziato come, nonostante il tempo trascorso dalla commissione del delitto, il condannato non avesse comunque maturato una adeguata revisione critica rispetto al reato, revisione critica intesa non come confessione post factum, ma come «positiva evoluzione della personalità che faccia comunque ritenere avviato un processo di rifiuto delle condotte tenute in passato» ed ha fondato tale valutazione sull'atteggiamento rispetto al reato, ritenuto, in sostanza, non molto diverso da quello che aveva indotto il giudice della cognizione a negare la concessione delle attenuanti generiche. Al riguardo il collegio ha evidenziato che il condannato, pur esprimendo “dispiacere e rammarico” per quanto accaduto, ha continuato a rivendicare la propria estraneità in quadro dominato, secondo le risultanze dell'indagine psicologica, da «sentimenti di rabbia e di ingiustizia, senza alcuna manifestazione di sincera autentica empatia rispetto alla tragica fine di una coetanea». Sul punto occorre segnalare che anche la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto «l'assenza di una presa di coscienza della gravità dei fatti e di una effettiva revisione critica del passato deviante», come un elemento di per sé sufficiente a giustificare il diniego dell'affidamento in prova (Cass. pen., sez. I, 9 novembre 2021, n. 5175, P. inedita, per altro riguardante il caso di persona detenuta in espiazione della pena di anni 7 e mesi 6 di reclusione inflitta per vari reati contro la persona ex quibus quelli previsti dagli artt. 600-ter, 600-quater e 612-bis c.p.).

Come detto, il Tribunale, non vincolato al principio della domanda, ha tuttavia applicato al condannato la misura alternativa maggiormente contenitiva della semilibertà (così detta sostitutiva dell'affidamento in prova di cui all'art. 50, comma 2 ord. penit.).

Può essere opportuno richiamare il tentativo di valorizzare la semilibertà operato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia) adottato in attuazione della delega conferita al Governo con la legge 27 settembre 2021, n. 134 e la cui entrata in vigore è stata differita al 30.12.2022 dall'art. 6 del decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 255 del 31.10.2022, p. 1 ss.).

Il decreto delegato nella prospettiva di ridurre l'ambito di applicazione della pena carceraria ha attuato la riforma organica delle sanzioni sostitutive, già disciplinate dalla legge n. 689 del 1981 (qualificate dalla riforma come pene sostitutive), ma, come dimostrato dall'esperienza ormai quarantennale, scarsamente utilizzate nella prassi a causa del fatto che l'area di applicazione della pena sostituibile coincideva con quella della pena sospendibile ai sensi degli artt. 163 e seg. cod. pen. (sul punto cfr. la Relazione al d.lgs. n. 150 del 2022, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, s.o. n. 5 del 19.10.2022, p. 352).

La valorizzazione delle pene sostitutive nel quadro della riforma del sistema sanzionatorio ha reso opportuna l'introduzione nel codice penale di una “norma di raccordo” con la disciplina delle pene stesse che continua ad essere contenuta nella legge n. 689 del 1981. Tale norma di raccordo è costituita dall'art. 20-bis c.p. che configura la semilibertà come pena sostitutiva applicabile da parte del giudice della cognizione in caso di condanna alla reclusione o all'arresto non superiori a quattro anni. L'art. 20-bis c.p. annovera tra le pene sostitutive anche: la detenzione domiciliare, l'ambito di applicazione della quale coincide con quello della semilibertà (quattro anni) il lavoro di pubblica utilità, che può essere applicato in sostituzione di una pena detentiva non superiore a tre anni, e, infine, la pena pecuniaria, che può essere applicata in sostituzione di una pena detentiva non superiore ad un anno.

Il limite massimo della pena sostituibile in base alla nuova disciplina è stato dunque raddoppiato (il limite massimo previsto dall'art. 53 della legge 689/1981 è di due anni) e viene a coincidere con quello previsto ai fini della sospensione automatica dell'ordine di carcerazione di cui all'art. 656, comma 5 e 6 c.p.p., funzionale, come noto, a mettere in condizione il condannato di presentare al Tribunale di sorveglianza competente per territorio, istanza di misura alternativa evitando, almeno fino alla decisione del giudice specializzato, l'ingresso in carcere. Ed invero, tra le finalità perseguite dal legislatore mediante la riforma del sistema sanzionatorio si colloca anche quella di ridurre il numero dei procedimenti davanti ai Tribunali di sorveglianza, ingolfati da istanze presentate dai così detti “liberi sospesi” (vale a dire condannati che si sono avvalsi della sospensione dell'ordine di carcerazione e sono in attesa della decisione del Tribunale). D'altra parte la sovrapponibilità tra l'area della pena sostituibile con quella della pena da sospendere ex art. 656, comma 5 e 6 c.p.p. è confermata anche dal fatto che l'art. 59, comma 1, lett. d) della legge n. 689 del 1981 esclude dalla possibilità di beneficiare della sostituzione l'imputato riconosciuto colpevole di uno dei delitti indicati nell'art. 4-bis ord.penit. (delitti, come noto, esclusi dall'ambito di applicazione della sospensione “automatica” dell'ordine di carcerazione).

Rammentato che, in virtù di quanto dispone l'art. 545-bis c.p.p., introdotto dalla riforma Cartabia, l'applicazione della pena sostitutiva, diversa dalla pena pecuniaria, è comunque subordinata al consenso dell'imputato, consenso che può essere espresso a mezzo di un procuratore speciale, la pluralità di pene sostitutive che presentano un grado di afflittività crescente pone il problema dei criteri che devono orientare il giudice della cognizione nella scelta della pena da applicare: quando la pena da infliggere è determinata entro il limite di un anno il giudice può scegliere tra le quattro pene sostitutive previste dall'art. 20-bis c.p., mentre se la pena da infliggere è compresa tra tre anni ed un giorno e quattro anni, il potere di scelta del giudicante si riduce all'alternativa tra detenzione domiciliare e semilibertà.

Il nuovo testo dell'art. 58 legge 689/1981 (modificato sul punto dal d.lgs. n. 150/2022) dopo aver affermato il criterio generale che presiede all'applicazione di una pena sostitutiva, in forza del quale il giudice della cognizione può applicare le pene sostitutive quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato ed assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di ulteriori reati, dispone:

a) che tra le pene sostitutive il giudice sceglie quella maggiormente idonea al recupero sociale del reo “col minor sacrificio della liberà personale”.

b) che nella scelta tra semilibertà, detenzione domiciliare o lavoro di pubblica utilità il giudice deve tener conto dell'età, delle condizioni di salute, della presenza di figli minori, delle condizioni di disturbo da uso di sostanze stupefacenti, da alcool ovvero da giuoco d'azzardo. (trattasi, in sostanza, delle condizioni vita personali, familiari e sociali del reo già previste dall'art. 133 c.p.).

c) che in caso di pena non superiore a tre anni il giudice qualora ritenga di applicare la semilibertà (o la detenzione domiciliare) anziché il lavoro di pubblica utilità, deve indicare le specifiche ragioni per le quali ritiene inidonee nel caso concreto le altre pene sostitutive (vale a dire il lavoro di pubblica utilità o la pena pecuniaria).

Occorre inoltre tener presente che in virtù di quanto dispone l'art.59, comma 1, lett. d) della legge n. 689/1981, nella nuova formulazione introdotta dal d.lgs. n. 150/2022, la pena detentiva non può essere sostituita nei confronti dell'imputato di uno dei reati indicati dall'art 4-bis ord. penit., salvo che, trattandosi di reati contro la Pubblica Amministrazione, sia stata riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 323-bis, comma 2 c.p. (l'art. 59 contempla altre tre cause ostative all'applicazione della pena sostitutiva, legate alla condotta dell'imputato o al fatto che nei suoi confronti deve essere applicata una misura di sicurezza personale).

Nel caso oggetto della sentenza in commento il condannato avrebbe pertanto potuto beneficiare dell'applicazione della semilibertà quale pena sostitutiva: la pena della reclusione inflitta dal giudice della cognizione non supera i tre anni e il reato commesso, stante l'autonomia del tentativo rispetto al reato consumato, non rientra tra i delitti elencati nell'art. 4-bis ord.penit.

L'esecuzione della semilibertà (e della detenzione domiciliare) quale pena sostitutiva è demandata al Giudice di sorveglianza del luogo del domicilio del condannato al quale il Pubblico Ministero che cura l'esecuzione deve trasmettere copia della sentenza (art. 62 n.t. l. n. 689/1981).

Fino alla decisione del Magistrato di sorveglianza, se il condannato alla pena sostitutiva della semilibertà (e della detenzione domiciliare) è in custodia cautelare permane nello stato detentivo in cui si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti. In tutti gli altri casi la misura cautelare disposta perde immediatamente efficacia.

Il Magistrato di sorveglianza può confermare o modificare le prescrizioni che regolano le modalità esecutive della semilibertà; a tal fine il magistrato di sorveglianza provvede con ordinanza de plano ex art 678, comma 1-ter c.p.p. entro 45 giorni dalla ricezione degli atti. L'ordinanza è poi trasmessa all'ufficio di polizia del luogo nel quale il condannato è domiciliato, all'U.E.P.E. competente per territorio e al Direttore dell'Istituto di Pena al quale il condannato è stato assegnato. Salvi questi adempimenti la sentenza di condanna alla pena sostitutiva della semilibertà (o della detenzione domiciliare) una volta passata in giudicato è immediatamente eseguibile, con la conseguenza che il condannato non verrà a trovarsi nella situazione di “incertezza”, la durata della quale può protrarsi, in funzione del carico di lavoro dei Tribunali di Sorveglianza, di “libero sospeso”.

L'art. 55 n.t. della legge n. 689/1981, anch'esso modificato dalla riforma Cartabia, stabilisce che la semilibertà sostitutiva «comporta l'obbligo di trascorrere almeno otto ore al giorno in un Istituto di Pena e di svolgere, per la restante parte del giorno, attività di lavoro, di studio, di formazione professionale o comunque utili» al reinserimento sociale secondo il programma di trattamento approvato dal giudice.

Occorre infine ricordare che, in virtù di quanto prevede l'art. 47, comma 3-ter ord. penit. (comma introdotto anch'esso dalla riforma Cartabia) il condannato alla pena della semilibertà sostitutiva (o della detenzione domiciliare sostitutiva) può essere ammesso all'affidamento in prova dopo aver espiato metà della pena ed abbia tenuto nel corso dell'espiazione un comportamento tale da indurre il giudice a ritenere l'affidamento come maggiormente idoneo a favorire il reinserimento sociale e ad evitare la commissione di ulteriori reati. La competenza spetta al Tribunale di Sorveglianza individuato in base al locus detentionis, che provvede con ordinanza motivata adottata all'esito del procedimento semplificato di cui all'art. 678, comma 1-ter c.p.p.

Salvo quanto previsto dalla predetta norma le misure alternative alla detenzione di cui al capo VI del titolo I dell'ordinamento penitenziario non si applicano al condannato in espiazione di pena sostitutiva (art. 67, comma 1, n.t. legge n. 689/1981).

Da ultimo deve essere ricordato che le disposizioni in tema di pene sostitutive delle pene detentive brevi si applicheranno ai procedimenti penali in corso soltanto se più favorevoli (art. 95, comma 1, d.lgs. n. 150/2022).

La mancata esecuzione della pena sostitutiva diversa dalla pena pecuniaria, o la grave o reiterata violazione degli obblighi e delle prescrizioni ad essa inerenti ne comporta la revoca e la conversione nella pena detentiva sostituita o in altra più grave (art. 66 legge n. 689/1981, modificato dalla riforma).

Giusto il disposto del secondo comma dell'art. 67 della legge n. 689/1981, nella nuova formulazione introdotta dal d.lgs. n. 150/2022, salvo che si tratti di minori di età al momento della condanna, le misure alternative alla detenzione di cui al capo VI del titolo I dell'ordinamento penitenziario non si applicano al condannato in espiazione di pena detentiva per conversione effettuata ai sensi del citato art. 66 o del quarto comma dell'art. 72 (e cioè nel caso di condanna a pena detentiva per un delitto non colposo commesso durante l'esecuzione di una pena sostitutiva) n.t. della menzionata legge n. 689/1981, prima di avere espiato metà della pena residua.

Come autorevolmente evidenziato in dottrina le nuove pene sostitutive mantengono una funzione accessoria rispetto alla pena detentiva sostituta in quanto «la mancata esecuzione della pena sostituita o la violazione delle prescrizioni, comporta, in ultima istanza, il recupero in toto o in parte della pena detentiva originaria ... per rendere davvero autonome le pene subentrate alla reclusione o all'arresto, sarebbe stato necessario prevederne l'alternatività edittale rispetto alla pena detentiva, stabilendo, in caso di inosservanza un regime sanzionatorio basato su un'incriminazione ad hoc» (Padovani, Riforma Cartabia, intervento sulle pene destinato a ottenere risultati modesti, in Guida al Diritto, fasc. 51 del 5.11.2022, pagg. 8 e segg.).

Per concludere va rammentato che per effetto della riforma la semilibertà sostitutiva può trovare applicazione anche in caso di mancato pagamento della pena pecuniaria. Il nuovo testo dell'art. 102 della legge n. 689/1981 prevede infatti che il mancato pagamento della multa o dell'ammenda comporta la conversione della pena pecuniaria non più in libertà controllata, ma nella nuova misura della semilibertà sostitutiva, secondo il criterio di ragguaglio di cui all'art. 135 c.p.

Occorre tuttavia precisare che in virtù di quanto dispone il successivo art. 103, anch'esso modificato dal d.lgs. n. 150/2022, qualora il mancato pagamento della pena pecuniaria è dipeso dalla insolvibilità del condannato (vale a dire qualora quest'ultimo versi in condizioni economiche tali da rendere impossibile il pagamento), la pena pecuniaria è convertita, sempre secondo il criterio di ragguaglio di cui all'art 135 c.p., in lavoro di pubblica utilità “sostitutivo”, ovvero, se il condannato si oppone, nella detenzione domiciliare “sostitutiva”. Viceversa la semilibertà sostitutiva trova applicazione in caso in cui il mancato pagamento della pena pecuniaria è colpevole. In sostanza il legislatore ha inteso distinguere tra il caso di mancato pagamento colpevole, sanzionato in modo più severo con la conversione della pena pecuniaria in semilibertà (sanzione maggiormente afflittiva), e quello del mancato pagamento incolpevole (che il citato art. 103 definisce come insolvibilità del condannato) al quale consegue, salva l'opposizione del condannato, necessaria al fine di assicurare il rispetto dell'art 4 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ratificata con legge 4.08.1955, n. 848, la conversione della pena pecuniaria nella pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità.

Per concludere occorre evidenziare che le disposizioni in materia di esecuzione e conversione delle pene pecuniarie salvo che non risultino più favorevoli al condannato si applicheranno ai reati commessi dopo l'entrata in vigore della riforma (art. 97, comma 1, d.lgs n. 150/2022).

Osservazioni

L'art. 50, comma 2 ord. penit. contempla l'ipotesi della semilibertà così detta sostitutiva dell'affidamento in prova stabilendo appunto che nei casi previsti dall'art. 47 ord. penit. «se mancano i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale, il condannato per un reato diverso da quelli indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis può essere ammesso al regime di semilibertà anche prima dell'espiazione di metà della pena».

A questo proposito deve, innanzitutto, essere ricordato che in forza del nuovo testo dell'art. 47 ord. penit., modificato sul punto dal decreto legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni nella legge 21 febbraio 2014, n. 10, il limite di pena previsto per l'applicazione dell'affidamento in prova è stato elevato da tre a quattro anni.

Ciò ricordato, deve essere evidenziato come l'art. 50, comma 2 ord. penit. non specifichi i criteri ed i parametri di valutazione cui il Tribunale di sorveglianza deve fare riferimento per applicare al condannato, in luogo dell'affidamento in prova, misura alternativa richiesta in via principale, la misura alternativa maggiormente contenitiva della semilibertà.

In linea di massima ed a titolo esemplificativo può dirsi che il Tribunale può scegliere di applicare al condannato la semilibertà in luogo dell'affidamento in prova quando:

a) il condannato non dispone di un domicilio idoneo (es. perché non ha titolo ad occupare l'immobile oppure perché in esso vi abita anche la persona offesa);

b) il nuovo reato (quello per il quale è stata inflitta la pena che il condannato chiede di espiare in regime di affidamento in prova) è stato commesso dopo che il condannato aveva beneficiato dell'ampia misura prevista dall'art. 47 ord. penit.;

c) la pericolosità sociale del condannato induce a ritenere opportuna l'applicazione di una misura maggiormente contenitiva;

d) le risultanze dell'osservazione penitenziaria non offrono elementi del tutto tranquillizzanti di talché appare ancora prematura l'integrale remissione in libertà del condannato destinata a realizzarsi con la concessione dell'affidamento in prova.

Negli ultimi tre casi la scelta di applicare al condannato la semilibertà in luogo dell'affidamento in prova costituisce la soluzione idonea ad attuare un adeguato contemperamento tra le esigenze della difesa sociale e di tutela della collettività (che non possono essere pretermesse tenuto conto del fatto che l'affidamento in prova può, come già rilevato, essere concesso a persone che devono espiare fino a quattro anni di pena) e l'esigenza di offrire al condannato l'opportunità di un graduale reinserimento sociale.

Nel caso di specie come già osservato il Tribunale di sorveglianza di Firenze ha ritenuto che l'assenza di una adeguata revisione critica del condannato rispetto al disvalore del reato commesso rende l'affidamento in prova inidoneo a perseguire e realizzare le finalità risocializzanti indicate dal più volte menzionato art. 47 ord. penit.

Dalla semilibertà così detta sostitutiva dell'affidamento in prova devono essere tenute distinte la semilibertà come pena sostitutiva e la semilibertà sostitutiva conseguente al mancato pagamento della pena pecuniaria previste dalla riforma Cartabia e descritte nel paragrafo che precede.