La responsabilità verso l'Erario del liquidatore di società estinta: in attesa delle Sezioni Unite

13 Dicembre 2022

È stata ritenuta di particolare importanza la questione se l'azione dell'Amministrazione finanziaria nei confronti del liquidatore di società ex art. 36 d.P.R. n. 602/1973 presupponga l'accertamento del debito tributario e la sua iscrizione a ruolo.

Per questa ragione la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 35805 del 6 dicembre 2022, si è rivolta al Primo Presidente per una eventuale pronuncia delle Sezioni Unite in materia.

La questione dibattuta

La CTP respingeva il ricorso del cessato liquidatore di una s.r.l. cancellata dal registro delle imprese dall'anno 2006, avverso l'avviso di accertamento ex art. 36, comma 5, d.P.R. n. 602/1973.

Segnatamente, l'Agenzia delle Entrate aveva accertato che, in sede di riparto finale dell'attivo, il liquidatore aveva soddisfatto soltanto i creditori chirografari senza tener conto dei crediti dell'Erario costituiti da imposte non versate risultanti dalla dichiarazione dei redditi del 2004. La CTR rigettava l'appello del cessato liquidatore rilevando, tra l'altro, che l'AGE aveva dato puntuali indicazioni circa la pretesa erariale emergente dalla dichiarazione presentata. Da qui il ricorso per cassazione avente ad oggetto l'impugnazione della sentenza nella parte in cui la Commissione Regionale aveva ritenuto sufficiente, ai fini della certezza dell'obbligazione tributaria della società, il mero controllo della dichiarazione dei redditi, senza iscrizione a ruolo delle relative somme. Secondo il ricorrente difetterebbe una delle condizioni ai fini dell'azione di responsabilità ex art. 36 d.P.R. n. 602/1973 dovendo l'AGE provare di avere iscritto, quantomeno in ruoli provvisori, i crediti di cui pretende il pagamento da parte del liquidatore.

Sulla responsabilità del liquidatore societario per debiti tributari

Ricorda, in primo luogo, la Corte di Cassazione quale fosse il tenore letterale dell'art. 36 d.P.R. 602/1973, nella versione applicabile ratione temporis, rilevando che il comma 7 dell'art. 28 d.lgs. n. 175/2014 ha eliminato, dall'art. 19, comma 1, d. lgs. n. 46/1999, ogni riferimento all'art 36, con la conseguenza che oggi la responsabilità del liquidatore non è più limitata alle sole imposte sui redditi, ma si estende a tutte le imposte dovute dalla società. Precisa, quindi, la Corte che la questione si incentra sul significato da attribuire all'espressione “imposte dovute” presentando un indubbio rilievo nomofilattico in quanto, sebbene nella giurisprudenza di legittimità si rinvenga un orientamento consolidato, non mancano profili di incertezza concettuale e di incoerenza sistematica. La fattispecie costituisce esempio di tali aspetti problematici divenuti evidenti dopo la riforma del diritto societario.

Le divergenti posizioni della dottrina sulla responsabilità del liquidatore

Ricorda, altresì, la Corte come la dottrina abbia offerto soluzioni contrastanti, che fanno capo a due modi opposti di intendere il rapporto tra la responsabilità del liquidatore e l'obbligazione tributaria che grava sulla società: coloro che ravvisano una relazione di “dipendenza” della prima rispetto alla seconda, richiedono che il debito fiscale sia reso certo, tanto nella sua esistenza quanto nella sua misura, prima che abbia luogo l'accertamento della responsabilità del liquidatore; al contrario, chi afferma la natura “autonoma” della responsabilità del liquidatore prescinde dal preventivo accertamento del debito di imposta e ammette l'esercizio dell'azione di responsabilità mediante emissione dell'atto motivato di cui al comma 5 dell'art. 36, la cui impugnazione da parte del liquidatore apre un ordinario giudizio tributario.

L'orientamento di legittimità sulla responsabilità del liquidatore

La giurisprudenza di legittimità si colloca in una posizione intermedia, perché, pur riconoscendo l'autonomia della responsabilità del liquidatore rispetto all'obbligazione tributaria della società, richiede il preventivo accertamento del credito erariale verso la società. In altri termini, la responsabilità del liquidatore «ha natura civilistica e trova titolo autonomo, riconducibile agli artt. 1176 e 1218 c.c., rispetto all'obbligazione fiscale vera e propria, costituente mero presupposto della responsabilità stessa, ancorché da accertarsi con atto motivato – e ricorribile – da notificare ai sensi dell'art. 60 d.P.R. n. 600/1973; ne consegue che l'Ufficio, per poter pretendere il pagamento in via sussidiaria nei confronti del liquidatore, deve provare di aver iscritto i relativi crediti quantomeno in ruoli provvisori» (cfr. Cass. 15377/2020; Cass., S.U., n. 2820/1985; Cass., n. 2768/1989; Cass., n. 9688/1995; Cass., n. 8685/2002; Cass. n. 11968/2012; Cass. n. 7327/2012; Cass. n. 16446/2016; Cass. n. 1720/ 2019). Dopo aver esaminato l'orientamento suddetto, viene rilevato nell'ordinanza che quella condizione è declinata in maniera non univoca: alcune pronunce richiedono “certezza” e “definitività” della pretesa erariale (Cass. S.U. n. 2766/1978), altre si riferiscono all'iscrizione in ruoli provvisori(cfr. Cass. n. 10508/2008; Cass. n. 7327/2012; Cass. n. 15377/2020), precisando che deve trattarsi di ruoli che possono essere posti in riscossione (Cass. n. 12546/2001). Ricostruito il panorama di riferimento, osserva la Corte che, quale forma di responsabilità per fatto proprio, l'inadempimento dell'obbligo di pagare le “imposte dovute” si accompagna alla violazione dei doveri che gravano sul liquidatore, in particolare quelli sulla par condicio, cosicché tale responsabilità è commisurata all'importo dei crediti d'imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione (v. Cass. n. 11304/2020).

I presupposti per la responsabilità del liquidatore ex art. 36 d.P.R. 602/1973. Ciò chiarito, la Corte distingue tre situazioni:

  1. il liquidatore, consapevole delle imposte dovute, omette dolosamente di accantonare la somma necessaria per soddisfare il credito tributario (dolo in sede di liquidazione);
  2. il liquidatore, colposamente, non considera il credito tributario in sede di liquidazione (pretermissione in sede di liquidazione);
  3. il liquidatore, pur considerando il credito tributario nella fase di liquidazione, ne viola il privilegio, preferendogli un credito di ordine inferiore o accantonando una somma inferiore a quella dovuta (violazione del privilegio in sede di liquidazione). La responsabilità ex art. 36, avverte la Corte, richiede il verificarsi dei presupposti di imposta e l'inosservanza dei doveri del liquidatore riguardo ai debiti tributari della società, ma non anche la nascita in senso formale dell'obbligazione tributaria in capo alla società (Cass. n. 31904/2021; Cass. n. 15250/2018).

La certezza legale del tributo al vaglio dei principi costituzionali

Nel contesto appena descritto parrebbe contraddittoria, ad avviso della Corte, la richiesta della “certezza legale” del debito tributario al momento dell'esercizio dell'azione di responsabilità. Ciò imporrebbe difatti un significativo aggravio dell'onere a carico dell'Erario richiedendosi la preventiva formazione di un titolo e l'iscrizione a ruolo del tributo, a scapito dell'interesse di rango costituzionale alla pronta realizzazione del credito fiscale, posto a presidio e garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato (Corte Cost. n. 281/2011; n. 90/2018; n. 104/2019; n. 142/2020). Da qui l'emersione di un problema di bilanciamento di contrapposti interessi di rango costituzionale, dovendosi contemperare l'esigenza di effettività e pienezza del diritto di difesa del liquidatore con l'esigenza di rapida realizzazione del credito tributario.

Il credito tributario nel prisma della riforma del diritto societario

Osserva, infine, la Corte come nel caso in esame, in cui il credito tributario risulti dalla stessa dichiarazione presentata dalla società, il punto di equilibrio tra i richiamati interessi contrapposti non sembra rappresentato dalla soluzione tradizionale poiché non allineata alle coordinate dettate dalla riforma del diritto societario. Precisa infatti la Corte che, verificatasi l'estinzione, non si realizza alcuna successione del liquidatore nei debiti tributari della società contribuente, venendo meno il suo potere di rappresentanza dell'ente estinto - che non può essere più parte di alcun rapporto tributario (Cass. n. 30736/2021) - e, dunque, la sua legittimazione passiva in ordine all'atto impositivo, ma residua una responsabilità derivante dalla carica rivestita, di natura civilistica, ai sensi degli artt. 36 d.P.R. n. 602/1973 e 2495 c.c. Viene, cioè, in evidenza il principio di creazione giurisprudenziale secondo cui i soci succedono nei debiti della società e ne rispondono, in caso di società di capitali, nei limiti di quanto conseguito da ciascuno di essi nella distribuzione dell'attivo risultante dal bilancio di liquidazione (Cass. SS.UU. nn. 6070 e 6072 del 2013). Il liquidatore può essere destinatario di un'autonoma azione risarcitoria ma non della pretesa attinente al debito sociale. Anche se i soci subentrano negli stessi debiti che facevano capo alla società, si assiste ad una vicenda nuova e diversa da quella societaria, rispetto alla quale l'art. 2495 comma 2 c.c. per la generalità dei creditori sociali, e la disposizione speciale di cui all'art. 36 cit., per l'Erario, costituiscono norme di chiusura quanto alla responsabilità dei soci nonché dei liquidatori in ordine all'attività svolta. Ragioni sistematiche dovrebbero indurre quindi a concludere che, come qualunque creditore sociale insoddisfatto, l'Erario possa agire direttamente nei confronti dei soggetti sussidiariamente responsabili per quei debiti, tra i quali il liquidatore ex art. 36 cit., anche nel caso in cui non disponga di un titolo che formalizza l'obbligazione tributaria nei confronti della società ormai estinta. In conclusione, dopo aver vagliato le criticità derivanti dall'art. 28, comma 4, d.lgs. n. 175/2014 (sulla sospensione quinquennale ai soli fini fiscali dell'efficacia dell'estinzione della società), la Sezione Tributaria reputa sussistenti plurimi argomenti che giustificano le perplessità intorno alla soluzione sinora seguita, tali da dover rimettere la causa al Primo Presidente ai sensi dell'art. 374 comma 2 c.p.c..

Fonte: Diritto e Giustizia

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