Opposizione a decreto ingiuntivo: è ammissibile l'intervento volontario del terzo?
13 Dicembre 2022
Massima
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che va considerato un ordinario processo di primo grado che devolve al giudice il completo esame del rapporto controverso e non il semplice controllo della legittimità del decreto, è ammissibile l'intervento volontario del terzo, nelle sue tre forme di intervento principale, adesivo dipendente ed adesivo autonomo. Il caso
Con ricorso monitorio, un professionista richiedeva ed otteneva ingiunzione di pagamento nei confronti di una società, per compensi derivanti dall'attività di consulenza fiscale svolta in favore di quest'ultima. La società ingiunta promuoveva opposizione avverso il decreto ingiuntivo, chiedendone la revoca e, in via riconvenzionale, chiedeva fosse accertata sia la responsabilità professionale del ricorrente con conseguente risarcimento dei danni, sia la sua incompatibilità con la carica di sindaco della predetta società, con conseguente condanna alla restituzione delle somme percepite in virtù di tale incarico. Si costituivano con unico atto sia il ricorrente che la società semplice di professionisti alla quale il primo apparteneva, precisando che il decreto opposto era stato richiesto dal professionista nella sua qualità di socio della società semplice e che nessuna responsabilità era addebitabile allo studio di professionisti, in quanto l'attività era stata svolta da un socio dello Studio. Nel corso del giudizio interveniva anche un terzo professionista, in proprio e in qualità di socio dello Studio. Con il primo termine della memoria 183 c.p.c., l'opponente eccepiva il difetto della titolarità del rapporto sostanziale in capo al ricorrente per decreto ingiuntivo chiedendo, altresì, di accertare l'inammissibilità dell'intervento volontario del terzo. Il Tribunale adito, rigettata l'eccezione di carenza di titolarità del diritto fatto valere in capo al convenuto e ritenuto ammissibile l'intervento volontario del terzo, accoglieva parzialmente l'opposizione, per cui revocava il decreto ingiuntivo, compensando i crediti della società con quanto dovuto dalla stessa a titolo di risarcimento danni. Avverso tale sentenza veniva proposto appello; all'esito del giudizio la corte territoriale riformava la sentenza impugnata, ritenendo fondata l'eccezione di mancanza di titolarità in capo all'attore in monitorio, distinguendolo dalla società a cui il ricorso monitorio non faceva riferimento e riteneva la costituzione della stessa nel giudizio di opposizione inammissibile, in quanto trattavasi di intervento volontario teso ad eludere le norme sulla chiamata in causa del terzo, per cui riteneva inammissibili le domande proposte da e contro lo Studio professionale; del pari riteneva inammissibile l'intervento del terzo. Avverso la pronuncia della Corte d'Appello, veniva proposto ricorso in cassazione. La questione
Tra le molteplici doglianze avanzate, veniva sottoposta alla Suprema Corte la questione attinente all'ammissibilità dell'intervento volontario nel processo di opposizione a decreto ingiuntivo e, prima ancora, della natura e dei caratteri di tale giudizio. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha risolto positivamente il quesito ad essa sottoposto, concludendo per l'ammissibilità dell'intervento volontario nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Ciò in quanto, come testualmente affermato dal Supremo Collegio, «nessuna norma limita l'intervento del terzo nel giudizio di opposizione e tale divieto potrebbe quindi trovare la sua fonte solo in sede di ricostruzione sistematica dell'istituto dell'opposizione a decreto ingiuntivo»; sennonché, dovendo attribuirsi al giudizio in questione il carattere di procedimento a cognizione piena idoneo a devolvere al giudice il completo esame del rapporto giuridico controverso e non il semplice controllo della legittimità del decreto di ingiunzione, non vi è ragione di negare l'ammissibilità dell'intervento volontario del terzo. Osservazioni
Come osservato dalla S.C. di Cassazione, la sentenza impugnata aveva, con riguardo al caso di specie portato alla sua attenzione, correttamente proceduto alla qualificazione della costituzione della società nel giudizio di opposizione come intervento volontario, essendo la società semplice un soggetto distinto dal ricorrente monitorio, socio e legale rappresentante della società. Così sorta la questione circa la legittimità dell'intervento volontario nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la Cassazione, correttamente, ritiene opportuno risolverla sulla base di considerazioni sistematiche, a causa dell'assenza di una normativa esplicita sul punto. È a tutti nota la natura senz'altro controversa del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Sul punto, le tesi sostenute in dottrina e giurisprudenza appaiono sostanzialmente riconducibili a due diverse impostazioni, salvo alcune posizioni intermedie. Da un lato, vi sono coloro che parificano il giudizio di opposizione ad un giudizio di impugnazione (Garbagnati, Il procedimento d'ingiunzione, Milano, 1991, 136; Redenti, Diritto processuale civile, III, Milano, 1999, 14); dall'altro, chi ritiene, al contrario, che si sia di fronte ad un giudizio ordinario autonomo e scindibile dalla fase monitoria (Ronco, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000, 80 ss., 339 ss.; Tedoldi-Merlo, in Il Procedimento d'ingiunzione, [a cura di] B. Capponi, Bologna, Zanichelli, 2009). Tali posizioni contrastanti sono all'evidenza, conseguenza dell'evidente natura ibrida del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il quale sotto alcuni profili si configura come un rimedio di tipo impugnatorio, avendo ad oggetto la validità del decreto ingiuntivo emesso inaudita altera parte, sotto altri si presenta, invece, come un processo di cognizione ordinario di primo grado, relativo all'esistenza del diritto di credito vantato dal ricorrente opposto. La natura sostanzialmente ibrida del giudizio era stata affermata dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza 18 luglio 2001, n. 9769, che, ribadendo quanto già espresso con le sentenze 8 ottobre 1992, n. 10984 e n. 10985, aveva sancito l'assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione, esprimendo il principio secondo cui l'innegabile profilo impugnatorio non era, però, tale da far assurgere l'opposizione ad ingiunzione al rango di un processo di impugnazione in senso proprio, per cui l'opposizione non poteva considerarsi un giudizio d'appello, di competenza del collegio, ma andava proposta dinnanzi al giudice unico o monocratico. Non mancava, dunque, chi rimarcava la struttura impugnatoria tout court dell'opposizione, ovvero l'assimilabilità del giudizio di opposizione a quello dell'impugnazione, come ritenuto dalle Sezioni Unite nelle già citate sentenze. Una interpretazione siffatta era tale da giustificare il divieto per il terzo di intervenire in giudizio, essendo nel giudizio di appello inammissibile l'intervento, eccetto per i terzi legittimati a proporre opposizione a norma dell'art. 404 c.p.c. (così l'art. 344 c.p.c.). Come è noto, infatti, l'intervento in appello è ammissibile soltanto quando l'interventore sia legittimato a proporre opposizione di terzo ai sensi dell'art. 404 c.p.c., ossia nel caso in cui egli rivendichi, nei confronti di ambo le parti, la titolarità di un diritto autonomo, la cui tutela sia incompatibile con la situazione accertata o costituita dalla sentenza di primo grado, e non anche quando l'intervento stesso sia qualificabile come adesivo, perché volto a sostenere l'impugnazione di una delle parti per evitare il pregiudizio mediato dipendente da un rapporto che lega il diritto dell'interventore a quello di una delle parti. Tuttavia, sebbene la natura impugnatoria sia stata senz'altro riconosciuta dalla parte più risalente della giurisprudenza e della dottrina (che di recente parla, invece, di natura mista: v. Mandrioli-Carratta, Diritto Processuale Civile, III, Torino, 2022; Balena, Istituzioni di Diritto Processuale civile, III, Bari, 2019), la giurisprudenza di merito oggi prevalente (cfr. Trib. Firenze, sez. III, 05 luglio 2017, n. 2454) smentisce la natura ibrida di tale giudizio di opposizione, ritenendo che debba riconoscersi al giudizio la natura di prosecuzione della disputa provocata dalla pretesa monitoria, in quanto non inquadrabile come mezzo di impugnazione, ma come ulteriore sviluppo del procedimento monitorio, ossia una sua fase successiva, che vede proprio in tale provocatio ad opponendum l'unica effettiva ragione dell'inversione sostanziale delle posizioni processuali delle parti. Peraltro, è proprio dal momento della proposizione dell'opposizione che la cognizione diviene piena, con il conseguente sorgere in capo alle parti di pieni oneri probatori, diminuiti nella fase monitoria. Insomma, la proposizione dell'opposizione determina l'insorgere del dovere di provvedere con le regole della cognizione piena su quanto è stato richiesto con il decreto ingiuntivo, atteso che la cognizione del giudice dell'opposizione non è limitata al solo controllo sulla legittimità o meno dell'emissione del provvedimento monitorio, ma, introdotta l'opposizione, tale controllo si estende automaticamente alla sussistenza della relativa pretesa creditoria (Trib. Milano, sez. VI, 7 gennaio 2021, n. 54). Anche le Sezioni Unite della Suprema Corte, più volte investite della questione, hanno costantemente negato che tale giudizio sia assimilabile nella sostanza ad un procedimento di impugnazione, ritenendo, che l'opposizione prevista dall'art. 645 c.p.c. non sia una "actio nullitatis" o un'azione di impugnativa nei confronti dell'emessa ingiunzione, ma un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, non quale giudizio autonomo, ma come fase ulteriore - anche se eventuale - del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo (da ultimo, Cass. civ., sez. un., 13 gennaio 2022, n. 927). Pertanto, stando all'opinione oggi prevalente, può affermarsi che si tratta di un processo di primo grado, nel quale dovrà accertarsi non semplicemente la sussistenza dei presupposti per la pronuncia dell'ingiunzione, bensì la fondatezza della domanda di condanna posta a base del decreto, con riferimento al momento in cui l'opposizione viene decisa, nonché alla luce dei fatti allegati e delle prove assunte nel giudizio stesso. Segue che l'opposizione, alla stregua di un ordinario processo di cognizione, “devolve al giudice il completo esame del rapporto giuridico controverso e non il semplice controllo della legittimità del decreto di ingiunzione” (Cass., Sez. Un., 09 settembre 2010, n. 19246). Pertanto, asserito il superamento, almeno in via di principio, dei dubbi circa la natura di giudizio di primo grado – avente natura bifasica – del giudizio di opposizione, non sembrerebbe riscontrabile alcuna ragione plausibile per negare l'ammissibilità dell'intervento volontario del terzo, che è, pertanto, esperibile nelle sue tre forme di intervento principale, adesivo dipendente ed adesivo autonomo, mancando alcuna indicazione positiva circa il divieto del terzo di intervenire nel giudizio di opposizione. L'opinione contraria circolante nella giurisprudenza di merito, in realtà, sembrerebbe derivare, dall'erronea interpretazione dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., sez. VI, ord., 13 giugno 2018, n. 15567; Cass. civ., sez. I, 29 ottobre 2015, n. 22113), secondo la quale l'inammissibilità dell'intervento volontario discenderebbe dall'assunto secondo cui le parti del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sono necessariamente identificabili a priori: colui il quale ha proposto la domanda e colui contro cui tale domanda è diretta, sancendo, di conseguenza, l'impossibilità di modificare i soggetti partecipanti al giudizio, con la conseguente inammissibilità dell'intervento volontario in ogni sua forma. Tuttavia, tale orientamento di legittimità si riferisce esclusivamente alla legittimazione a proporre l'opposizione a decreto ingiuntivo - potendo quest'ultima essere unicamente proposta dall'ingiunto nei confronti della parte che ha richiesto il decreto di ingiunzione – mentre tace sulla questione dell'ammissibilità dell'intervento del terzo. Ne è prova la circostanza che la giurisprudenza appena richiamata non si riferisce all'intervento volontario, ma all'intervento su istanza dell'opponente e non ne esclude l'ammissibilità, ma impone unicamente all'opponente di richiedere l'autorizzazione alla chiamata al giudice (da ultimo, Cass. civ., 30 luglio 2020, n. 16336). Difatti, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, è opinione consolidata che l'opponente che intenda chiamare in causa un terzo non può direttamente citarlo per la prima udienza, ma deve chiedere al giudice, nell'atto di opposizione, di essere a ciò autorizzato, perché in tale giudizio non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti e l'opponente conserva la veste di convenuto anche per quanto riguarda i poteri e le preclusioni processuali, fermo restando che, qualora quest'ultimo, pur avendo citato direttamente il terzo, abbia in via gradata tempestivamente richiesto l'autorizzazione di cui all'art. 269 c.p.c., rimane impedita la decadenza dalla chiamata, la quale deve, anzi, ritenersi implicitamente autorizzata, ove il giudice pronunci nel merito anche nei confronti del terzo. Pertanto, l'intervento volontario non deve confondersi con l'intervento su istanza dell'opponente (che deve essere autorizzato dal giudice). Proprio partendo da tale assunto, la Suprema Corte non esclude affatto, anzi ritiene ammissibile, l'intervento volontario del terzo nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (si v. Cass. civ., sez. III, 16 novembre 1978, n. 5311; Cass. civ., Sez. II, 6 novembre 2015, n. 22696), poiché, una volta che sia stata superata la fase monitoria e introdotta l'opposizione da parte dell'ingiunto, il giudizio riveste in toto i caratteri di un ordinario processo di primo grado, con conseguente applicazione di tutte le norme che regolano quest'ultimo, ivi compreso l'art. 105 c.p.c. Riferimenti
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