La revoca diretta della dichiarazione di fallimento da parte della Cassazione

29 Dicembre 2022

La Cassazione, in sede di accoglimento del ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello che abbia rigettato il reclamo proposto contro la sentenza dichiarativa di fallimento, «può direttamente revocare tale dichiarazione e provvedere a norma dell'art. 147 TU Spese di giustizia, come novellato dall'art. 366 CCII, sull'imputabilità dell'apertura della procedura ai fini dell'addebito delle relative spese, sempre che non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, dovendo invece, per tale ipotesi, disporre la cassazione con rinvio al giudice di merito».
Massima

La Corte di cassazione, in sede di accoglimento del ricorso avverso la sentenza della Corte d'appello che abbia rigettato il reclamo proposto contro la sentenza dichiarativa di fallimento, può direttamente revocare tale dichiarazione e così provvedere a norma dell'art. 147 T.U. Spese di giustizia, come novellato dall'art. 366 CCII (per come già vigente anche per i giudizi introdotti ex art. 18 l. fall.), sull'imputabilità dell'apertura della procedura ai fini dell'addebito delle relative spese, sempre che non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, dovendo invece, per tale ipotesi, disporre la cassazione con rinvio al giudice di merito.

Il caso

La Corte d'Appello di Roma ha rigettato il reclamo di una scrl in liquidazione avverso la sentenza con cui il Tribunale aveva dichiarato lo stato di insolvenza.

Tra i motivi addotti con successivo ricorso per cassazione è stata rilevata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 6 l.fall., e conseguentemente la nullità della sentenza dichiarativa di fallimento per difetto di legittimazione del creditore istante ex art. 6 l.fall.

La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo fondato, cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte d'appello in diversa composizione.

La questione giuridica

Il motivo accolto riguarda la legittimazione a proporre istanza di fallimento in capo al fideiussore che, escusso dal creditore garantito, non abbia provveduto al pagamento del debito.

Secondo la Corte d'Appello tale legittimazione del fideiussore potrebbe desumersi dalla natura condizionale del credito da egli stesso vantato, che lo farebbe comunque rientrare nell'ipotesi disciplinata dall'art. 6 l.fall.

La Suprema Corte ha invece ribadito in questa sede (Cass. n. 19609/2017) che il fideiussore non ha un credito di regresso prima del pagamento e quindi non può essere ammesso con riserva per un credito condizionale; potrà essere invece ammesso al passivo solo dopo il pagamento, in surrogazione del creditore, considerata la natura concorsuale del credito di regresso.

Sicché, secondo la Corte, la condizione legittimante l'istanza di fallimento ex art 6 l.fall. prescinde dal contenuto della pretesa di credito e dal tipo di azione in altra sede giudiziale intrapresa a sua tutela, operando anche quando essa non implichi una prestazione monetaria, e purché l'oggetto del credito sia tale da potersi convertire, all'instaurazione del concorso, in una posizione soggettiva astrattamente ammissibile al passivo (Cass. 25317/2020).

La decisione della Corte

La Corte ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello, non potendo decidere nel merito essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Quanto alle spese relative alla revoca della dichiarazione di fallimento la Corte ha citato espressamente l'art. 366 del nuovo CCI, il quale ha modificato l'art. 147 T.U. in materia di spese di giustizia (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115); esso, al primo comma, recita testualmente che “in caso di revoca della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, le spese della procedura e il compenso del curatore sono a carico del creditore istante quando ha chiesto con colpa la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale; sono a carico del debitore persona fisica, se con il suo comportamento ha dato causa alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale.

La Corte di appello, quando revoca la liquidazione giudiziale, accerta se l'apertura della procedura è imputabile al creditore o al debitore”. Quindi, a tenore del nuovo art. 147 T.U., la Corte d'appello, quando revoca la liquidazione giudiziale, deve accertare a chi sia imputabile l'apertura della liquidazione, se sia cioè imputabile al debitore o al creditore.

Ebbene, secondo i supremi giudici tale verifica, unitamente alla conseguente declaratoria di revoca della sentenza di fallimento, può anche essere fatta direttamente dalla Corte di legittimità (nel caso in cui accolga il ricorso avverso la sentenza del giudice del reclamo che abbia erroneamente, sul punto, confermato la sentenza di fallimento), purché non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, sottratti al suo potere. Nel caso in cui tali accertamenti siano necessari la Corte deve demandare al giudice di rinvio sia la possibile declaratoria di revoca del fallimento che l'individuazione del soggetto cui sia imputabile l'apertura (revocanda) della procedura.

Conclusioni

Ai sensi dell'art. 6 l.fall. il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero.

I Giudici di legittimità fanno rientrare in tale previsione anche il fideiussore del creditore purché abbia prima pagato il debito al debitore principale. Il fideiussore non ha quindi, ex art. 61, comma 2, l.fall., un credito di regresso prima del pagamento al creditore e non può essere ammesso al passivo con riserva per un credito condizionale.

Nell'affermare tali assunti la Corte ha formulato, incidenter tantum, il principio secondo cui spetta direttamente ad essa il potere di revocare la dichiarazione di fallimento (oggi liquidazione giudiziale) e di provvedere sull'imputabilità dell'apertura della procedura di liquidazione giudiziale ai fini dell'addebito delle relative spese.

Unico limite a tale potere è che non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto sottratti al suo potere. I Supremi Giudici richiamano l'art. 366 nuovo CCII che ha novellato l'art. 147 T.U. Spese di giustizia.

Tale norma dà espresso potere alla Corte d'Appello, in sede di revoca della liquidazione giudiziale, di accertare se l'erronea apertura della procedura sia imputabile al creditore o al debitore. La Corte estende a se stessa tale potere nella limitata ipotesi in cui accolga il ricorso avverso la sentenza del giudice del reclamo che abbia erroneamente confermato la sentenza di fallimento e salvo che, giova ripetere, non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto.

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