Deposito telematico: rilevanza delle indicazioni date dalla cancelleria ai fini della rimessione in termini

Laura Messina
02 Gennaio 2023

La decisione individua i presupposti per la rimessione in termini nel caso in cui la serie di messaggi PEC generati dal sistema ed, in particolare, il contenuto della terza PEC, ingeneri nel soggetto depositante la convinzione che il deposito, comunque, si perfezionerà correttamente. 
Massima

In tema di presupposti per la rimessione in termini, la serie di messaggi PEC che scandisce il deposito telematico di atti (descritti dalle "specifiche di interfaccia tra punto di accesso e gestore centrale"), così come le indicazioni date dalla cancelleria alle parti, sono una specie di istruzioni che l'amministrazione della giustizia dà alle parti e, pertanto, sono fonti di affidamento qualificato, meritevole di essere considerato nell'ambito del giudizio ex art. 294, comma 2, c.p.c., laddove, in forza dei loro difetti, s'inseriscano, con ruolo determinante, nella catena causale che sfocia nella decadenza, fermo restando che nel caso concreto l'apprezzamento circa la non imputabilità alla parte è affidato al giudice del merito.

Il caso

La società Alfa in data 21/11/2017 notificava opposizione a decreto ingiuntivo. In data 24/11/2017, il legale dell'opponente depositava telematicamente la correlativa nota di iscrizione a ruolo e riceveva dal sistema tre comunicazioni pec: la prima era di accettazione, la seconda era la “ricevuta di avvenuta consegna” di cui all'art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012, conv. in l. n. 221/2012, mentre la terza pec, relativa all'esito dei controlli automatici di deposito, recava l'annotazione che: “L'atto di citazione depositato non è presente tra gli allegati della ricevuta di avvenuta consegna della notifica in proprio, sono necessarie verifiche da parte della cancelleria”. Solo dopo la scadenza del termine per la costituzione (precisamente in data 21/12/2017), il legale riceveva comunicazione da parte della cancelleria (quarta PEC) che la busta telematica con l'iscrizione a ruolo dell'opposizione era risultata affetta da errore fatale. Provvedeva, dunque, ad un secondo deposito unitamente ad istanza di rimessione in termini che veniva, tuttavia, rigettata dal Tribunale con conseguente dichiarazione di improcedibilità dell'opposizione. La sentenza di primo grado veniva confermata in appello. Avverso la detta decisione la società Alfa proponeva ricorso in Cassazione.

La questione

Nella decisione in commento viene affrontata la questione relativa ai presupposti per la rimessione in termini ove la serie di messaggi PEC generati dal sistema ed, in particolare, il contenuto della terza PEC - che avvisi della necessità di controlli e verifiche da parte della cancelleria - ingeneri nel soggetto depositante la convinzione che il deposito, comunque, si perfezionerà correttamente e lo induca, dunque, a non effettuare nuove depositi al fine di evitare una possibile decadenza. Si osserva, inoltre, che nella sentenza in commento viene valorizzata anche la rassicurazione “informale” che il legale del depositante abbia eventualmente ricevuto dalla cancelleria in ordine alla regolarità del deposito e al ritardo nella lavorazione delle buste telematiche secondo il loro ordine di arrivo.

Le soluzioni giuridiche

Va preliminarmente osservato che, in recenti decisioni, la Suprema Corte (cfr. Cass. civ. n. 12422/2021) ha affermato che “Il meccanismo del deposito di un atto giudiziario tramite PCT genera invero quattro distinte PEC di ricevuta, in cui la prima, la "Ricevuta di accettazione", attesta che l'invio è stato, appunto, accettato dal sistema per l'inoltro all'ufficio destinatario. La seconda, invece, la cd. "Ricevuta di consegna", attesta che l'invio è intervenuto con consegna nella casella di posta dell'ufficio destinatario e rileva ai fini della tempestività del deposito che si considera perfezionato in tale momento (Art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 221/2012); introdotto dall'art. 1, comma 19, l. n. 228/2012), il tutto con effetto anticipato e provvisorio rispetto all'ultima PEC, cioè subordinatamente al buon fine dell'intero procedimento di deposito, che è quindi fattispecie a formazione progressiva. Le successive PEC, la terza e la quarta, attestano, rispettivamente, la terza: l'esito dei controlli automatici del deposito, sull'indirizzo del mittente, che deve essere censito in ReGIndE; il formato del messaggio, che deve essere aderente alle specifiche; la dimensione del messaggio, che non deve eccedere quella massima consentita (30 MB). La quarta PEC attesta poi l'esito del controllo manuale del Cancelliere, ovvero se il deposito è stato accettato o meno dalla Cancelleria. Con tale accettazione, e solo a seguito di essa, si consolida l'effetto provvisorio anticipato di cui alla seconda PEC e, inoltre, il file viene caricato sul fascicolo telematico, divenendo così visibile alle controparti”. In sostanza, se è vero che, ai fini della tempestività del deposito rileva la ricezione della seconda PEC, è comunque necessario che il procedimento notificatorio si perfezioni con la ricezione della quarta PEC. La rilevanza della ricevuta di consegna (seconda PEC) per la tempestività presuppone, infatti, che il deposito sia andato a buon fine, non avendo al contrario rilievo - ai fini della tempestività - in quale data il mittente abbia ricevuto la terza o la quarta PEC. Nella fattispecie decisa dalla Suprema Corte con la decisione in commento, la terza PEC ricevuta dal legale conteneva già delle informazioni relative all'esistenza di una problematica nel deposito. Ciò cui viene dato rilievo dai giudici di legittimità è la tipologia di anomalia segnalata dalla Cancelleria. Si legge, infatti, in sentenza che “Il d.m. 44/2011, sulle regole tecniche per l'adozione, nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, rinvia (all'art. 34, comma 1) a "specifiche tecniche", stabilite dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia. Queste ultime (all'art. 14, comma 7) prevedono e codificano la seguente tipologia di possibili anomalie riscontrate dal gestore dei servizi telematici all'esito dei controlli automatici (formali) sulla busta telematica: a) warn (warning): anomalia non bloccante: si tratta in sostanza di segnalazioni, tipicamente di carattere giuridico (ad esempio manca la procura alle liti allegata all'atto introduttivo); b) error: anomalia bloccante, ma lasciata alla determinazione dell'ufficio ricevente, che può decidere di intervenire forzando l'accettazione o rifiutando il deposito (esempio: certificato di firma non valido o mittente non firmatario dell'atto); c) fatal: eccezione non gestita o non gestibile (esempio: impossibile decifrare la busta depositata o elementi della busta mancanti ma fondamentali per l'elaborazione)”. Secondo la Suprema Corte la tipologia di errore segnalato dalla Cancelleria (“l'atto di citazione depositato non è presente tra gli allegati della ricevuta di avvenuta consegna" è stata accompagnata dalla previsione che sono "necessarie verifiche da parte della cancelleria”) non avrebbe potuto far pensare al rifiuto del deposito da parte del sistema per errore irrimediabile (Fatal) e, dunque, avrebbe ingenerato nel legale della società opponente la convinzione incolpevole che il deposito sarebbe, comunque, andato a buon fine. A sostegno della conclusione in questione, i giudici di legittimità valorizzano anche il contenuto delle indicazioni informali fornite all'avvocato, recatosi in cancelleria per chiedere dei chiarimenti in ordine al deposito. Sia l'informazione contenuta nella terza PEC che le “rassicurazioni” ricevute dalla Cancelleria, in quanto provenienti dall'amministrazione della giustizia (in senso lato), sono fonte di affidamento qualificato e pertanto meritevole di essere preso in considerazione nell'ambito del giudizio ex art. 294, comma 2, c.p.c. sul presupposto della rimessione in termini, laddove - a cagione dei loro difetti - s'inseriscano con ruolo determinante nella catena causale che sfocia nella decadenza, fermo rimanendo che l'apprezzamento circa la non imputabilità alla parte nel caso concreto è riservato al giudice del merito”. Né, secondo la Suprema Corte, il Giudice del merito può valutare, con riferimento alla rimessione in termini, quale avrebbe dovuto essere il comportamento più “diligente” da parte dell'avvocato. Secondo i giudici di legittimità “Il tuziorismo può essere scelto liberamente dall'avvocato, giammai essere imposto dal giudice, tanto meno ex post come criterio di giudizio di autoresponsabilità, ancora meno quando l'esito è la privazione del giudizio di merito sul diritto fatto valere in giudizio, come invece accadrebbe nel caso di specie”.

Osservazioni

La decisione della Suprema Corte appare interpretare in maniera piuttosto elastica, ad avviso di chi scrive, i presupposti per la rimessione in termini. Secondo l'art. 153 c.p.c. “La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell'art. 294, secondo e terzo comma”. A sua volta l'art. 294 c.p.c. stabilisce che “Il giudice, se ritiene verosimili i fatti allegati, ammette, quando occorre, la prova dell'impedimento e quindi provvede sulla rimessione in termini delle parti”. Nella specie, per quanto emerge dalla decisione, l'anomalia tecnica segnalata dalla terza PEC era relativa ad un problema di firma digitale (“Si constatò successivamente che l'errore era stato causato dalla firma non integra sul file: "All. – Ricorso e decreto ingiuntivo notificati.pdf.pm7. […] In sostanza, depositando l'atto nativo digitale, anziché scansionare ed allegare in pdf l'allegato A (ricorso e decreto ingiuntivo), il depositante ha provocato un errore fatale"), anomalia causata dallo stesso depositante che - per quanto si evince - avrebbe sovrapposto la propria firma digitale a quella già presente sul file originario costituito dal ricorso e dal provvedimento monitorio opposto. In sostanza, la firma digitale era stata apposta su un allegato che, al contrario, non avrebbe dovuto essere firmato. Nessuna valutazione emerge, tuttavia, nella decisione in commento, in ordine all'imputabilità o meno dell'errore al soggetto depositante, essendo invece maggiormente valorizzato il contenuto generico della terza PEC (che comunque segnalava un grave errore nel deposito, ovvero la mancanza dell'atto di citazione (“L'atto di citazione depositato non è presente tra gli allegati della ricevuta di avvenuta consegna della notifica in proprio, sono necessarie verifiche da parte della cancelleria”) nonché delle rassicurazioni fornite dalla Cancelleria all'avvocato recatosi presso l'Ufficio proprio a seguito della ricezione della terza PEC. Sotto tale profilo, non si può non osservare che la prova del contenuto delle comunicazioni “informali” ed orali da parte della Cancelleria risulta quantomeno ardua da fornire, ad eccezione dell'ipotesi in cui vi sia stata una interlocuzione via mail fra l'Ufficio e il legale; a ciò si aggiunga che in decisioni recenti, sempre in tema di rimessione in termini, la stessa Cassazione ha, invece, valorizzato il comportamento diligente del legale, nella specie non preso in considerazione. Si veda, ad esempio Cass. civ., sez. V, ord., 1 agosto 2022, n. 23876 secondo cui “Se la notifica dell'atto di impugnazione, tempestivamente consegnato all'ufficiale giudiziario, non si perfeziona per cause non imputabili al notificante, questi non incorre in alcuna decadenza ove provveda con sollecita diligenza (da valutarsi secondo un principio di ragionevolezza) a rinnovare la notificazione, a nulla rilevando che quest'ultima si perfezioni successivamente allo spirare del termine per proporre gravame”; Cass. civ., sez. III, ord., 29 marzo 2022, n. 10142 secondo cui “In caso di notifica, da compiersi entro un termine perentorio, di un atto processuale all'interno del processo e non andata a buon fine, il notificante ha l'onere di riprendere, immediatamente e tempestivamente il procedimento notificatorio, non potendo ritenersi dipendente da causa non imputabile la decadenza che può essere ovviata col completamento della procedura di notificazione ad iniziativa della parte stessa, salva la necessità di richiedere l'intervento del giudice per la rimessione in termini ai sensi dell'art. 153, comma 2, c.p.c. qualora non sia possibile una semplice e ragionevolmente tempestiva effettuazione della nuova notifica per l'esigenza di rispettare un termine in favore del destinatario dell'atto.” Sebbene relative alla diversa fattispecie della notifica, nelle sentenze in questione si afferma un principio opposto a quello enunciato nella decisione in commento, valorizzandosi la possibilità di ripetere l'adempimento ove il termine non sia ancora scaduto, al fine di evitare il verificarsi della decadenza. Nella fattispecie in commento, al contrario, la Cassazione ritiene che, considerato il tenore della terza PEC, nonostante il decorso del termine, il legale non fosse tenuto ad effettuare alcun ulteriore adempimento. Il nuovo deposito da parte del legale, unitamente alla istanza di rimessione in termini, è avvenuto solo dopo la comunicazione dell'errore fatale, circa 20 giorni dopo il termine ultimo per la costituzione in giudizio. Ora se è vero che “Il tuziorismo può essere scelto liberamente dall'avvocato, giammai essere imposto dal giudice” è anche vero che la decadenza in cui sia incorsa la parte deve essersi verificata per causa alla stessa non imputabile e, come detto, in ordine alla non imputabilità della decadenza o alla possibilità per la parte di non incorrere nella decadenza non pare la Suprema Corte abbia ritenuto di soffermarsi.