Il caso offre l'occasione per soffermarsi sull'intervento della curatela nelle procedure esecutive pendenti a carico del fallito al momento della dichiarazione di fallimento ai sensi dell'art. 107, comma 6, l. fall.
Tale disposizione, introdotta dal d.lgs. 5/2006 – che ha previsto la possibilità di fare luogo a vendite a trattativa privata, quando queste risultino più convenienti rispetto alla procedura competitiva “pubblicistica” – e rimasta invariata nel suo sesto comma, disciplina le “Modalità delle vendite” e prevede, infatti, che “se alla data di dichiarazione di fallimento sono pendenti procedure esecutive, il curatore può subentrarvi; in tale caso si applicano le disposizioni del codice di procedura civile; altrimenti su istanza del curatore il giudice dell'esecuzione dichiara l'improcedibilità dell'esecuzione, salvi i casi di deroga di cui all'art. 51” (quanto agli effetti dell'eventuale improcedibilità, si segnala Cass. 22 dicembre 2015, n. 25802 secondo la quale, “ai sensi dell'art. 107 l.fall., come modificato dal d.lgs. n. 5/2006, il curatore fallimentare subentra di pieno diritto nelle procedure esecutive, mobiliari ed immobiliari, pendenti alla data della dichiarazione di fallimento al posto del creditore procedente (che non possa più proseguirle giusta l'art. 51 l.fall.), scegliendo con il programma di liquidazione di sostituirsi a lui, ovvero di proseguire la liquidazione nelle forme fallimentari. In tale ultima ipotesi, l'improcedibilità dell'esecuzione, dichiarata dal giudice dell'espropriazione su istanza del curatore, non determina la caducazione degli effetti sostanziali del pignoramento di cui agli artt. 2913 ss. c.c., giacché nella titolarità di quegli effetti è già subentrato, automaticamente e senza condizioni, l'organo fallimentare, purché nel frattempo non sia intervenuta una causa di inefficacia del pignoramento medesimo; del resto, opinando diversamente, il curatore sarebbe sempre tenuto a proseguire l'esecuzione singolare onde conservare gli effetti del pignoramento, cosi svilendosi non solo la sua facoltà discrezionale di scelta di cui all'art. 107, comma 6, l.fall., ma anche il suo stesso ruolo centrale assunto dalla programmazione liquidatoria nella riforma del 2006” ).
La norma pone dunque la curatela fallimentare dinanzi ad un'alternativa: in caso di procedure esecutive che possono trovare prosecuzione in pendenza di fallimento, è data facoltà al curatore di avvalersene (consentendo che l'attività liquidatoria si svolga per loro tramite e partecipando per conto della massa alla ripartizione del ricavato), altrimenti potrà procedere direttamente all'esecuzione concorsuale (Cass., 6 dicembre 2002, n. 17334).
Quest'ultima è invero disciplinata dall'art. 41, comma 2, d.lgs. 385/1993, che detta una disciplina ben distinta rispetto a quella prevista dalla legge fallimentare.
In base a tale disposizione, cioè, l'azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore ed è facoltà del curatore intervenire nell'esecuzione. Le eccedenze rispetto alla quota accertata in sede di riparto ricavate dall'esecuzione, vengono attribuite al fallimento.
Tale previsione deroga a quanto disposto dal suddetto art. 51 l.fall., che, nel porre il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sui beni compresi nel fallimento, fa salva la diversa previsione di legge.
Si tratta, come si è accennato, di una fattispecie lontana da quella prevista dall'art. 107, comma 6, l.fall.
Come chiarito anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità, infatti, l'art. 41 assegna al creditore fondiario un privilegio di carattere meramente processuale e non comporta alcuna deroga alla disciplina dettata in tema di accertamento del passivo, specie al principio di esclusività della verifica fallimentare previsto dall'art. 52 l.fall..
Ne discende la provvisorietà dell'assegnazione della somma disposta nell'ambito della procedura individuale, “essendo onere del creditore di insinuarsi comunque al passivo del fallimento, in vista della graduazione dei crediti cui è strumentale la procedura concorsuale” (Cass. 20 aprile 2022, n. 12673).
Ciò sta a significare che, nel caso in cui l'intervento sia spiegato non in base alla disposizione del T.U.B., ma ai sensi dell'art. 107 l.fall., la procedura dovrà essere assoggettata, come previsto dalla stessa disposizione, alle norme del codice di rito, il che determina l'inapplicabilità degli artt. 93 ss. in tema di domanda di insinuazione al passivo.
In altre parole, i crediti per le spese di giustizia per l'espropriazione di beni immobili nell'interesse comune dei creditori possono essere ammessi al passivo solo previa domanda di insinuazione delibata dal G.D.
Dal canto suo, la curatela richiamava quella giurisprudenza secondo la quale, pur dovendo il giudice dell'esecuzione, in caso di subentro del curatore nella procedura esecutiva, assegnare il ricavato al fallimento, egli avrebbe comunque potuto assegnare in via provvisoria i crediti per le spese di giustizia strumentali all'espropriazione forzata e funzionali alla liquidazione dei beni oggetto della procedura, trattandosi di spese privilegiate ex art. 2770 c.c. e prededucibili.
Tale giurisprudenza valorizza infatti la circostanza per la quale lo stesso art. 42, comma 2, l.fall. prevede che sono compresi nel fallimento i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività per l'acquisto e la conservazione dei beni stessi. Questi sono prededucibili, ma ex lege sottratti alla regola dell'art. 52 l.fall.
Ebbene, ciò dovrebbe valere anche per “le spese dell'originario creditore procedente nell'ambito del processo d'esecuzione proseguito dal curatore”, che “in sede fallimentare saranno assistite dal beneficio della prededuzione ex art. 2770 c.c. in quanto effettuate nell'interesse della massa dei creditori.