Espressioni offensive nell’atto di citazione: il terzo può chiedere il risarcimento?

Redazione scientifica
02 Gennaio 2023

Il terzo estraneo al giudizio asseritamente offeso da frasi contenute negli atti di causa può soltanto agire autonomamente, in altro processo, per chiedere il risarcimento dei danni, ma non può ottenere tutela ai sensi dell'art. 89 c.p.c.

La decisione della Corte riguardava un giudizio promosso da un condomino contro il condominio per l'annullamento di una delibera condominiale, nell'ambito del quale l'amministratore dello stabile, intervenuto in proprio, aveva chiesto il risarcimento dei danni per alcune frasi offensive scritte da parte attrice in citazione.

Sia il tribunale che la Corte d'appello avevano accolto la domanda di risarcimento dei danni proposta dall'amministratore, ma la Corte di legittimità, in accoglimento del ricorso per cassazione promosso dal condomino, ha ritenuto la pronuncia del giudice di secondo grado assunta in violazione degli artt. 105 e 89 c.p.c.

L'intervento del terzo invero è ammissibile soltanto quando il diritto che, ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.c., viene fatto valere nel giudizio pendente tra altre parti sia relativo all'oggetto sostanziale dell'originaria controversia, da individuare con riferimento al petitum ed alla causa petendi, ovvero dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo a fondamento della domanda giudiziale originaria.

D'altro canto, la giurisprudenza ha già da tempo condiviso l'opinione della dottrina secondo cui l'art. 89 c.p.c. predispone un rimedio soltanto interno al processo, nel senso che è applicabile soltanto quando l'offensore e l'offeso siano parti in causa nel medesimo giudizio (Cass. civ. n. 21696/2011): attraverso la formula negativa del divieto di usare espressioni sconvenienti e offensive il primo comma dell'articolo individua un requisito del comportamento processuale della parte e del suo difensore e il correlato potere del giudice di predisporre la cancellazione in pendenza dell'istruzione e, con la sentenza che decide la causa, di assegnare una somma a titolo risarcitorio.

Queste premesse consentono, secondo i giudici, di escludere che il terzo estraneo al processo a cui l'espressione ingiuriosa sia riferita possa intervenire in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni: egli, infatti, non è portatore di alcun diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo su cui statuirà la «sentenza che decide la causa», atteso che l'azione a difesa del proprio onore ha carattere non soltanto di indipendenza, ma di estraneità assoluta rispetto ai diritti in contestazione.

Conseguentemente, il terzo estraneo al giudizio asseritamente offeso da frasi contenute negli atti di causa può soltanto agire autonomamente, in altro processo, per chiedere il risarcimento dei danni (Cass. civ. n. 627/1950), ma non può ottenere tutela ai sensi dell'art. 89 c.p.c. poiché è necessario armonizzare questo articolo con la previsione dell'art. 105 c.p.c.

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