Il potere direttivo spettante al datore di lavoro nel contratto di lavoro subordinato ricomprende, fra l'altro, la possibilità, nel corso del rapporto, di attuare modifiche unilaterali della prestazione lavorativa sotto forma di assegnazione del dipendente a una diversa sede di lavoro. Tale prerogativa, a seguito della modifica dell'art. 2103 c.c. attuata dall'art. 13 St. Lav., può essere esercitata nella sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, determinandosi, in assenza, la nullità dell'atto (o di un accordo in tal senso). La norma si riferisce al trasferimento da un'unità produttiva ad un'altra e non a qualsivoglia mutamento di sede di lavoro. La contrattazione collettiva spesso integra la norma di legge prevedendo condizioni aggiuntive per l'esercizio del potere di trasferimento, collegate alla distanza del luogo di trasferimento, alla anzianità di servizio e ai trattamenti economici correlati. In ogni caso, ai sensi dell'art. 15 St. Lav., il trasferimento è nullo se integra gli estremi dell'atto discriminatorio. Fattispecie quali le trasferte, il distacco, l'attività dei trasfertisti presentano talune affinità con il trasferimento e tuttavia se ne differenziano per ratio, elementi costitutivi e relativa disciplina. Si è fuori dall'art. 2103 c.c. quando il trasferimento, contemplato nel codice disciplinare aziendale, ex art. 7 St. Lav., è irrogato quale sanzione disciplinare, in reazione ad illeciti appositamente indicati. Forme rafforzate di garanzia in materia di trasferimenti si applicano ai dirigenti di rappresentanze aziendali, ai pubblici amministratori locali e, su altro versante, ai sensi della L. n. 104/1992. La giurisprudenza ha approfondito la fattispecie del trasferimento nei suoi presupposti, nelle condizioni legittimanti e nelle conseguenze del mancato rispetto dei limiti legali.