La riforma del giudizio tributario e le innovazioni processuali

Massimo Scuffi
05 Gennaio 2023

L'avviamento del processo tributario riformato impone un approfondimento delle previsioni contenute negli artt. 4 e 6 l. n. 130/2022 con particolare riferimento alle modalità di svolgimento delle udienze nella fase ordinaria, monocratica e cautelare, al potenziamento dell'istituto conciliativo ed alle nuove regole destinate a governare l'istruttoria in primo grado e in appello.
Le modalità di svolgimento delle udienza

L'iter procedimentale del nuovo processo tributario (art. 4 L. 130/2022) è destinato a snodarsi secondo modalità e tempistiche che non coincidono del tutto con le best practices venutesi a consolidare nel periodo emergenziale.

In base all'art. 16 del D.L. 119/2018 come modificato dall'art. 135 del D.L. 34/2020 (c.d decreto”rilancio”) la regola seguita - con qualche correttivo - dalla maggior parte delle Corti nazionali è stata quella di consentire la partecipazione alle udienze “a distanza” mediante collegamento audiovisivo tra l'aula di udienza e il luogo del collegamento da remoto delle parti, dei giudici e del personale amministrativo, ove ne avessero fatto richiesta le parti stesse nel ricorso ovvero con apposita istanza notificata alle controparti (anche dopo la comunicazione dell'avviso di udienza).

La formulazione elastica della normativa aveva anche avallato il collegamento da remoto a favore della sola parte che ne avesse fatto richiesta senza pregiudicare la trattazione in presenza dell'altra, rendendo così possibile la celebrazione delle udienze con modalità “mista”, cioè con una parte fisicamente presente in aula e l'altra collegata da remoto: modalità poi estesa agli stessi giudici esonerati dalla presenza in ragione del perdurare della situazione pandemica e della lontananza dal luogo di lavoro (art. 27 D.L. 137/2020 c.d. decreto “ristori”).

Sono noti i vantaggi di queste metodologie di lavoro in termini di semplificazione e velocizzazione delle procedure senza compressione dei diritti di difesa orale laddove sia assicurata la contestuale, effettiva e reciproca visibilità.

Il sistema on line (comunque derogabile per liti particolarmente complesse specie sul piano documentale) non sembra abbia creato particolari disagi a giudici e difensori, ben coniugandosi con il lavoro in smart working delle segreterie e l'evolversi della “digitalizzazione” in tutto il comparto giudiziario (il PTT ne è un esempio).

La legislazione emergenziale è stata prorogata dal D.L. 228/2021 (c.d.decreto “milleproroghe”) sino al 30.4.2022 (al 30.12 solo per i giudizi civili e penali)ma ha continuato ad essere applicata per la regolamentazione dei processi in corso non essendo del resto previste sanzioni di nullità per le forme adottate.

E questa strada si suppone verrà seguita almeno fino alla entrata in vigore della nuova disciplina sostitutiva (di cui all'art. 4.4) a far tempo dall'1 settembre 2023 per i giudizi instaurati dopo tale data (art. 4-bis).

Da quel momento entrerà in vigore la modifica della novella che pur convalidando il regime della udienza “a distanza” subordina il collegamento audiovisivo “da remoto” alla richiesta “congiunta” delle parti escludendo la istanza singolare e dunque la possibilità di mantenere il “doppio binario” e ripristinando in difetto di accordo la regola generale della discussione in pubblica udienza in presenza (art. 34 d.Lgs. n. 546/92).

Meglio sarebbe stato invertire la opzione con una formulazione analoga a quella prevista per le udienze riservate al giudice monocratico e per quelle cautelari.

ll giudizio monocratico

Le uniche tipologie che il legislatore ha destinate a svolgersi “esclusivamente” a distanza (salva la richiesta di parte per la partecipazione “congiunta” di giudici e difensori in presenza) riguardano la udienza monocratica in I° grado (destinata ad entrare in vigore per i ricorsi notificati post 1° gennaio 2023 ex art. 8.4) e quella cautelare.

Il regime della monocraticità per il contenzioso minore (controversie di valore fino ad € 3000 calcolato sul tributo al netto di sanzioni ed interessi o sulle sanzioni se la controversia attiene solo ad esse) determinerà la perdita delle maggiori garanzie offerte dal dibattito collegiale ma potraà, in cambio, servire a sfoltire con agilità ed immediatezza una litigiosità bagatellare per il quale non è neppure prevista la obbligatorietà della assistenza tecnica (art. 12 d.Lgs. 546/92).

Si tratta comunque di un ampliamento di competenza per il giudice monocratico già chiamato a decidere - nei giudizi di ottemperanza - su pagamenti fino ad € 20.000 e sulle spese di lite (art. 70 comma 10-bis come introdotto dal d.Lgs. 156/2015 in attuazione della c.d delega fiscale).

La versione finale del testo legislativo ha escluso la limitazione dei motivi di impugnabilità (violazione di norme procedimentali, costituzionali ed unionali) preferendo dar precedenza all'esercizio pieno del diritto di difesa piuttosto che allastabilizzazione” delle decisioni volta a conseguire un efficace sbarramento al prosieguo delle liti.

Il giudizio cautelare

L'intervento cautelare regolato dall'art. 4 è limitato alle ipotesi di sospensione (dell'atto e/o della sentenza) in I ed in II grado (artt. 47 e 52 d.Lgs. 546/1992).

Stranamente non sono ricomprese le sospensive ex art. 62-bis (sentenza impugnata in cassazione) ed ex art. 65-bis (pendenza di giudizio per revocazione) che presentano sicure analogie con le prime.

Nell'ambito del giudizio cautelare (incidentale) viene prescritto, innanzitutto, che la decisione sulla istanza di sospensione non possa mai essere differita all'udienza di trattazione del merito (ma semmai ad essa anticipata).

Nonostante la giurisprudenza abbia sempre escluso la rilevanza dell'omessa fissazione in via autonoma dell'udienza di sospensiva (Cass. n. 7960/2022) spesso dovuta a ragioni logistiche per non duplicare l'impegno del Collegio, il legislatore ha preferito abbandonare questa prassi di “sovrapposizione di fasi” rendente praticamente vano l'intervento cautelare.

Va poi segnalato l'effetto premiale (art. 2) dell'eliminazione della garanzia nelle sospensioni cautelari quando il contribuente fornisca il c.d. bollino di affidabilità fiscale, cioè un punteggio almeno pari a 9 riportato nei modelli ISA degli ultimi 3 periodi d'imposta.

Il beneficio non potrà però operare in presenza di “risorse proprie” e di recupero di aiuti di stato illegittimi dove la pronunzia cautelare si fonda su diversi presupposti richiamati dal Reg. UE 952/2013 (CDU) e dall'art. 47-bis del d.lgs. 546/1992.

Importante variante “acceleratoria” è anche la fissazione di un termine ridotto per trattare l'istanza cautelare (30 giorni dalla presentazione rispetto ai 180) con fissazione (invariata) dell'udienza di merito (in caso di accoglimento) non oltre 90 gg. ma senza decadenza dell'effetto sospensivo qualora non intervenga la decisione della lite entro tale termine (da ritenere ordinatorio).

La rigida disposizione prevista in materia di recupero di aiuti di stato (art. 47-bis cit.) non è stata infatti estesa dal legislatore al rito tributario ordinario anche perchè dichiarata costituzionalmente illegittima nel comparto civile per i termini troppo ristretti suscettivi di comprimere il diritto di difesa (Corte Cost. sent. 281/2010).

È stata persa invece l'occasione per armonizzare (esemplandola sulla normativa riformata del d.Lgs. 546/92) la disciplina cautelare pro fisco regolata dal d.Lgs. 472/1997 (art. 22).

La conciliazione del giudice

L'art. 4 g) amplia il raggio di azione della conciliazione giudiziale aggiungendo l'art. 48-bis nel testo del d.lgs. n. 546/1992 onde potenziare un istituto già rimesso all'impulso di parte in udienza o fuori udienza (artt. 48 e 48-bis d.Lgs. 546/1992).

Il legislatore della riforma - in relazione alle liti fiscali reclamabili ex art. 17-bis d.Lgs. n. 546/1992 (quelle di valore non superiore ad € 50.000 ) - ha voluto attribuire al giudice tributario (monocratico o collegiale) la potestà di promuovere di sua iniziativa una conciliazione formulando alle parti una proposta conciliativa avuto riguardo all'oggetto del giudizio e all'esistenza di questioni (di fatto o di diritto) di facile e pronta soluzione (ad esempio quelle attinenti controversie "seriali" o già fatte oggetto di altre decisioni).

L'istituto - che ricalca il modello processual-civilistico dell'art. 185-bis c.c. in funzione di una deflazione immediata dei processi - viene affidata ad un “giudice-conciliatore”.

Siccome il ruolo di conciliatore si addice maggiormente ad un organo “terzo”, diverso dal giudicante, era stata prospettata nel corso dei lavori preparatori una procedura di conciliazione preventiva curata da un apposito Collegio composto da un Presidente, individuato fra i magistrati di ruolo della magistratura tributaria, da un membro designato dell'Amministrazione finanziaria e da un membro individuato dal contribuente fra gli avvocati ed i commercialisti iscritti in apposito albo.

L'emendamento per come proposto non aveva peraltro più seguito stante la complessità di una procedura “amministrata” che - cumulandosi alla conciliazione di parte (senza esserne alternativa) - avrebbe finito per compromettere la celerità del giudizio.

È dubbio che la “conciliazione agevolata” delle controversie tributarie (con riduzione delle sanzioni amministrative fissate dall'art. 48-ter ad un 18° del minimo) inserita nella bozza della legge di bilancio 2023 con riferimento alla conciliazione di parte possa essere estesa anche all'ambito della conciliazione del giudice.

Istruttoria e mezzi di prova

L'art. 6 della L. 130/1992 viene, innanzitutto, a circostanziare l'onere della prova della violazione tributaria che rimane a carico dell'Amministrazione aggiungendo all'art. 7 del d.Lgs. 546/1992 la precisazione che - ove questa prova sia mancante, contradditoria od insufficiente a dimostrare in maniera specifica e coerente la fondatezza della pretesa impositiva - il giudice dovrà annullarla.

Ora, fermo restando che la ripartizione dell'onere probatorio era vigente anche prima di tali precisazioni normative, tale specificità probatoria che, in certo senso, “alleggerisce” la posizione del contribuente potrebbe creare problemi non indifferenti all'efficacia della azione amministrativa ove venisse intesa come “surplus istruttorio” suscettivo - ove non adempiuto - di vanificare l'esito delle prove atipiche raccolte (dichiarazioni di terzi) e soprattutto le deduzioni derivate da presunzioni semplici.

Sembra perciò più coerente ritenere - come da ultimo precisato dalla Suprema Corte (Cass. 31878/22) - che tale regola probatoria non va intesa come “ innovativa” ma piuttosto volta a sortire l'effetto di imporre un maggior “rigore probatorio” a sostegno dei fatti posti a fondamento dell'azione fiscale.

Pertanto per le presunzioni non legali (che non determinano inversione dell'onere della prova) occorrerà che l'Ufficio si avvalga di ulteriori elementi di riscontro in “concretezza” che giustifichino le deduzioni assunte,non bastando le valutazioni basate su mere supposizioni che non si inscrivano in un quadro fattuale complessivo.

Particolarmente importante è poi la seconda modifica operata dal legislatore della riforma che - per parificare il ruolo del processo tributario alle altre giurisdizioni - ha abolito nell'art. 7 del d.Lgs. 546/92 l'anacronistico divieto di prova testimoniale (art. 4.1.c).

Da tempo si erano pronunziati a favore della ammissibilità di questo mezzo istruttorio nei processi “cartolari” sia la Corte Europea dei diritti dell'uomo (CEDU 23 novembre 2006 Jussila v.Finlandia) sia la stessa Corte Suprema (Cass. 5182/2012) ancorchè in particolari circostanze e nonostante le pronunzie contrarie della Corte Costituzionale (ex multis sent.18/2000) che, confermando la legittimità del divieto, aveva peraltro valorizzato l'utilizzabilità in sede processuale delle dichiarazioni di terzi (di natura indiziaria) per ristabilire la c.d “parità delle armi” con il fisco.

Sarà poi il giudice di legittimità in varie occasioni (da ultimo Cass. 25804/2021) a ribadire che “nel contenzioso tributario al contribuente, al pari che all'Amministrazione finanziaria, deve essere riconosciuta la possibilità d'introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extra processuale cui va riconosciuto il medesimo valore probatorio di natura indiziaria”.

La soluzione ora adottata dal legislatore supera il divieto assoluto di prova testimoniale “ufficializzando” anche il grado indiziario degli elementi probatori raccolti (quali -appunto-le dichiarazioni di terzi)e consentirà la formazione in giudizio di una “prova piena” ancorchè sottoposta alla libera valutazione del giudice.

La parte potrà avvalersi della prova testimoniale non nella forma legale tipica contrassegnata dalla oralità (art. 244 e segg. c.p.c.) ma soltanto in forma scritta da assumere con il modello della c.d. ”testimonianza scritta” secondo le regole e le modalità stabilite dall'art. 257-bis e 103-bis att. c.p.c.: acquisizione delle risposte rilasciate su apposito “questionario” notificato al testimone contenente le domande formulate dalla parte richiedente e successiva restituzione alla segreteria del giudice che - quando le deposizioni risultino ambigue o incomplete - potrà anche disporre a chiarimento l'audizione del teste avanti a lui.

La testimonianza scritta, quindi, non è libera perchè la parte che ha inoltrato la richiesta sarà onerata di predisporre il modello di testimonianza in relazione ai capitoli ammessi.

Parimenti la dichiarazione del testimone dovrà essere conforme a vincoli procedurali predeterminati quali risposte separate su ciascun quesito,specificazione delle ragioni della mancata risposta, firma autenticata su ciascuna facciata, restituzione con spedizione in piego raccomandato o consegna in segreteria (adempimento questo che, ove omesso, comporterà il pagamento di una pena pecuniaria).

È anche prevista una procedura “semplificata” per i documenti di spesa (rappresentanti l'esborso di somme di denaro sostenute da una parte processuale) che potranno essere confermati dal teste con dichiarazione sottoscritta trasmessa al difensore senza ricorso al “modello”.

Mentre la assunzione della testimonianza scritta nel giudizio civile può avvenire solo su accordo delle parti (il ché ha comportato una scarsa applicazione di questo istituto processuale) nel contenzioso tributario la prova testimoniale potrà essere ammessa anche se non vi è accordo tra le parti: cioè su istanza singolare cui la controparte si opponga.

In tal caso sarà necessaria la previa verifica di “rilevanza” ed “ammissibilità” del mezzo in relazione alla fattispecie litigiosa.

La prova dovrà risultare “necessaria” ai fini della decisione e - nei casi in cui la pretesa sia fondata su verbali od altri atti “fidefacenti” - dovrà vertere su circostanze di fatto “diverse” da quelle attestate dal pubblico ufficiale (valutazione di “diversita” che non sarà peraltro agevole effettuare considerata la complessità e le articolazioni degli accertamentI fiscali).

La testimonianza non potrà, quindi, essere ammessa per contrastare i fatti dedotti nei processi verbali di constatazione ove assistiti da fede privilegiata, ai sensi dell'articolo 2700 c.c., dunque contestabili solo con querela di falso relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza nonché sulla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese.

La testimonianza potrà invece trovare ingresso laddove il verbale faccia fede fino a prova contraria relativamente alle dichiarazioni raccolte dalle parti o da terzi o sul contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi.

C'è poi a da chiedersi se questo mutato contesto probatorio sia sufficiente a superare le limitazioni ostative stabilite dall'art. 654 c.p.p. e quindi possa essere assegnata “autorità di giudicato” alle decisioni irrevocabili penali.

Altri limiti all'ammissibilità probatoria andranno rinvenuti nelle singole leggi di imposta come - ad esempio - quello di ordine generale previsto nel sistema dell'imposizione diretta (art. 61 comma 3 d.P.R. 600/73) e dell'IVA (art. 59 comma 3 d.P.R. 633/72) che con identica formulazione stabiliscono che "i contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili non possono provare circostanze omesse nelle scritture stesse od in contrasto con le loro risultanze".

Circa il momento di presentazione dell'istanza probatoria mancando nel processo tributario le udienze istruttorie, occorrerà che - dopo il dispiego delle rispettive difese con le relative richieste - il giudice fissi una udienza ad hoc nel contradditorio delle parti per decidere sull'ammissione differendo all'occorrenza l'udienza di discussione.

Non sembra invece consentito desumere dal mancato accordo delle parti la possibilità per il giudice di disporre la prova di ufficio.

La legge n. 248/2005 aveva già eliminato dall'art. 7 del d.lgs. n. 546/1992 il comma 3, che assegnava al giudice la facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia, riconoscendogli così un vero e proprio potere ufficioso ad explorandum in supplenza della parte probatoriamente inerte.

Questo rafforzamento del carattere dispositivo “del processo tributario era confermato anche dalla Consulta (sent. n. 109/2007) che giustificava la scelta abrogativa del comma 3 con la necessità di eliminare qualsiasi ostacolo alla piena applicabilità nel processo tributario dell'art. 2697 cc.

Precisava la Corte Costituzionale che tali poteri non potevano neppure rivivere sotto le spoglie di una applicazione estensiva del comma 1, dell'art. 7 dovendo le ivi previste facoltà di accesso, richiesta dati e chiarimenti intendersi non “sostitutive” ma “integrative” degli oneri probatori di parte quando l'elemento conoscitivo mancante risultava al giudice “indispensabile” per la decisione.

È chiaro dunque che di fronte a questi inequivoci arresti un autonomo potere istruttorio assegnato al giudicante finirebbe per cadere sotto le censure di incostituzionalità.

La fase di appello

Naturalmente la testimonianza potrà essere ammessa anche in appello purchè sussistano le condizioni stabilite dall'art. 58, 1 comma, d.lgs. n. 546/1992:

  • le circostanze da provare ricadano su un fatto “decisivo” ai fini della risoluzione della lite;
  • l'espletamento dalla prova non sia potuta avvenire in primo grado per causa non imputabile.

Pertanto, non solo la testimonianza in appello dovrà risultare l'unica prova in grado di risolvere le incertezze sussistenti su un fatto decisivo, ma occorrerà anche dimostrare di non averla potuta invocare in primo grado per un motivo scusabile.

La disposizione, come si vede, mal si concilia con il principio di libera produzione dei documenti nuovi in appello consentita dall'art. 58, comma 2, (cioè senza sottostare alle limitazioni stabilite dal comma 1) venendo diversificate senza ragione tempi e modi di espletamento di prove documentali e prove testimoniali in disallineamento con quanto avviene nel procedimento impugnatorio civile dove vige il divieto di nuove produzioni (art. 345, comma 2, c.p.c.).

Ciò in evidente contrasto con il più volte richiamato principio dispositivo e di ragionevole durata del processo.

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