L'art. 6 della L. 130/1992 viene, innanzitutto, a circostanziare l'onere della prova della violazione tributaria che rimane a carico dell'Amministrazione aggiungendo all'art. 7 del d.Lgs. 546/1992 la precisazione che - ove questa prova sia mancante, contradditoria od insufficiente a dimostrare in maniera specifica e coerente la fondatezza della pretesa impositiva - il giudice dovrà annullarla.
Ora, fermo restando che la ripartizione dell'onere probatorio era vigente anche prima di tali precisazioni normative, tale specificità probatoria che, in certo senso, “alleggerisce” la posizione del contribuente potrebbe creare problemi non indifferenti all'efficacia della azione amministrativa ove venisse intesa come “surplus istruttorio” suscettivo - ove non adempiuto - di vanificare l'esito delle prove atipiche raccolte (dichiarazioni di terzi) e soprattutto le deduzioni derivate da presunzioni semplici.
Sembra perciò più coerente ritenere - come da ultimo precisato dalla Suprema Corte (Cass. 31878/22) - che tale regola probatoria non va intesa come “ innovativa” ma piuttosto volta a sortire l'effetto di imporre un maggior “rigore probatorio” a sostegno dei fatti posti a fondamento dell'azione fiscale.
Pertanto per le presunzioni non legali (che non determinano inversione dell'onere della prova) occorrerà che l'Ufficio si avvalga di ulteriori elementi di riscontro in “concretezza” che giustifichino le deduzioni assunte,non bastando le valutazioni basate su mere supposizioni che non si inscrivano in un quadro fattuale complessivo.
Particolarmente importante è poi la seconda modifica operata dal legislatore della riforma che - per parificare il ruolo del processo tributario alle altre giurisdizioni - ha abolito nell'art. 7 del d.Lgs. 546/92 l'anacronistico divieto di prova testimoniale (art. 4.1.c).
Da tempo si erano pronunziati a favore della ammissibilità di questo mezzo istruttorio nei processi “cartolari” sia la Corte Europea dei diritti dell'uomo (CEDU 23 novembre 2006 Jussila v.Finlandia) sia la stessa Corte Suprema (Cass. 5182/2012) ancorchè in particolari circostanze e nonostante le pronunzie contrarie della Corte Costituzionale (ex multis sent.18/2000) che, confermando la legittimità del divieto, aveva peraltro valorizzato l'utilizzabilità in sede processuale delle dichiarazioni di terzi (di natura indiziaria) per ristabilire la c.d “parità delle armi” con il fisco.
Sarà poi il giudice di legittimità in varie occasioni (da ultimo Cass. 25804/2021) a ribadire che “nel contenzioso tributario al contribuente, al pari che all'Amministrazione finanziaria, deve essere riconosciuta la possibilità d'introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extra processuale cui va riconosciuto il medesimo valore probatorio di natura indiziaria”.
La soluzione ora adottata dal legislatore supera il divieto assoluto di prova testimoniale “ufficializzando” anche il grado indiziario degli elementi probatori raccolti (quali -appunto-le dichiarazioni di terzi)e consentirà la formazione in giudizio di una “prova piena” ancorchè sottoposta alla libera valutazione del giudice.
La parte potrà avvalersi della prova testimoniale non nella forma legale tipica contrassegnata dalla oralità (art. 244 e segg. c.p.c.) ma soltanto in forma scritta da assumere con il modello della c.d. ”testimonianza scritta” secondo le regole e le modalità stabilite dall'art. 257-bis e 103-bis att. c.p.c.: acquisizione delle risposte rilasciate su apposito “questionario” notificato al testimone contenente le domande formulate dalla parte richiedente e successiva restituzione alla segreteria del giudice che - quando le deposizioni risultino ambigue o incomplete - potrà anche disporre a chiarimento l'audizione del teste avanti a lui.
La testimonianza scritta, quindi, non è libera perchè la parte che ha inoltrato la richiesta sarà onerata di predisporre il modello di testimonianza in relazione ai capitoli ammessi.
Parimenti la dichiarazione del testimone dovrà essere conforme a vincoli procedurali predeterminati quali risposte separate su ciascun quesito,specificazione delle ragioni della mancata risposta, firma autenticata su ciascuna facciata, restituzione con spedizione in piego raccomandato o consegna in segreteria (adempimento questo che, ove omesso, comporterà il pagamento di una pena pecuniaria).
È anche prevista una procedura “semplificata” per i documenti di spesa (rappresentanti l'esborso di somme di denaro sostenute da una parte processuale) che potranno essere confermati dal teste con dichiarazione sottoscritta trasmessa al difensore senza ricorso al “modello”.
Mentre la assunzione della testimonianza scritta nel giudizio civile può avvenire solo su accordo delle parti (il ché ha comportato una scarsa applicazione di questo istituto processuale) nel contenzioso tributario la prova testimoniale potrà essere ammessa anche se non vi è accordo tra le parti: cioè su istanza singolare cui la controparte si opponga.
In tal caso sarà necessaria la previa verifica di “rilevanza” ed “ammissibilità” del mezzo in relazione alla fattispecie litigiosa.
La prova dovrà risultare “necessaria” ai fini della decisione e - nei casi in cui la pretesa sia fondata su verbali od altri atti “fidefacenti” - dovrà vertere su circostanze di fatto “diverse” da quelle attestate dal pubblico ufficiale (valutazione di “diversita” che non sarà peraltro agevole effettuare considerata la complessità e le articolazioni degli accertamentI fiscali).
La testimonianza non potrà, quindi, essere ammessa per contrastare i fatti dedotti nei processi verbali di constatazione ove assistiti da fede privilegiata, ai sensi dell'articolo 2700 c.c., dunque contestabili solo con querela di falso relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza nonché sulla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese.
La testimonianza potrà invece trovare ingresso laddove il verbale faccia fede fino a prova contraria relativamente alle dichiarazioni raccolte dalle parti o da terzi o sul contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi.
C'è poi a da chiedersi se questo mutato contesto probatorio sia sufficiente a superare le limitazioni ostative stabilite dall'art. 654 c.p.p. e quindi possa essere assegnata “autorità di giudicato” alle decisioni irrevocabili penali.
Altri limiti all'ammissibilità probatoria andranno rinvenuti nelle singole leggi di imposta come - ad esempio - quello di ordine generale previsto nel sistema dell'imposizione diretta (art. 61 comma 3 d.P.R. 600/73) e dell'IVA (art. 59 comma 3 d.P.R. 633/72) che con identica formulazione stabiliscono che "i contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili non possono provare circostanze omesse nelle scritture stesse od in contrasto con le loro risultanze".
Circa il momento di presentazione dell'istanza probatoria mancando nel processo tributario le udienze istruttorie, occorrerà che - dopo il dispiego delle rispettive difese con le relative richieste - il giudice fissi una udienza ad hoc nel contradditorio delle parti per decidere sull'ammissione differendo all'occorrenza l'udienza di discussione.
Non sembra invece consentito desumere dal mancato accordo delle parti la possibilità per il giudice di disporre la prova di ufficio.
La legge n. 248/2005 aveva già eliminato dall'art. 7 del d.lgs. n. 546/1992 il comma 3, che assegnava al giudice la facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia, riconoscendogli così un vero e proprio potere ufficioso ad explorandum in supplenza della parte probatoriamente inerte.
Questo rafforzamento del carattere dispositivo “del processo tributario era confermato anche dalla Consulta (sent. n. 109/2007) che giustificava la scelta abrogativa del comma 3 con la necessità di eliminare qualsiasi ostacolo alla piena applicabilità nel processo tributario dell'art. 2697 cc.
Precisava la Corte Costituzionale che tali poteri non potevano neppure rivivere sotto le spoglie di una applicazione estensiva del comma 1, dell'art. 7 dovendo le ivi previste facoltà di accesso, richiesta dati e chiarimenti intendersi non “sostitutive” ma “integrative” degli oneri probatori di parte quando l'elemento conoscitivo mancante risultava al giudice “indispensabile” per la decisione.
È chiaro dunque che di fronte a questi inequivoci arresti un autonomo potere istruttorio assegnato al giudicante finirebbe per cadere sotto le censure di incostituzionalità.