È valida l'opposizione all'ingiunzione di pagamento degli onorari proposta con citazione?
10 Gennaio 2023
Massima
L'opposizione avverso l'ingiunzione ottenuta dall'avvocato nei confronti del proprio cliente ai fini del pagamento degli onorari proposta con atto di citazione, anziché con ricorso ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c., e del d.lgs. n. 150/2011, art. 14, è da reputare utilmente esperita qualora la citazione sia stata comunque notificata entro il termine di quaranta giorni dalla data di notificazione dell'ingiunzione di pagamento. In tale circostanza, a fronte di quanto disposto dall'art. 4, comma 5, d.lgs. n. 150/2011, gli effetti sostanziali e processuali correlati alla proposizione dell'opposizione si producono sulla base del rito tempestivamente attivato, sebbene erroneamente prescelto, dovendo il giudice adito disporre con ordinanza il mutamento del rito. Il caso
Un avvocato aveva ottenuto un decreto ingiuntivo a fronte della maturazione di un credito quale corrispettivo per l'attività professionale dallo stesso prestata in favore di un Comune. Avverso tale provvedimento, l'ingiunto proponeva opposizione con atto di citazione notificato tempestivamente, ma il cui deposito avveniva oltre il quarantesimo giorno dalla notifica del decreto opposto, il che determinava la pronuncia d'inammissibilità dell'opposizione da parte del Tribunale. Avverso tale decisione il Comune decideva, quindi, di promuovere ricorso per cassazione denunciando la violazione del d.lgs. n. 150/2011, artt. 4 e 14. La questione
L'opposizione avverso l'ingiunzione ottenuta dall'avvocato nei confronti del proprio cliente ai fini del pagamento degli onorari dovuti, proposta con citazione anziché con ricorso, è tempestiva qualora la citazione sia stata comunque notificata entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c. dal giorno della di notifica dell'ingiunzione di pagamento? Le soluzioni giuridiche
Secondo il giudice di merito, a fronte di quanto previsto dal d.lgs. n. 150/2011, l'opposizione all'ingiunzione di pagamento degli onorari spettanti all'avvocato, qualora venga proposta con citazione, anziché con ricorso, è da considerarsi tardiva, se depositata in cancelleria oltre il termine di cui all'art. 641 c.p.c. Al riguardo, come noto, ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 le controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato, di cui alla l. n. 794/1942, art. 28, può essere introdotta – salva la possibilità di promuovere a tal fine ricorso per ingiunzione ordinario ex artt. 633 e ss. c.p.c. – mediante ricorso ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c. In quest'ultimo caso, la proposizione dell'opposizione darà luogo ad un procedimento sommario speciale regolato dagli artt. 3, 4 e 14 del sopracitato decreto, nel secondo, invece, la successiva eventuale opposizione dovrà essere proposta ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c. e ss. c.p.c., integrato dalla sopraindicata disciplina speciale e con l'applicazione degli artt. 648, 649, 653 e 654 c.p.c., e, quindi, nella forma del ricorso (cfr. Cass. civ., sez. un., 23 febbraio 2018, n. 4485). Per altro verso, occorre altresì ricordare, come il d.lgs. n. 150/2011, art. 4, con riferimento alle controversie come quelle oggetto dell'ordinanza in commento, preveda che quando una causa venga promossa in forme diverse da quelle previste dal decreto di cui sopra, il giudice disponga il mutamento del rito con ordinanza, e che gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producano secondo le norme del rito seguito prima del mutamento, restando ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. Pertanto, ove la domanda giudiziale sia proposta in forma non corretta, quindi con citazione anziché ricorso e viceversa, essa produce i suoi effetti propri, da valutare secondo il modello concretamente seguito, ancorché difforme da quello legale. Vi è dunque che dal richiamato ordito normativo deriva una sorta di “principio di fungibilità” tra i riti a differenza di quanto stabilito dalle norme codicistiche, in base alle quali la riconduzione al rito voluto dalla legge non incontra barriere preclusive (artt. 426 e 427 c.p.c.) ed è consentita anche in appello (art. 439 c.p.c.), dato che, anche nella loro diversità e nonostante l'attribuzione ad ognuno di essi di un ambito applicativo preferenziale, ciascuno assicura il giusto processo ex art. 111 Cost. (sul punto cfr. Cass. civ., sez. VI, ord., 21 febbraio 2022, n. 5659). Ciò premesso, nel caso dell'ordinanza che qui si annota, il Tribunale aveva dato atto che solo il deposito della citazione in opposizione era stato tardivamente effettuato rispetto al termine previsto per l'opposizione, mentre tale termine risultava essere stato rispettato in relazione al diverso momento della notifica; da qui la pronuncia di inammissibilità. Tuttavia, recentemente, le Sezioni Unite della Corte di cassazione (cfr. Cass. civ., sez. un., 12 gennaio 2022, n. 758), hanno rimarcato il carattere innovativo dell'art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150/2011, per aver ammesso una sanatoria piena degli effetti processuali e sostanziali prodotti dalla domanda originariamente proposta (secondo il rito erroneo concretamente applicato). La S.C., infatti, da un lato, ha ricordato come l'articolo de quo abbia escluso che l'errore sulla forma dell'atto introduttivo possa riflettersi sulla tempestività dell'opposizione stessa, tranne quando siano maturate decadenze e preclusioni (che “restano ferme”) secondo le norme seguite precedentemente e, dall'altro, che la sua ratio consiste nell'esigenza di escludere in modo univoco l'efficacia retroattiva del provvedimento che dispone il mutamento medesimo. Di conseguenza, le norme che disciplinano il rito seguito prima del mutamento rilevano come parametro di valutazione di legittimità dell'atto introduttivo del giudizio e gli effetti sostanziali e processuali della domanda vanno delibati secondo il rito (erroneo) concretamente applicato fino a quel momento, e non in base al diverso rito che avrebbe dovuto essere invece seguito, senza possibilità di applicare a ritroso preclusioni riconducibili al nuovo rito da seguire nel successivo corso del procedimento. Pertanto, nell'ipotesi in cui intervenga l'ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, essa avrà una rilevanza esclusivamente pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all'esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli sostanziali e processuali, riconducibili all'atto introduttivo sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non di quella che esso avrebbe dovuto assumere. Per tali ragioni, quindi, bisognerà guardare alla data di notifica della citazione effettuata nelle ipotesi in cui la legge prescriva il ricorso o, viceversa, alla data di deposito del ricorso quando sia, al contrario, previsto l'atto di citazione. Nella vicenda in esame, quindi, la decisione che era stata impugnata non si era conformata ai principi espressi dalla S.C. che, ribadendo il proprio orientamento, ha annullato la stessa. Osservazioni
L'ordinanza che si annota appare di interesse anche per altri due ordini di motivi. In primo luogo, in considerazione del fatto che il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione e non anche appello. Orbene, sul punto, si ricorda, infatti, che, in materia civile, in tema di liquidazione degli onorari e diritti di avvocato, il provvedimento conclusivo del procedimento svoltosi ex art. 14, d.lgs. n. 150/2011, non è appellabile, ma impugnabile tramite ricorso straordinario per cassazione, sia nell'ipotesi in cui la controversia riguardi unicamente il “quantum debeatur”, che in quella in cui sia estesa all'”an” della pretesa, trovando anche in tale ipotesi applicazione il rito di cui all'art. 14 del decreto sopra menzionato. In secondo luogo, la pronuncia si presenta altresì interessante nella parte in cui la Suprema Corte si sofferma in merito alla verifica della sussistenza della procura alle liti necessaria ai fini dell'ammissibilità del ricorso per cassazione, stante l'eccezione di inammissibilità sollevata dal controricorrente, con la quale deduceva che al ricorso, notificato via PEC, non era stata allegata alcuna procura. Ebbene, al riguardo, la Corte di legittimità ha ricordato che l'incorporazione della procura ex art. 83, comma 3, c.p.c., nell'atto di impugnazione, estende la data di quest'ultimo alla procura medesima, ragion per cui si presume che quest'ultima sia stata rilasciata anteriormente alla notifica dell'atto che la contiene. Ne consegue, quindi, che ai fini della verifica della sussistenza o meno della procura, non rileva l'eventuale mancata riproduzione o segnalazione di essa nella copia notificata, essendo sufficiente, ai fini dell'ammissibilità del ricorso per cassazione, la presenza della procura nell'atto originale. Nella vicenda in esame, il ricorrente aveva depositato il ricorso munito di procura su foglio separato da intendersi apposta in calce all'atto, così come riportato nell'intestazione del ricorso per cassazione depositato e notificato a controparte. Tale eccezione, quindi, a fronte dei principi appena ricordati, è stata ritenuta infondata. |