La vicenda posta all'attenzione della Suprema Corte origina dall'impugnazione proposta dalla società beneficiaria di una scissione parziale di una cartella di pagamento relativa ad imposte e sanzione iscritte a ruolo nei confronti della società scissa in quanto derivanti da avvisi di accertamento relativi a periodi d'imposta ante scissione.
Il decisum di primo grado che, in parziale accoglimento del ricorso, aveva ordinato la rideterminazione delle somme iscritte a ruolo in misura corrispondente al patrimonio netto assegnato alla beneficiaria della scissione era stato confermato dai giudici del gravame che avevamo, altresì, riconosciuto la legittimità della procedura di notifica sebbene il debito erariale risultasse iscritto a ruolo nei confronti della società scissa.
L'agente della riscossione, conseguentemente, aveva impugnato la pronuncia dinanzi alla Corte di Cassazione nella parte in cui il giudice di seconde cure aveva illegittimamente ritenuto applicabili anche ai debiti fiscali i limiti previsti per le obbligazioni civilistiche, di cui agli artt. 2506-bis c.c., comma 2, e 2506-quater c.c., comma 3. Ai sensi delle norme appena citate, sono solidalmente coobbligate per i debiti civili della scissa anche le società partecipanti alla scissione, nella misura della quota di patrimonio netto a ciascuna assegnata attraverso l'operazione straordinaria.
Tesi, quest'ultima, integralmente accolta dalla sentenza n. 33436 dello scorso 11 novembre 2022 con la quale la Corte di Cassazione, sovvertendo le conclusioni rassegnate dai giudici di merito, ha chiarito che: “quando sia realizzata un'operazione di scissione parziale, la responsabilità per i debiti fiscali riguardanti gli anni di imposta ad essa antecedenti, prevista dall'art. 173, comma 13, d.P.R. n. 917/1986, e confermata, quanto alle somme dovute per violazioni tributarie, dall'art. 15, comma 2, d.lgs. n. 472/1997, diverge da quella riguardante le obbligazioni civili […], in quanto si estende non solo solidalmente ma anche illimitatamente a tutte le società partecipanti all'operazione, indipendentemente dalle quote di patrimonio assegnato con detta operazione, senza che tale differente trattamento sia costituzionalmente illegittimo”.
Ponendosi nello stesso solco interpretativo tracciato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 90 del 26 aprile 2018, dunque, anche i giudici di legittimità hanno giustificato tale interpretazione in virtù della preminente esigenza di agevolare l'attività di riscossione dell'Amministrazione finanziaria, disincentivando la realizzazione di operazioni realizzate al solo fine di renderla più difficile.
Tali principi, inoltre, risulterebbero integralmente mutuabili anche in materia di Iva.