E' possibile cedere un credito IRES durante la procedura fallimentare

11 Gennaio 2023

La Corte di cassazione con l'ordinanza in commento si è pronunciata sulla tutela della circolazione dei crediti nelle procedure concorsuali, affermando che, al ricorrere di alcune condizioni, è valida ed efficace la cessione del credito IRES operata prima della cessazione della procedura.
Massima

In tema di circolazione dei crediti delle procedure concorsuali, è valida ed efficace tra cedente e cessionario la cessione del credito Ires operata antecedentemente alla cessazione della procedura, benché non rispondente ai requisiti formali stabiliti dal regolamento sulla contabilità generale dello Stato; laddove il contratto stipulato dopo la cessazione della procedura, che risponda a quei requisiti, si traduce in una riproduzione contrattuale, la quale costituisce un adempimento dovuto, funzionale a consentire al cessionario di far valere nei confronti del fisco il credito che gli è stato ceduto.

Il caso

Con ordinanza del 26 settembre 2022, n. 28047, la Corte di Cassazione si è occupata di una causa relativa ad un rigetto da parte dell'Agenzia delle Entrate di un'istanza di rimborso presentata da una società che aveva acquisito, da un'altra società dichiarata fallita, un credito Ires generato dalle ritenute fiscali applicate sugli interessi attivi maturati sui depositi bancari liquidati dagli Istituti di Credito.

In particolare, è stata rifiutata la richiesta della società acquirente il credito, in quanto, secondo l'Ufficio, in materia di rimborsi delle imposte dirette, il relativo credito dovrebbe già essere sorto al momento della cessione, essendo necessaria l'indicazione nella dichiarazione.

Seguendo tale tesi, l'atto di cessione non sarebbe stato opponibile, avendo ad oggetto un credito futuro, in quanto al momento del trasferimento l'Ires non era stata ancora evidenziata nella dichiarazione annuale.

La Suprema Corte ha respinto la tesi erariale, in quanto, al momento della notifica della cessione il credito era già venuto ad esistenza ed era irrilevante che l'accordo tra le parti fosse antecedente alla presentazione della dichiarazione da cui emergeva il relativo credito. Per questi motivi, il rifiuto è stato dichiarato illegittimo.

La normativa di riferimento

La disposizione che disciplina l'istituto della cessione del credito erariale è contenuta nell' art. 43-bis d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, il quale prevede che le disposizioni di cui agli artt. 69 e 70 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, che, nell'ambito della contabilità dello Stato, consentono la cessione dei crediti vantati nei confronti di una pubblica amministrazione, si applicano anche alle cessioni dei crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi.

Sempre secondo tale disposizione normativa, ferma restando l'applicazione nei confronti del cedente delle disposizioni di cui al precedente art. 43, a norma del quale l'ufficio finanziario può procedere al recupero delle somme erroneamente rimborsate, il cessionario risponde in solido con il cedente fino a concorrenza delle somme indebitamente rimborsate, sempre che gli siano stati notificati gli atti con i quali l'ufficio effettua il recupero.

Infine, il comma terzo del richiamato art. 43-bis, prevede che l'atto di cessione debba essere notificato all'ufficio dell'Agenzia delle entrate ed all'Agente della riscossione presso il quale è tenuto il conto fiscale.

Al riguardo, l'art. 69 r.d. n. 2440/1923 stabilisce che “… Le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno e gli atti di revoca, rinuncia o modificazione di vincoli devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata, autenticata da notaio”.

L'art. 1 decreto del Ministro delle Finanze 30 settembre 1997, n. 384, recante le norme di attuazione in materia di cessione dei crediti d'imposta, precisa che possono essere ceduti solo i crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi e che, anche a seguito della cessione, restano impregiudicati i poteri dell'Amministrazione finanziaria relativi al controllo delle dichiarazioni dei redditi, all'accertamento e all'irrogazione delle sanzioni nei confronti del contribuente che ha ceduto il credito d'imposta.

In ambito civilistico, invece, si deve fare riferimento agli artt. 1260 e 1321 c.c.

La questione giuridica

E' necessario ricordare alcune peculiarità relative alla modalità di tassazione delle imposte sul reddito nelle procedure concorsuali liquidatorie, procedure che, pur essendo una fase della vita fiscale dell'impresa, sono tassate, quanto al reddito di impresa, in modo affatto differente rispetto alle imprese in bonis.

Come sancito dalla Corte di cassazione con ordinanza interlocutoria del 28 maggio 2020, n. 10129, la tassazione non opera in relazione ai risultati economici della gestione di ciascun periodo di imposta (quali quelli risultanti dall'utile di bilancio rettificato a termini dell'art. 83 TUIR), ma su quanto eventualmente residui all'esito del pagamento dei creditori concorsuali in sede di riparto finale. La base imponibile non attiene, pertanto, alle rettifiche apportate all'utile di bilancio, ma ad una grandezza patrimoniale, data dalla differenza tra il residuo attivo risultante al termine della procedura e il patrimonio netto all'inizio della procedura (art. 183, comma 2, TUIR). Ove il patrimonio netto iniziale, derivante dal confronto tra attività e passività risultanti dal periodo di imposta infrannuale (sino alla dichiarazione di fallimento) risulti nullo in forza della superiorità delle passività rispetto alle attività, nonché ove anche il residuo attivo finale sia inesistente (essendo l'attivo ripartito integralmente tra i creditori), nella procedura liquidatoria non vi è (fisiologicamente) reddito tassabile.
Altra particolarità (per quanto più rileva in questa sede) è costituita dalla deroga apportata dall'art. 183, comma 2, TUIR al principio della tassazione per singoli periodi di imposta costituiti dai vari periodi di gestione in ragione d'anno (art. 76 TUIR), essendo il periodo oggetto di tassazione pari all'intero periodo concorsuale «compreso tra l'inizio e la chiusura del procedimento concorsuale» (cd. maxiperiodo concorsuale). Ne consegue che il momento in cui diviene certa la posta patrimoniale del «residuo attivo», idonea a determinare il reddito eventualmente prodottosi durante la procedura, è il momento conclusivo della procedura concorsuale.

Su questo sistema impatta la regola, applicabile anche alle procedure concorsuali, secondo cui, a termini dell'art. 79 TUIR «i versamenti eseguiti dal contribuente in acconto dell'imposta e le ritenute alla fonte a titolo di acconto si scomputano dall'imposta a norma dell'articolo 22». Principio al quale fanno eccezione le ritenute in acconto di cui all'art. 26, comma 1 e 2, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (ritenute sugli interessi attivi), le quali, per le imprese in esercizio, si scomputano nel periodo di imposta in cui si sono prodotti.

A questo obbligo per gli enti finanziari di operare una ritenuta a titolo di acconto sugli interessi corrisposti, si accompagna, per i contribuenti in bonis, la facoltà prevista dall'art. 80 TUIR di computare l'eccedenza in diminuzione dell'imposta relativa al periodo di imposta successiva, ovvero di chiederne il rimborso in sede di dichiarazione.
Per le imprese assoggettate a fallimento l'eccedenza è virtualmente certa (stante la fisiologica assenza di reddito tassabile), ma questa certezza - dalla quale scaturisce il diritto del contribuente di detrarre gli acconti versati in assenza di reddito prodotto - non potrà che generarsi al termine della procedura concorsuale con la dichiarazione del maxiperiodo in cui si accerta l'inesistenza del residuo attivo, non essendovi periodi di imposta intermedi a termini dell'art. 76 TUIR nei quali la procedura possa computare l'eccedenza in diminuzione dell'imposta.

Considerato che il credito verrebbe esposto solo nella dichiarazione dei redditi, dopo la chiusura della procedura, una cessione avvenuta precedentemente a tale momento non sarebbe opponibile, in quanto avente ad oggetto un credito futuro.

La soluzione

Secondo la Corte di cassazione in commento, invece, ai fini della cessione, non rileva che il credito sia esposto nella dichiarazione, la quale non ha natura negoziale o comunque dispositiva, ma è esternazione di scienza o di giudizio, come già ritenuto dalla medesima Corte di Cassazione con la pronuncia del 30 giugno 2016, n. 13378; rileva, piuttosto, che esso scaturisca da uno specifico rapporto tributario e che, in quanto tale, sia qualificabile come credito futuro o che derivi da rapporti tra cedente e ceduto anche soltanto eventuali al momento della cessione.

Nel caso specifico, quando è stato ceduto, il credito non si poteva dire certo, perché erano in corso le attività di liquidazione dalle quali sarebbe scaturito (anzi, proprio la cessione in questione, che ha prodotto un provento, ha costituito una di quelle attività).

Il credito è divenuto certo e attuale, tuttavia, al termine di quelle operazioni, che hanno individuato la materia imponibile.

Conseguentemente, anche se riferito ad un caso di una procedura di liquidazione coatta, viene fatto proprio il seguente principio di diritto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza del 4 febbraio 2021, n. 2608): "In tema di circolazione dei crediti delle procedure concorsuali, posto che il credito IRES da eccedenza d'imposta versata a titolo di ritenuta d'acconto nasce in esito e per l'effetto del compimento delle attività di liquidazione, di modo che la dichiarazione concernente il maxiperiodo concorsuale comporta soltanto la rilevazione di un credito già sorto, valida ed efficace tra cedente e cessionario è la cessione di quel credito operata dal commissario liquidatore di una società sottoposta a liquidazione coatta amministrativa antecedentemente alla cessazione della procedura, benché non rispondente ai requisiti formali stabiliti dal regolamento sulla contabilità generale dello Stato; laddove il contratto stipulato dopo la cessazione della procedura, che risponda a quei requisiti, si traduce in una riproduzione contrattuale, la quale costituisce un adempimento dovuto, funzionale a consentire al cessionario di far valere nei confronti del fisco il credito che gli è stato ceduto".

Alcune considerazioni

A questo punto, si deve ricordare che la stessa Agenzia delle Entrate ha riconosciuto, con la risoluzione n. 279/E del 12 agosto 2002, che “...un atto che abbia per oggetto la cessione di un credito tributario futuro possa avere rilevanza puramente civilistica tra le parti, non producendo alcun effetto nei confronti dell'Amministrazione finanziaria”.

Al riguardo, come precisato dalla consulenza giuridica n. 1 del 17 gennaio 2019, tale affermazione non va intesa nel senso che la cessione di un credito tributario futuro sia valida solo tra le parti senza produrre mai effetti nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, quanto piuttosto che la stessa debba essere considerata valida ed efficace anche nei confronti dell'erario solo successivamente all'indicazione in dichiarazione del credito, alla conseguente richiesta di rimborso e all'espletamento delle previste formalità di notifica della cessione.

Pertanto, secondo l'Agenzia delle Entrate, la cessione preventiva del credito d'imposta, valida tra le parti, acquista efficacia, anche ai fini fiscali, solo se il credito viene chiesto a rimborso nella dichiarazione annuale, e l'atto di cessione deve essere redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio e notificato al competente ufficio dell'Agenzia.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.