E' necessario ricordare alcune peculiarità relative alla modalità di tassazione delle imposte sul reddito nelle procedure concorsuali liquidatorie, procedure che, pur essendo una fase della vita fiscale dell'impresa, sono tassate, quanto al reddito di impresa, in modo affatto differente rispetto alle imprese in bonis.
Come sancito dalla Corte di cassazione con ordinanza interlocutoria del 28 maggio 2020, n. 10129, la tassazione non opera in relazione ai risultati economici della gestione di ciascun periodo di imposta (quali quelli risultanti dall'utile di bilancio rettificato a termini dell'art. 83 TUIR), ma su quanto eventualmente residui all'esito del pagamento dei creditori concorsuali in sede di riparto finale. La base imponibile non attiene, pertanto, alle rettifiche apportate all'utile di bilancio, ma ad una grandezza patrimoniale, data dalla differenza tra il residuo attivo risultante al termine della procedura e il patrimonio netto all'inizio della procedura (art. 183, comma 2, TUIR). Ove il patrimonio netto iniziale, derivante dal confronto tra attività e passività risultanti dal periodo di imposta infrannuale (sino alla dichiarazione di fallimento) risulti nullo in forza della superiorità delle passività rispetto alle attività, nonché ove anche il residuo attivo finale sia inesistente (essendo l'attivo ripartito integralmente tra i creditori), nella procedura liquidatoria non vi è (fisiologicamente) reddito tassabile.
Altra particolarità (per quanto più rileva in questa sede) è costituita dalla deroga apportata dall'art. 183, comma 2, TUIR al principio della tassazione per singoli periodi di imposta costituiti dai vari periodi di gestione in ragione d'anno (art. 76 TUIR), essendo il periodo oggetto di tassazione pari all'intero periodo concorsuale «compreso tra l'inizio e la chiusura del procedimento concorsuale» (cd. maxiperiodo concorsuale). Ne consegue che il momento in cui diviene certa la posta patrimoniale del «residuo attivo», idonea a determinare il reddito eventualmente prodottosi durante la procedura, è il momento conclusivo della procedura concorsuale.
Su questo sistema impatta la regola, applicabile anche alle procedure concorsuali, secondo cui, a termini dell'art. 79 TUIR «i versamenti eseguiti dal contribuente in acconto dell'imposta e le ritenute alla fonte a titolo di acconto si scomputano dall'imposta a norma dell'articolo 22». Principio al quale fanno eccezione le ritenute in acconto di cui all'art. 26, comma 1 e 2, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (ritenute sugli interessi attivi), le quali, per le imprese in esercizio, si scomputano nel periodo di imposta in cui si sono prodotti.
A questo obbligo per gli enti finanziari di operare una ritenuta a titolo di acconto sugli interessi corrisposti, si accompagna, per i contribuenti in bonis, la facoltà prevista dall'art. 80 TUIR di computare l'eccedenza in diminuzione dell'imposta relativa al periodo di imposta successiva, ovvero di chiederne il rimborso in sede di dichiarazione.
Per le imprese assoggettate a fallimento l'eccedenza è virtualmente certa (stante la fisiologica assenza di reddito tassabile), ma questa certezza - dalla quale scaturisce il diritto del contribuente di detrarre gli acconti versati in assenza di reddito prodotto - non potrà che generarsi al termine della procedura concorsuale con la dichiarazione del maxiperiodo in cui si accerta l'inesistenza del residuo attivo, non essendovi periodi di imposta intermedi a termini dell'art. 76 TUIR nei quali la procedura possa computare l'eccedenza in diminuzione dell'imposta.
Considerato che il credito verrebbe esposto solo nella dichiarazione dei redditi, dopo la chiusura della procedura, una cessione avvenuta precedentemente a tale momento non sarebbe opponibile, in quanto avente ad oggetto un credito futuro.