Il concorso per omissione dell'amministratore non esecutivo nei reati di bancarotta

13 Gennaio 2023

Il tema oggetto della pronuncia della Suprema Corte in commento riguarda, in ragione dei motivi dedotti dal ricorrente, l'analisi degli elementi costitutivi del concorso per omissione da parte dell'amministratore privo di deleghe, ai sensi degli artt. 110 e 40 c.p., nei reati di bancarotta commessi dagli amministratori esecutivi.
Massima

In tema di bancarotta fraudolenta, gli amministratori privi di deleghe di un consorzio dichiarato fallito rispondono di concorso nei reati di bancarotta fraudolenta di cui agli artt. 216, comma 1, n. 1) e 223 comma 1, l. fall. e di bancarotta da false comunicazioni sociali di cui all'art. 223, comma 2, n. 1) l. fall. per avere omesso di attivarsi ed esercitare i propri poteri di controllo all'emersione di segnali di allarme loro percepiti tali da significare l'esistenza di condotte di natura delittuosa da parte degli amministratori delegati, dovendo poi il giudice di merito verificare, mediante un giudizio controfattuale, se, qualora fossero state poste in essere le attività di controllo omesse, sarebbe stato evitato l'evento costituito dal reato altrui ed ancora se l'omissione sia soggettivamente caratterizzata da una volontaria partecipazione alle condotte illecite dei delegati anche per l'accettazione del rischio della commissione di esse.

Il caso

La vicenda giudiziaria sottoposta all'attenzione della Suprema Corte origina dal ricorso presentato dall'imputato avverso una sentenza della Corte di Appello di Bologna che ne aveva affermato la responsabilità, quale amministratore di diritto privo di deleghe di un consorzio, per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui agli artt. 216, comma 1, n. 1) e 223, comma 1, l. fall. (ora artt. 322, comma 1 lett. a) e 329, comma 1, CCII), di bancarotta da false comunicazioni sociali di cui all'art. 223, comma 2, n. 1) l. fall. (ora 329, comma 2, CCII) e di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto di cui agli artt. 217, comma 1, n. 4) e 224 n. 1) l. fall. (ora artt. 323, comma 1, lett. d) e 330, comma 1, lett. a), CCII).

Le censure mosse alla sentenza di appello investivano in radice l'intero impianto argomentativo di essa, evidenziandosi l'assenza di adeguata motivazione circa la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva e gli eventi contestati - che nello specifico concernevano operazioni di “cosmesi contabile” dei bilanci onde dissimulare l'ingravescente sofferenza finanziaria del consorzio - nonché circa il profilo volitivo del dolo del ricorrente, neppure precisandosi se questi avesse avuto effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per il consorzio derivanti dalle azioni degli amministratori esecutivi o quantomeno di “segnali di allarme” che ciò consentissero di disvelare.

Le argomentazioni difensive così in sintesi riassunte erano ritenute fondate dalla Corte di Cassazione, la quale dichiarava estinto per prescrizione il reato di bancarotta semplice e, quanto al resto, annullava con rinvio la sentenza impugnata.

La questione e le soluzioni giuridiche

Il tema in causa concerne dunque, in ragione dei motivi dedotti dal ricorrente, l'analisi degli elementi costitutivi del concorso per omissione da parte dell'amministratore privo di deleghe, ai sensi degli artt. 110 e 40 cpv. c.p., nei reati di bancarotta commessi dagli amministratori esecutivi.

Il concorso per omissione nei reati di bancarotta, ed in particolare dell'amministratore privo di deleghe, resta fattispecie interpretativa di significativo interesse, anche per la sua non infrequente incidenza statistica, la Suprema Corte tornandosene ad occupare e riassumendo i consolidati principi in argomento, i quali possono sintetizzarsi come segue.

La Corte muove dall'assunto generale secondo cui, in tema di reati commessi in ambito societario, la previsione di cui all'art. 2381 c.c. introdotta col d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, (Riforma organica delle società di capitali e cooperative in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366) riduce gli oneri e le responsabilità degli amministratori privi di deleghe, l'amministratore (con o senza delega) restando penalmente responsabile ex art. 40, comma 2 c.p. per la commissione dell'evento che, pur potendo, non provvede ad impedire, posto che a tal riguardo l'art. 2392 c.c., nei limiti della nuova disciplina dell'art. 2381 c.c., risulta immutato.

La citata riforma della disciplina delle società pone a carico di ogni amministratore, anche non esecutivo, l'obbligo di agire informato (art. 2381, comma 6, c.c.) ed a carico del presidente del consiglio di amministrazione l'obbligo di provvedere affinché adeguateinformazioni sulle materie iscritte all'ordine del giorno del convocato consiglio vengano fornite a tutti i consiglieri (art. 2381, comma 1, c.c.), prevedendo altresì l'obbligo degli amministratori delegati di riferire, con prestabilita periodicità, al consiglio di amministrazione ed al collegio sindacale sul “generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni e caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate” (art. 2381, comma 5, c.c.).

Da tutto ciò, nonché dal disposto dell'art. 2392, comma 1, c.c., deriva che anche gli amministratori privi di deleghe sono responsabili verso la società, ma nei limiti delle loro attribuzioni quali stabilite dalla legge; dunque (e qui la Corte richiamando principi affermati dalle proprie sezioni civili ed in particolare da Cass. 31 agosto 2016, n. 17441 in Giur. Comm.,2017, II, 835 con nota di Piazza, La Cassazione torna sulla responsabilità degli amministratori senza deleghe: problemi risolti e questioni ancora aperte) essi non sono più sottoposti ad un “obbligo di vigilanza” ma rispondono solo quando non abbiano impedito le condotte dannose degli altri amministratori in virtù della conoscenza (anche al di fuori dei prestabiliti mezzi informativi) o della possibilità di conoscenza di elementi tali da sollecitare il loro intervento alla stregua della diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze nonché in forza del loro dovere di agire informati, il quale implica la possibilità di chiedere ai colleghi operativi di fornire informazioni relative alla gestione della società.

Così circoscritta la posizione di garanzia del consigliere privo di deleghe, continua la Corte come il concorso omissivo di questi nei reati di bancarotta sia configurabile, sul piano obiettivo, per violazione del dovere di agire informato e nella misura in cui l'omesso intervento abbia avuto effettiva incidenza causale nella commissione del reato da parte dei consiglieri con delega.

Inoltre, sul piano soggettivo, la responsabilità del consigliere non operativo non può fondarsi soltanto su detta posizione di garanzia, quasi si trattasse di una responsabilità di mera posizione, e discendere, tout court, dal mancato esercizio dei doveri di intervento, postulando invece l'esistenza di puntuali elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, dimostrativi di un'omissione esorbitante dalla dimensione meramente colposa ed espressiva, piuttosto, di una volontaria partecipazione alle condotte illecite degli amministratori delegati nella forma del dolo eventuale.

D'altra parte, la stessa conoscenza di detti elementi sintomatici non può prescindere da una loro contestualizzazione rispetto al soggetto agente, ben essendo possibile che questi li abbia sottovalutati o non adeguatamente percepiti e nel qual caso ciò indirizzando ancora una volta verso un suo comportamento caratterizzato eventualmente da colpa, non da dolo.

Muovendo dagli assunti fin qui evidenziati, la Cassazione conclude osservando come, nel caso al vaglio, la motivazione della sentenza impugnata circa l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato fosse carente in ragione del difetto dell'indicazione degli elementi da cui ricavare prova che questi fosse effettivamente a conoscenza di fatti pregiudizievoli per il consorzio o, quanto meno, di segnali d'allarme inequivocabili da cui desumere l'accettazione del rischio del verificarsi dell'evento illecito e dunque della volontà di non attivarsi per scongiurarlo.

Osservazioni

Le conclusioni cui è giunta la Suprema Corte appaiono certamente condivisibili quanto ai principi affermati, riassumendo gli elementi costitutivi della complessa fattispecie del concorso omissivo nei delitti di bancarotta da parte dei membri del consiglio di amministrazione privi di deleghe quali titolari di un obbligo di garanzia rilevante ai sensi dell'art. 40 cpv. c.p. nella specifica forma dell'obbligo di impedimento della commissione del reato altrui.

Non appare revocabile in dubbio che la posizione degli amministratori non operativi sia stata “alleggerita” dalla riforma del diritto societario di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 tramite la sostituzione dell'obbligo di “vigilanza sul generale andamento della gestione”, così come previsto dall'originario art. 2392, comma 2 c.c., con quello dell'agire informati, rimanendo comunque quest'ultimo sufficiente, secondo i principi affermati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità dai quali non si allontana la pronuncia qui annotata, a (continuare a) costituire fondamento normativo della posizione di garanzia in argomento.

La struttura obiettiva del concorso omissivo improprio per “obbligo di impedimento” postula una inerzia del titolare di tale obbligo legata eziologicamente al reato altrui, il quale costituisce l'evento che si deve impedire; in proposito il riferimento è alla causalità c.d. ipotetica o normativa, dovendo verificarsi se, supponendo mentalmente realizzata l'azione doverosa omessa, l'evento lesivo sarebbe venuto meno con criterio prossimo alla certezza o comunque di probabilità logica.

In tema si discute di quali siano i poteri che, in concreto, possono essere esercitati dall'amministratore non esecutivo al fine di adempiere all'obbligo in oggetto e la cui omissione possa avere significato eziologico rispetto all'evento, ciò non risultando approfondito dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento. Pur trattandosi di questioni difficilmente valutabili in modo avulso dal caso concreto e dovendosi valorizzare anche i poteri indirettamente impeditivi dell'evento (e non soltanto quelli direttamente impeditivi di esso), detti poteri possono individuarsi nella revoca delle delegHe o nella sostituzione dell'amministratore delegato da parte del consiglio di amministrazione e nel disporre quest'ultimo ispezioni o nell'avocare a sé operazioni rientranti nella delega (art. 2381, comma 3, c.c.); il consigliere potrà poi, anche singolarmente, chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società, attivare la procedura di cui all'art. 2392, comma 3, c.c. (annotazione del dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale) ovvero presentare denuncia all'autorità giudiziaria.

La responsabilità dell'amministratore privo di deleghe per fatto proprio colpevole assume poi contenuti diversi allorché il reato addebitatogli sia punito soltanto a titolo di dolo ovvero anche di colpa; nel primo caso, infatti, pur non richiedendosi la prova di un preventivo accordo col soggetto agente, appare necessario che l'inerzia del consigliere non operativo sia qualificata da una conoscenza dei tratti sufficientemente determinati del reato che ha obbligo di impedire, sì da poter essere apprezzati almeno quali “segnali di allarme”.

Il riferimento a questi ultimi (o anche c.d. red flags) rinvia, com'è noto, all'omonima teoria secondo cui essi sono costituiti da segnali d'allerta cui, ove conosciuti e nel loro complesso, possa attribuirsi, seguendo il procedimento logico delle presunzioni semplici e con accertamento di natura casistica, una capacità rappresentativa del reale altrimenti ignoto.

Tale conoscenza, come ancora una volta ricordato dalla sentenza qui annotata, può derivare da qualsiasi fonte, non essendovi ragioni logiche per sostenere che le uniche informazioni rilevanti siano quelle tratte dall'interno del consiglio di amministrazione o comunque dal solo ambito societario, posto che una circostanza è nota indipendentemente dalle sue modalità di acquisizione ed a tacer del fatto che non è certo infrequente che gli amministratori delegati tentino di celare al meglio ai colleghi non operativi le irregolarità poste in essere nella gestione dell'impresa.

D'altra parte, secondo l'interpretazione prevalente nella giurisprudenza civile di legittimità, nella delimitazione dei confini del più volte citato obbligo di agire informati proprio il fatto che le informazioni conosciute destino allarme dà contenuto agli obblighi di (ulteriormente) informarsi ed eventualmente agire, con le relative conseguenze in caso di inerzia, anche perché, diversamente, si determinerebbe una eccessiva estensione del contenuto di detto obbligo di agire informati sì da giungere a sovrapporlo, nella sostanza, a quello non più vigente di vigilanza sul generale andamento della gestione societaria.

Dunque, la conoscenza di una pluralità di elementi indizianti la sussistenza di un reato può giungere a significare, a carico dell'amministratore non esecutivo che rimanga inerte, l'“accettazione del rischio” dell'evento, ovvero della effettiva verificazione di quel reato, nei termini del dolo eventuale, non dubitandosi che anche l'omissione possa essere naturalisticamente animata da dolo.

L'indagine circa la responsabilità concorsuale in fatti di bancarotta dell'amministratore privo di deleghe deve quindi muovere dalla prova della conoscenza da parte di questi dei menzionati segnali di allarme, senza peraltro dimenticare che:

1)la funzione degli amministratori non operativi altro non è, essenzialmente, che una funzione di controllo, anche nel merito, dell'azione dei delegati;

2)agli amministratori tutti compete anche l'obbligo di conservazione dell'integrità del patrimonio sociale (cfr. art. 2394 c.c.);

3)l'amministratore privo di deleghe nonè certo estraneo alla designazione dei delegati giacché la loro nomina spetta all'intero consiglio di amministrazione;

4) le attribuzioni indicate negli artt. 2420-ter, 2423, 2443, 2446, 2447, 2501-ter e 2506-bis c.c. non possono essere delegate (cfr. art. 2381, comma 4, c.c.).

A fronte di questo quadro normativo e fattuale si comprende come gli amministratori deleganti rivestano una posizione privilegiata onde poter valutare, anche “in corso d'opera”, ed eventualmente censurare l'operato dei colleghi esecutivi, né al loro obbligo di agire informati potendo rimanere estranee le questioni inerenti l'obbligatoria istituzione di unassetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell'art. 2086 c.c. ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative, così come disposto dall'art. 3, comma 2, CCII.

Affinché la responsabilità omissiva dell'amministratore non operativo possa essere affermata oltre ogni ragionevole dubbio è comunque necessario che il profilo volitivo di questi sia ricostruito, in concreto, quanto più attentamente possibile ed in primo luogo tramite il compimento di ogni atto investigativo che consenta di raccogliere il maggior numero di elementi di fatto onde disvelare codesto profilo volitivo tra cui, eventualmente ed a mero titolo di esempio, l'acquisizione, nel caso tramite sequestro di corrispondenza, di tutte le missive di posta elettronica scambiate con gli altri amministratori, i sindaci ed i terzi. E' noto invero come, in caso di reato punibile soltanto a titolo di dolo, l'ignoranza e la negligenza costituiscano argomenti difensivi, per cui è necessario che si superi una ricostruzione del profilo soggettivo dell'omissione che trovi fondamento soltanto, quasi tautologicamente, sulla sola stessa omissione, pena il rischio che davvero il dolo sia confuso con la colpa.

Qualora invece il reato sia punito anche a titolo di colpa, la valutazione del profilo soggettivo dell'omissione assume evidentemente confini più ampi, anche assumendo rilevanza la sola possibilità di conoscenza di elementi di allerta tali da sollecitare l'intervento dell'amministratore delegante poi rimasto inerte, e non a caso la Suprema Corte, nel caso di specie, dichiarava la prescrizione del contestato reato di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto di cui agli artt. 217, comma 1 n. 4) e 224 n. 1) l. fall., il quale è punito anche a titolo di colpa grave, evidentemente non ritenendolo insussistente.

Dalla lettura della sentenza in commento devesi osservare come, in conclusione, residuino soltanto alcune perplessità in relazione al fatto che uno dei reati addebitati al ricorrente era quello di bancarotta societaria da falso in bilancio e, come già osservato al punto 4), l'attribuzione indicata tra le altre nell'art. 2423 c.c., ovvero la redazione del bilancio di esercizio, non può essere delegata.

Nel caso al vaglio ciò non pare essere avvenuto ed invero il reato appena menzionato era contestato all'imputato, quale amministratore non esecutivo, nella forma omissiva ed in effetti anche nei motivi di ricorso si parla di “amministratori con delega nei bilanci”, tra i quali evidentemente non era compreso il ricorrente e dunque rimanendo non ben delineate le ragioni per cui questi fosse rimasto estraneo, in termini di condotta attiva ovvero di azione, alla redazione dei bilanci poi ritenuti falsi.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.