Le conclusioni cui è giunta la Suprema Corte appaiono certamente condivisibili quanto ai principi affermati, riassumendo gli elementi costitutivi della complessa fattispecie del concorso omissivo nei delitti di bancarotta da parte dei membri del consiglio di amministrazione privi di deleghe quali titolari di un obbligo di garanzia rilevante ai sensi dell'art. 40 cpv. c.p. nella specifica forma dell'obbligo di impedimento della commissione del reato altrui.
Non appare revocabile in dubbio che la posizione degli amministratori non operativi sia stata “alleggerita” dalla riforma del diritto societario di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 tramite la sostituzione dell'obbligo di “vigilanza sul generale andamento della gestione”, così come previsto dall'originario art. 2392, comma 2 c.c., con quello dell'agire informati, rimanendo comunque quest'ultimo sufficiente, secondo i principi affermati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità dai quali non si allontana la pronuncia qui annotata, a (continuare a) costituire fondamento normativo della posizione di garanzia in argomento.
La struttura obiettiva del concorso omissivo improprio per “obbligo di impedimento” postula una inerzia del titolare di tale obbligo legata eziologicamente al reato altrui, il quale costituisce l'evento che si deve impedire; in proposito il riferimento è alla causalità c.d. ipotetica o normativa, dovendo verificarsi se, supponendo mentalmente realizzata l'azione doverosa omessa, l'evento lesivo sarebbe venuto meno con criterio prossimo alla certezza o comunque di probabilità logica.
In tema si discute di quali siano i poteri che, in concreto, possono essere esercitati dall'amministratore non esecutivo al fine di adempiere all'obbligo in oggetto e la cui omissione possa avere significato eziologico rispetto all'evento, ciò non risultando approfondito dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento. Pur trattandosi di questioni difficilmente valutabili in modo avulso dal caso concreto e dovendosi valorizzare anche i poteri indirettamente impeditivi dell'evento (e non soltanto quelli direttamente impeditivi di esso), detti poteri possono individuarsi nella revoca delle delegHe o nella sostituzione dell'amministratore delegato da parte del consiglio di amministrazione e nel disporre quest'ultimo ispezioni o nell'avocare a sé operazioni rientranti nella delega (art. 2381, comma 3, c.c.); il consigliere potrà poi, anche singolarmente, chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società, attivare la procedura di cui all'art. 2392, comma 3, c.c. (annotazione del dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale) ovvero presentare denuncia all'autorità giudiziaria.
La responsabilità dell'amministratore privo di deleghe per fatto proprio colpevole assume poi contenuti diversi allorché il reato addebitatogli sia punito soltanto a titolo di dolo ovvero anche di colpa; nel primo caso, infatti, pur non richiedendosi la prova di un preventivo accordo col soggetto agente, appare necessario che l'inerzia del consigliere non operativo sia qualificata da una conoscenza dei tratti sufficientemente determinati del reato che ha obbligo di impedire, sì da poter essere apprezzati almeno quali “segnali di allarme”.
Il riferimento a questi ultimi (o anche c.d. red flags) rinvia, com'è noto, all'omonima teoria secondo cui essi sono costituiti da segnali d'allerta cui, ove conosciuti e nel loro complesso, possa attribuirsi, seguendo il procedimento logico delle presunzioni semplici e con accertamento di natura casistica, una capacità rappresentativa del reale altrimenti ignoto.
Tale conoscenza, come ancora una volta ricordato dalla sentenza qui annotata, può derivare da qualsiasi fonte, non essendovi ragioni logiche per sostenere che le uniche informazioni rilevanti siano quelle tratte dall'interno del consiglio di amministrazione o comunque dal solo ambito societario, posto che una circostanza è nota indipendentemente dalle sue modalità di acquisizione ed a tacer del fatto che non è certo infrequente che gli amministratori delegati tentino di celare al meglio ai colleghi non operativi le irregolarità poste in essere nella gestione dell'impresa.
D'altra parte, secondo l'interpretazione prevalente nella giurisprudenza civile di legittimità, nella delimitazione dei confini del più volte citato obbligo di agire informati proprio il fatto che le informazioni conosciute destino allarme dà contenuto agli obblighi di (ulteriormente) informarsi ed eventualmente agire, con le relative conseguenze in caso di inerzia, anche perché, diversamente, si determinerebbe una eccessiva estensione del contenuto di detto obbligo di agire informati sì da giungere a sovrapporlo, nella sostanza, a quello non più vigente di vigilanza sul generale andamento della gestione societaria.
Dunque, la conoscenza di una pluralità di elementi indizianti la sussistenza di un reato può giungere a significare, a carico dell'amministratore non esecutivo che rimanga inerte, l'“accettazione del rischio” dell'evento, ovvero della effettiva verificazione di quel reato, nei termini del dolo eventuale, non dubitandosi che anche l'omissione possa essere naturalisticamente animata da dolo.
L'indagine circa la responsabilità concorsuale in fatti di bancarotta dell'amministratore privo di deleghe deve quindi muovere dalla prova della conoscenza da parte di questi dei menzionati segnali di allarme, senza peraltro dimenticare che:
1)la funzione degli amministratori non operativi altro non è, essenzialmente, che una funzione di controllo, anche nel merito, dell'azione dei delegati;
2)agli amministratori tutti compete anche l'obbligo di conservazione dell'integrità del patrimonio sociale (cfr. art. 2394 c.c.);
3)l'amministratore privo di deleghe nonè certo estraneo alla designazione dei delegati giacché la loro nomina spetta all'intero consiglio di amministrazione;
4) le attribuzioni indicate negli artt. 2420-ter, 2423, 2443, 2446, 2447, 2501-ter e 2506-bis c.c. non possono essere delegate (cfr. art. 2381, comma 4, c.c.).
A fronte di questo quadro normativo e fattuale si comprende come gli amministratori deleganti rivestano una posizione privilegiata onde poter valutare, anche “in corso d'opera”, ed eventualmente censurare l'operato dei colleghi esecutivi, né al loro obbligo di agire informati potendo rimanere estranee le questioni inerenti l'obbligatoria istituzione di unassetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell'art. 2086 c.c. ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative, così come disposto dall'art. 3, comma 2, CCII.
Affinché la responsabilità omissiva dell'amministratore non operativo possa essere affermata oltre ogni ragionevole dubbio è comunque necessario che il profilo volitivo di questi sia ricostruito, in concreto, quanto più attentamente possibile ed in primo luogo tramite il compimento di ogni atto investigativo che consenta di raccogliere il maggior numero di elementi di fatto onde disvelare codesto profilo volitivo tra cui, eventualmente ed a mero titolo di esempio, l'acquisizione, nel caso tramite sequestro di corrispondenza, di tutte le missive di posta elettronica scambiate con gli altri amministratori, i sindaci ed i terzi. E' noto invero come, in caso di reato punibile soltanto a titolo di dolo, l'ignoranza e la negligenza costituiscano argomenti difensivi, per cui è necessario che si superi una ricostruzione del profilo soggettivo dell'omissione che trovi fondamento soltanto, quasi tautologicamente, sulla sola stessa omissione, pena il rischio che davvero il dolo sia confuso con la colpa.
Qualora invece il reato sia punito anche a titolo di colpa, la valutazione del profilo soggettivo dell'omissione assume evidentemente confini più ampi, anche assumendo rilevanza la sola possibilità di conoscenza di elementi di allerta tali da sollecitare l'intervento dell'amministratore delegante poi rimasto inerte, e non a caso la Suprema Corte, nel caso di specie, dichiarava la prescrizione del contestato reato di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto di cui agli artt. 217, comma 1 n. 4) e 224 n. 1) l. fall., il quale è punito anche a titolo di colpa grave, evidentemente non ritenendolo insussistente.
Dalla lettura della sentenza in commento devesi osservare come, in conclusione, residuino soltanto alcune perplessità in relazione al fatto che uno dei reati addebitati al ricorrente era quello di bancarotta societaria da falso in bilancio e, come già osservato al punto 4), l'attribuzione indicata tra le altre nell'art. 2423 c.c., ovvero la redazione del bilancio di esercizio, non può essere delegata.
Nel caso al vaglio ciò non pare essere avvenuto ed invero il reato appena menzionato era contestato all'imputato, quale amministratore non esecutivo, nella forma omissiva ed in effetti anche nei motivi di ricorso si parla di “amministratori con delega nei bilanci”, tra i quali evidentemente non era compreso il ricorrente e dunque rimanendo non ben delineate le ragioni per cui questi fosse rimasto estraneo, in termini di condotta attiva ovvero di azione, alla redazione dei bilanci poi ritenuti falsi.