La decisione assunta nella ordinanza in commento appare condivisibile, come si accennava poc'anzi.
Conforme al dettato dell'art. 545, ultimo comma, c.p.c., appare il rilievo d'ufficio della violazione dei limiti imposti dall'art. 545 c.p.c., atteso che il menzionato comma prevede chiaramente che la violazione dei divieti e dei limiti imposti da tale norma sia idonea a rendere il pignoramento parzialmente (o, a seconda dei casi, totalmente) inefficace e che tale “inefficacia è rilevata dal giudice anche d'ufficio”.
Può essere utile, poi, soffermarsi ancora brevemente sui passaggi fondamentali che caratterizzano la decisione in commento in punto di mutamento dei limiti di pignorabilità della pensione.
Con l'art. 21-bis del d.l. n. 115/2022, disposizione introdotta in sede di conversione del decreto stesso, avvenuta ad opera della l. n. 142/2022, è stata prevista la sostituzione del comma settimo dell'art. 545 c.p.c. con la seguente formulazione: “le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge”.
Evidente, già ad una prima lettura, il favor per il debitore pensionato espresso nella novella legislativa: mentre la previgente formulazione del settimo comma dell'art. 545 c.p.c. rendeva immune dal pignoramento della pensione un importo corrispondente alla “misura massima dell'assegno sociale, aumentato della metà”, la nuova previsione rende immune dal pignoramento un importo corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale e, in ogni caso, un importo non inferiore ad € 1.000,00.
Ne deriva che, d'un colpo, la parte dell'assegno pensionistico mensile sottratto al pignoramento è passata da un importo di circa € 702,00 mensili, ad un importo di € 1.000,00 (ovvero al diverso e maggiore importo pari al doppio della misura massima dell'assegno sociale: a riguardo, deve segnalarsi l'aumento da ultimo intervenuto, a decorrere dal 1°.1.2023, della misura massima dell'assegno sociale, portando lo stesso ad un importo di € 503,27, con l'effetto che a decorrere dal 1° gennaio la soglia di impignorabilità della pensione è divenuta leggermente superiore all'importo di € 1.000,00): ciò vuol dire che, sulla base della nuova previsione normativa, un assegno pensionistico di importo inferiore ad € 1.000,00 (ovvero al maggiore importo pari al doppio della misura massima dell'assegno sociale) deve ritenersi del tutto immune dal pignoramento e che un assegno superiore a tale importo deve ritenersi sottratto a pignoramento quanto alla predetta soglia e, per l'eccedenza, suscettibile di pignoramento nei limiti previsti dai commi terzo, quarto e quinto dell'art. 545 c.p.c.
Nient'affatto irrilevante, quindi, domandarsi se una tale diversa soglia di impignorabilità della pensione debba trovare applicazione solo con riguardo alle procedure avviate successivamente alla entrata in vigore della novellata disposizione, ovvero anche a tutte le procedure ancora pendenti al momento di tale entrata in vigore.
La risposta a tale quesito non è invero del tutto agevole.
Stando all'art. 10, comma 1, delle preleggi, “le leggi e i regolamenti divengono obbligatori nel decimoquinto giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto”.
Entrata in vigore della legge, poi, non vuol dire necessariamente inizio della decorrenza degli effetti della stessa.
A riguardo, di regola trova applicazione il principio di ultrattività della legge, in conformità all'art. 11 delle citate preleggi, stando al quale “la legge non ha effetto che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.
Si tratta, tuttavia, di una disposizione che, in ambito civilistico, è fissata da una norma di legge ordinaria, con l'effetto che non è affatto escluso che una legge possa disporre anche per il passato (per una riflessione sempre attuale in tema di efficacia della legge nel tempo, si veda F. Gazzoni, “Manuale di Diritto Privato”, Napoli, 2004, pagg. 43 e ss.).
Nel caso di specie, tuttavia, la l. n. 142/2022, con la quale è stato introdotto, in sede di conversione, l'art. 21-bis del d.l. n. 115/2022, non reca alcuna specifica previsione con riguardo alla decorrenza degli effetti di tale norma, rimanendo allora non chiaro se la stessa possa trovare applicazione con riguardo alle procedure esecutive già pendenti alla data della sua entrata in vigore.
Ecco allora che le disposizioni generali in tema di efficacia della legge nel tempo non sembrano soccorrere per dare risposta al problema in questione.
Neppure la particolare declinazione del principio tempus regit actum alla materia processuale (si veda, per un interessante disamina dei diversi aspetti di tale principio Gina Gioia e Guido D'Ippolito, “Tempus Regit Actum”, in Ilprocessocivile), pur richiamato nella ordinanza in commento, sembra fornire una risposta univoca alla questione in esame, sol che si ponga mente al fatto che le disposizioni dettate in tema di impignorabilità dei beni e dei crediti, pur inserite nel codice di procedura civile, sfuggono ad un puro e semplice inquadramento nell'ambito delle norme processuali.
Soccorre, al fine di dare risposta al quesito in questione, una interpretazione costituzionalmente orientata in merito alla individuazione della decorrenza degli effetti della novella legislativa, che privilegia la necessità di evitare una “ingiustificata disparità di trattamento fra i debitori, fondata esclusivamente sulla data di notifica del pignoramento” (si veda ancora l'ordinanza in commento).
Una interpretazione, peraltro, avvalorata da una pronuncia resa dalla Corte Costituzionale con riguardo ad una fattispecie nella sostanza assimilabile a quella in esame (si trattava, in quel caso, di stabilire la costituzionalità di una disposizione transitoria che aveva previsto l'applicazione di una novella normativa - dettata in tema limiti di pignorabilità dei conti correnti sui quali confluivano emolumenti a titolo di pensione - soltanto alle procedure esecutive introdotte successivamente alla data di entrata in vigore), tale da indurre la Corte (nella sentenza n. 12/2019 depositata il 31 gennaio 2019) ad affermare che “il diverso regime temporale previsto per le procedure pendenti alla data di entrata in vigore (…), benché sia ispirato all'esigenza di salvaguardare l'affidamento nella certezza giuridica di chi ha avviato il pignoramento nella piena vigenza della disciplina antecedente che lo consentiva, non supera il vaglio di costituzionalità”, ravvisando la necessità di far prevalere “nel bilanciamento tra valori costituzionalmente protetti, la tutela del pensionato”.
Certo, anche alla luce di una tale interpretazione costituzionalmente orientata, che impone l'applicazione della novella normativa anche alle procedure esecutive pendenti alla data della sua entrata in vigore, si potrebbe opinare in merito alla possibilità di ritenere correttamente pignorate le somme trattenute dall'ente previdenziale fino alla data di entrata in vigore della novellata disposizione (ritenendo così che le pensioni di importo inferiore ad € 1.000,00, ma superiori all'importo mensile di € 702,00, restino suscettibili di pignoramento, nella misura di un quinto, quanto meno con riguardo alle somme accantonate dal terzo pignorato fino alla data di entrata in vigore del nuovo settimo comma dell'art. 545 c.p.c.), ma si tratterebbe, in fondo, di una interpretazione non in linea con quel favor per la tutela del pensionato, che sembra essere stata privilegiata dal giudice delle leggi nella sentenza richiamata nella ordinanza in commento.
A ben vedere, infatti, anche nel caso esaminato nella sentenza n. 12/2019 della Corte Costituzionale venivano in rilievo somme, giacenti su conto corrente, che erano state pignorate allorché non sussisteva alcun limite normativo al loro prelievo coattivo ma che, per effetto della nuova disposizione introdotta mediante il d.l. n. 83/2015, dovevano ritenersi parzialmente sottratte all'esecuzione.
Ecco, in conclusione, che appare condivisibile la conclusione alla quale giunge il giudice dell'esecuzione del Tribunale di Catania nella ordinanza in commento.