Appalto certificato: la certificazione effettuata da un ente bilaterale privo dei requisiti di rappresentatività rientra tra i vizi di procedimento?

17 Gennaio 2023

Le società ricorrenti richiedono l'annullamento della ordinanza ingiunzione emessa dall'Ispettorato Territoriale del Lavoro, senza tener conto della avvenuta certificazione del contratto di appalto oggetto del provvedimento sanzionatorio. Invero, qualora un contratto sia stato certificato dinanzi ad un soggetto non legittimato, come verificatosi nel caso di specie, non è chiaro in giurisprudenza se le preclusioni previste dall'art. 80, D.lgs. n. 276/2003 trovino applicazione.
Il caso

La Società Alfa, in qualità di trasgressore, e la Società Beta, nella veste di soggetto coobbligato, venivano sanzionate dall'Ispettorato del Lavoro in quanto ritenuti responsabili degli illeciti previsti dall'art. 39, D.l. n. 112/2008 (infedeli registrazioni LUL) e dall'art. 29, D.lgs. n. 276/03 (interposizione illecita) con riferimento ad un contratto di appalto, per le quali Alfa e Beta avevano ottenuto la certificazione ex artt. 75- 80, D.lgs. n. 276/2003.

L'Ispettorato rilevava altresì che la commissione dinanzi alla quale il contratto di appalto era stato certificato, oltre a non avere una sede adeguata perché priva di energia elettrica, difettava del requisito previsto dall'art. 2 lettera h) D.lgs. n. 276/2003, non essendo composta da organizzazioni datoriali e sindacali aventi il requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi.

Avverso la suddetta ordinanza ingiunzione, Alfa e Beta proponevano opposizione ai sensi dell'art. 6, D.lgs. n. 150/2011, eccependo preliminarmente la competenza del Giudice del Lavoro e sostenendo che eventuali censure dovevano essere presentate dinanzi al TAR previo esperimento del tentativo di conciliazione in conformità con quanto previsto dall'art. 80, D.lgs. n. 276/2003. Nulla veniva dedotto dalle ricorrenti sulla asserita illegittimità della commissione di certificazione.

L'opposizione veniva rigettata in primo grado e pertanto Alfa e Beta presentavano ricorso dinanzi la Corte d'Appello dell'Aquila.

La questione

La certificazione effettuata da un ente bilaterale privo dei requisiti di rappresentatività ex art. 2, D.lgs. n. 276/2003 rientra tra i vizi di procedimento da denunciare dinanzi al TAR o rende invece inapplicabili le preclusioni previste dall'art. 80, D.lgs. n. 276/2003?

Le soluzioni giuridiche

Preliminarmente occorre brevemente riassumere i punti cardine della cornice normativa della certificazione dei contratti prevista dagli artt. 75-80, D.lgs. n. 276/2003, introdotta proprio al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro.

La certificazione deve essere effettuata dinanzi agli enti individuati dall'art. 76, D.lgs. n. 276/2003 tra i quali figurano anche gli enti bilaterali, definiti ai sensi dell'art. 2, lett. h), D.lgs. n. 276/2003, “… organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative …”.

Nei confronti dell'atto di certificazione, le parti e i terzi - previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione - possono proporre ricorso:

- presso l'autorità giudiziaria ex art. 413 c.p.c. per erronea qualificazione del contratto, difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione o per vizi del consenso; nonché

- presso il TAR, per vizi del consenso, per violazione del procedimento o per eccesso di potere.

Nel caso in cui il contratto sia stato certificato dinanzi ad un ente bilaterale privo dei requisiti previsti ex lege, non essendovi una normativa ad hoc, non vi è uniformità di vedute.

Un primo orientamento nella giurisprudenza di merito (Trib. Trento, 10 settembre 2020, n. 128) ritiene condivisibile la posizione espressa dall'Ispettorato del Lavoro con Circolare n. 4 del 12 febbraio 2018. L'INL ha precisato che qualora l'atto sia stato certificato da un ente privo del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi, la certificazione risulta invalida ed inefficace e “il personale ispettivo potrà quindi operare, nei confronti dei provvedimenti certificati da tali pseudo Enti, senza tenere minimamente conto delle preclusioni tipiche dell'atto certificativo, adottando anche ogni eventuale provvedimento di carattere sanzionatorio”.

Diversamente, per un secondo orientamento (Trib. Chieti, 17 marzo 2021, n. 81), al quale ha aderito la sentenza in commento, i vizi di costituzione della commissione di certificazione rientrano tra “i vizi di procedimento” che ai sensi dell'art. 80, comma 5, D.lgs. n. 276/2003 devono essere presentati dinanzi al TAR. In particolare, per la Corte di Appello dell'Aquila la posizione dell'INL non è né vincolante ai fini della interpretazione della norma né condivisibile in quanto un regime giuridico diverso in caso di ente privo dei requisiti di rappresentatività non sarebbe conforme alla ratio dell'istituto della certificazione, la cui finalità è quella di “prevenire, mediante un controllo a monte operato da un organismo rappresentativo ed in quanto tale qualificato, l'insorgenza di possibili controversie sull'esecuzione di alcune tipologie negoziali tra cui l'appalto”.

Osservazioni

La Corte di Appello dell'Aquila analizza la controversa questione “in logica ancor prima che in diritto”, interpretando la normativa alla luce della finalità deflattiva della certificazione, che dovrebbe peraltro dare certezza alle parti sulla genuinità del rapporto instaurato.

In tale ottica, sembrerebbe ragionevole includere la certificazione effettuata da commissioni prive dei requisiti di rappresentatività nei vizi di procedimento ex art. 80, Dlgs. n. 276/2003, comma 5, anche in virtù della tipizzazione da parte del Legislatore dei rimedi esperibili nei confronti della certificazione.

Tuttavia, aderendo al suddetto orientamento, e potendo dunque considerarsi valida la certificazione di un contratto effettuata da un soggetto non legittimato, va evidenziato il potenziale rischio di un utilizzo scorretto della certificazione al mero fine di limitare l'attività ispettiva.

È auspicabile, pertanto, il consolidamento di un orientamento maggioritario sulla questione che possa definitivamente indirizzare l'operato degli enti ispettivi.

Ulteriore annosa questione, non affrontata nella sentenza in commento ma rilevante laddove sorgano contestazioni in merito al difetto di rappresentatività della commissione di certificazione, riguarda l'accertamento della rappresentatività delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro privati.

In merito, sebbene siano stati fatti notevoli passi avanti con il T.U. sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014 e, cinque anni dopo, con la Convenzione per la misurazione della rappresentanza sindacale del 19 settembre 2019, si rende ancora necessario “un modello di certificazione della rappresentanza datoriale” (cfr. Accordo interconfederale del 9 marzo 2018).

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