Preliminarmente occorre brevemente riassumere i punti cardine della cornice normativa della certificazione dei contratti prevista dagli artt. 75-80, D.lgs. n. 276/2003, introdotta proprio al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro.
La certificazione deve essere effettuata dinanzi agli enti individuati dall'art. 76, D.lgs. n. 276/2003 tra i quali figurano anche gli enti bilaterali, definiti ai sensi dell'art. 2, lett. h), D.lgs. n. 276/2003, “… organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative …”.
Nei confronti dell'atto di certificazione, le parti e i terzi - previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione - possono proporre ricorso:
- presso l'autorità giudiziaria ex art. 413 c.p.c. per erronea qualificazione del contratto, difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione o per vizi del consenso; nonché
- presso il TAR, per vizi del consenso, per violazione del procedimento o per eccesso di potere.
Nel caso in cui il contratto sia stato certificato dinanzi ad un ente bilaterale privo dei requisiti previsti ex lege, non essendovi una normativa ad hoc, non vi è uniformità di vedute.
Un primo orientamento nella giurisprudenza di merito (Trib. Trento, 10 settembre 2020, n. 128) ritiene condivisibile la posizione espressa dall'Ispettorato del Lavoro con Circolare n. 4 del 12 febbraio 2018. L'INL ha precisato che qualora l'atto sia stato certificato da un ente privo del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi, la certificazione risulta invalida ed inefficace e “il personale ispettivo potrà quindi operare, nei confronti dei provvedimenti certificati da tali pseudo Enti, senza tenere minimamente conto delle preclusioni tipiche dell'atto certificativo, adottando anche ogni eventuale provvedimento di carattere sanzionatorio”.
Diversamente, per un secondo orientamento (Trib. Chieti, 17 marzo 2021, n. 81), al quale ha aderito la sentenza in commento, i vizi di costituzione della commissione di certificazione rientrano tra “i vizi di procedimento” che ai sensi dell'art. 80, comma 5, D.lgs. n. 276/2003 devono essere presentati dinanzi al TAR. In particolare, per la Corte di Appello dell'Aquila la posizione dell'INL non è né vincolante ai fini della interpretazione della norma né condivisibile in quanto un regime giuridico diverso in caso di ente privo dei requisiti di rappresentatività non sarebbe conforme alla ratio dell'istituto della certificazione, la cui finalità è quella di “prevenire, mediante un controllo a monte operato da un organismo rappresentativo ed in quanto tale qualificato, l'insorgenza di possibili controversie sull'esecuzione di alcune tipologie negoziali tra cui l'appalto”.