Assenza per malattia: ostacolo all'accesso del medico fiscale è equiparabile al mancato rispetto della reperibilità

Alessandro Tonelli
Giulia Passaquindici
19 Gennaio 2023

La condotta, tenuta dal lavoratore internamente alle pareti domestiche, che ostacoli l'accesso al medico fiscale è equiparabile al mancato rispetto delle fasce di reperibilità e non basta a legittimare l'intervento disciplinare se non previo accertamento di una contestuale violazione degli obblighi scaturenti dal rapporto di lavoro.
Le massime

“Non tutte le condotte che rilevano nei rapporti con l'istituto previdenziale e che possono determinare decadenza dal beneficio economico dell'indennità di malattia comportano anche una responsabilità disciplinare, perché per quest'ultima è necessario accertare il rispetto delle condizioni richieste sul piano sostanziale dall'art. 2106 c.c. e sul piano formale dall'art. 7 L. 300/1970”.

“L'obbligo di cooperazione che grava sul lavoratore in malattia, pur rilevando anche sul piano contrattuale del rapporto di lavoro, non può essere esteso fino a ricomprendere il divieto per il lavoratore medesimo di astenersi dal compiere qualsiasi atto del vivere quotidiano, normalmente compiuto all'interno delle pareti domestiche”.

Il caso

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità delle decisioni assunte dal Tribunale e dalla Corte d'Appello di Milano che avevano annullato la sanzione disciplinare applicata a un lavoratore che, assente per malattia, aveva impedito l'accesso all'abitazione al medico fiscale durante le fasce di reperibilità per non aver sentito suonare il campanello di casa in quanto impegnato a farsi la doccia.

La questione

La questione giuridica considerata riguarda il rilievo disciplinare dell'assenza del lavoratore in malattia durante le fasce di reperibilità.

La soluzione giuridica

Premesso che la procedura di cui all'art. 5 L. 638/1983 attiene al rapporto assicurativo e non costituisce esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro, la Suprema Corte ha precisato che alla sanzione amministrativa discendente dalla violazione di detta procedura, cioè la decadenza dal trattamento economico della malattia, può aggiungersi anche un'ulteriore misura di carattere punitivo, espressione del potere disciplinare del datore di lavoro.

Condizione, però, per l'applicazione anche di un provvedimento disciplinare è che la condotta tenuta dal lavoratore durante la malattia integri la violazione di obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, con la conseguenza che non tutte le condotte che rilevano nei rapporti con l'ente previdenziale comportano anche una responsabilità disciplinare.

Questa, infatti, presuppone la verifica del rispetto delle condizioni richieste sul piano sostanziale dall'art. 2106 c.c. (diligenza nell'esecuzione della prestazione e obbligo di fedeltà) e sul piano formale dall'art. 7 L. 300/1970 (rispetto del procedimento disciplinare).

Muovendo da tali considerazioni di carattere sistematico, la Corte ha osservato nel caso di specie che l'assenza alla visita domiciliare di controllo, peraltro sanzionata dal CCNL applicato, non coincide con il tenere una condotta all'interno delle mura domestiche che si traduca in ostacolo all'accesso del medico fiscale.

Quest'ultima può, invece, essere equiparata al mancato rispetto delle fasce di reperibilità nei rapporti con l'istituto previdenziale e non può rilevare anche ai fini disciplinari se non previa verifica in concreto della violazione di obblighi scaturenti dal rapporto di lavoro.

La Suprema Corte ha, dunque, ritenuto corretta la valutazione di merito che aveva esaminato tutte le circostanze del caso concreto, aveva ritenuto provata la presenza del lavoratore nelle mura domestiche e aveva dato rilievo, in particolare, all'immediata attivazione da parte del dipendente avvedutosi dell'accaduto al fine di escludere la rilevanza disciplinare della condotta.

Il lavoratore, infatti, aveva prontamente manifestato la propria disponibilità a consentire l'accertamento medico e aveva anche inviato tempestiva comunicazione dell'accaduto agli organi preposti.

In conclusione, la Corte ha sancito il principio per cui l'obbligo di cooperazione che grava sul lavoratore in malattia, pur rilevando anche sul piano contrattuale del rapporto di lavoro, non può essere esteso fino a ricomprendere il divieto per il lavoratore medesimo di astenersi dal compiere qualsiasi atto del vivere quotidiano, normalmente compiuto all'interno delle pareti domestiche.

Osservazioni

Con riguardo al rilievo disciplinare dell'assenza presso il domicilio del lavoratore in malattia durante le fasce di reperibilità, l'orientamento della giurisprudenza non è univoco.

Una parte di essa, infatti, ritiene rilevante di per sé l'assenza ingiustificata durante la reperibilità, dando rilievo all'interesse del datore di lavoro a ricevere la prestazione e dunque a controllare l'effettiva sussistenza della causa impeditiva.

“La permanenza presso il proprio domicilio durante le fasce orarie previste per le visite mediche domiciliari di controllo costituisce, non già un onere, bensì un obbligo per il lavoratore ammalato, in quanto l'assenza, rendendo di fatto impossibile il controllo in ordine alla sussistenza della malattia integra un inadempimento, sia nei confronti dell'istituto previdenziale, sia nei confronti del datore di lavoro” (Cass. n. 64/2017; in senso conforme, Tribunale di Modena n. 469/2021).

Altra parte della giurisprudenza ritiene, invece, che detta irreperibilità comporti “esclusivamente, ai sensi dell'art. 5, comma 12, d.l. 463/83, la decadenza dal trattamento economico di malattia in mancanza di altri elementi idonei a configurare un'assenza ingiustificata dal lavoro” (Tribunale di Bergamo del 7 aprile 2011).

In quest'ultima prospettiva si pone anche la pronuncia in commento che, anzi, si dimostra particolarmente garantista nei confronti del lavoratore irreperibile, tanto da affermare che “l'obbligo di cooperazione non può essere esteso fino a ricomprendere il divieto per il lavoratore medesimo di astenersi dal compiere qualsiasi atto del vivere quotidiano, normalmente compiuto all'interno delle mura domestiche” e tanto da escludere che la condotta, pur ostativa del controllo ma svolta tra le mura domestiche, possa essere equiparata ad assenza.

Con riferimento, invece, al profilo probatorio, seppur in sede di legittimità sia preclusa la diversa valutazione delle risultanze istruttorie, il caso in esame pone evidenti criticità con riguardo all'assolvimento dell'onere della prova, gravante sul lavoratore, della sua presenza presso il domicilio nelle fasce di reperibilità e, in particolare, al momento del tentativo di accesso da parte del medico fiscale.

È opportuno, infine, evidenziare che nei casi in cui la giurisprudenza ha riconosciuto il rilievo disciplinare dell'irreperibilità, ha anche ammesso il recesso datoriale (ex multis, Cass. n. 24681/2016).

L'eventuale adozione della sanzione espulsiva, infatti, “non presuppone necessariamente l'esistenza di una specifica previsione di tale mancanza nel codice disciplinare applicabile, atteso che la predisposizione di una normativa secondaria è richiesta solo per l'esercizio del potere disciplinare con l'adozione di misure conservative, mentre il potere di recedere dal rapporto per giusta causa o giustificato motivo deriva direttamente dalla legge” (Cass. n. 3915/1996).

Il recesso, tuttavia, deve essere sempre valutato tenendo conto del principio di proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto al comportamento complessivamente tenuto dal lavoratore.

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