Nel caso in esame, i Giudici sono stati chiamati a stabilire se il debito di restituzione di una somma finanziata fosse, o meno, inerente all'esercizio dell'azienda e, dunque, ammissibile al passivo fallimentare.
Ad avviso della società finanziaria, il rapporto sorto in virtù del contratto di mutuo doveva ritenersi trasferito alla cessionaria in applicazione dell'art. 2558 c.c., il quale stabilisce il subentro di questa nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda (non impedendo l'applicazione della norma il fatto che una parte abbia già eseguito la prestazione), o dell'art. 2560 comma 2 c.c., a mente del quale nel trasferimento di un'azienda commerciale risponde dei debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta anteriori al trasferimento anche l'acquirente. Secondo il ricorrente, avrebbe dovuto rispondere anche l'acquirente (poi fallito), poiché il mutuo rappresentava un debito dell'azienda ceduta (consolidatosi quale cespite aziendale). Pertanto, il creditore avrebbe dovuto essere ammesso al passivo del fallimento dell'acquirente.
Con la pronuncia in commento la Cassazione, confermando la decisione del giudice di merito, ha rigettato il ricorso sulla base delle seguenti argomentazioni.
In primo luogo, l'art. 2558 c.c. prevede la successione ex lege nei contratti d'azienda e nei contratti d'impresa: i primi aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all'imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento dell'attività imprenditoriale; i secondi, che, pur non avendo ad oggetto beni aziendali, comunque attengono all'organizzazione dell'impresa (come nei casi, in via esemplificativa, dei contratti di somministrazione, dei contratti di assicurazione e di quelli di appalto).
In secondo luogo, l'art. 2560 c.c. disciplina la successione nei debiti relativi all'esercizio dell'azienda ceduta.
Tali disposizioni, in sostanza, riguardano l'esercizio dinamico dell'impresa. Le norme in questione, ad avviso della Corte, non possono trovare applicazione nel caso di specie, in quanto il contratto di mutuo non può ritenersi inerente all'esercizio dell'azienda, giacché volto all'acquisizione di essa, e perciò si configura come atto di organizzazione. Quest'ultimo, secondo autorevole dottrina, va distinto dall'atto dell'organizzazione, al fine di scongiurare l'indiscriminata assimilazione dell'attività organizzativa a quella di produzione organizzata.
Sul punto è importante richiamare Cass. n. 15769/2004, secondo la quale gli atti preparatori possono segnare l'effettivo esercizio dell'attività d'impresa in mancanza di apparato aziendale, purché permettano di individuare l'oggetto dell'attività e il suo carattere commerciale.
Ad avviso della Corte, tale distinzione risalta in modo evidente nel caso di specie, dato che è relativa a un imprenditore individuale, il quale ha acquisito tale qualifica solo in conseguenza dell'esercizio effettivo dell'attività (Cass. n. 23157/2018; Cass. n. 6968/2019), anche al di là dalla mera titolarità del compendio aziendale e del numero di partita IVA.
Infatti, la titolarità statica dell'azienda si distingue dall'esercizio dinamico dell'impresa, al punto che, al cospetto di una pluralità di contitolari dell'azienda, non si esclude la possibilità che solo uno di essi assuma l'effettiva gestione dell'attività commerciale e la correlativa veste imprenditoriale, mentre un altro ne resti estraneo e si limiti a conservare il diritto dominicale spettategli pro quota sui beni aziendali (Cass. n. 4986/1997).
In sostanza, gli obblighi che si trasferiscono in capo all'acquirente sono quelli che il cedente si è assunto nella accezione dinamica di imprenditore (e non statica, com'è successo nel caso di specie).