Il ne bis in idem e il reato di dichiarazione fraudolenta della società

Fabio Gallio
20 Gennaio 2023

Il d.lgs. n. 231/2001, dopo l'inserimento dei reati tributari tra i reati presupposto, non prevede disposizioni di coordinamento con la disciplina sanzionatoria amministrativo-tributaria, lasciando così aperta, per la persona giuridica, la possibilità di un doppio binario sanzionatorio: una recente pronuncia della Procura di Milano, intervenuta sul punto, ha fatto applicazione del principio generale del ne bis in idem.
Introduzione

Con l'inserimento dei reati tributari nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità degli enti ex d. lgs. n. 231/2001, anche la società è chiamata a rispondere penalmente se tali reati sono stati commessi “nel suo interesse o a suo vantaggio” da soggetti apicali o ad essi sottoposti.

Il legislatore ha, quindi, introdotto, per la persona giuridica, un doppio binario sanzionatorio, poiché, alla sanzione penale prevista dal d. lgs. n. 231/2001, si affianca quella prescritta in sede tributaria. Senza tener conto della ulteriore pena irrogata nei confronti della persona fisica che ha commesso il reato.

Ciò, evidentemente, rischia di condurre ad una palese violazione del principio del ne bis in idem, soprattuttose si considera che anche le sanzioni amministrative tributarie assumono una natura sostanzialmente penale, attesa la loro afflittività, come è stato riconosciuto già dalla nota sentenza della Corte EDU, Grande Camera, dell'8 giugno 1976, nella causa Engel e altri c. Paesi Bassi (con la sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi, la Corte EDU ha individuato tre criteri attraverso i quali poter determinare quali misure hanno natura sostanzialmente penale, ovvero: 1. la qualificazione giuridica interna, secondo la quale occorre anzitutto sapere se le previsioni che definiscono l'illecito in questione appartengono, secondo il sistema legale dello Stato resistente, alla sfera del diritto penale, disciplinare o di entrambi; 2. la natura dell'illecito e la funzione del conseguente provvedimento previsto, che deve essere applicabile in modo generale e avere scopo preventivo e repressivo; 3. la gravità della sanzione, che non deve necessariamente essere privativa della libertà personale).

La giurisprudenza, pertanto, nel silenzio del legislatore, che non ha inserito nel sistema del “decreto 231” una previsione finalizzata ad evitare tale cumulo sanzionatorio, è intervenuta in più occasioni allo scopo di fornire una risposta costituzionalmente orientata, anche nel rispetto della garanzia europea del ne bis in idem.

Il ne bis in idem nelle pronunce della giurisprudenza

In tale filone si inserisce il decreto depositato l'11 novembre 2022, con il quale la Procura di Milano ha disposto l'archiviazione del procedimento penale iscritto nei confronti di una nota società operante nel settore della logistica, cui era stato contestato, ai sensi del d. lgs. n. 231/2001, il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 25-quinquiesdecies d. lgs. n. 231/2001, in relazione all'art. 2 del d. lgs. n. 74/2000), commesso – secondo l'ipotesi accusatoria – allo scopo di simulare contratti di appalto in luogo di somministrazione di manodopera.

La Pubblica Accusa, in particolare, ha ritenuto che la prosecuzione del procedimento penale, a seguito della definizione, mediante la procedura del ravvedimento operoso, del parallelo procedimento tributario, avrebbe comportato un cumulo di sanzioni, lesivo del principio di proporzionalità.

La società, infatti, aveva già versato all'Erario, a titolo di imposta, nonché di sanzioni ed interessi, una somma considerevole, pari a circa 10 milioni di euro, che, da sola, è risultata, per l'Ufficio di Procura, proporzionata, dissuasiva ed effettiva rispetto allo scopo di tutela perseguito dal legislatore mediante la percezione dei tributi. Inoltre, come valorizzato nel decreto di archiviazione, la società aveva posto in essere plurime condotte riparatorie, tra le quali la stabilizzazione di ben 1.200 lavoratori, che in precedenza avevano svolto la loro mansione come prestatori d'opera alle dipendenze di plurime società appaltatrici, nonché l'implementazione del modello organizzativo, provvedendo a predisporre nuove procedure operative funzionali ad assicurare, per il futuro, il puntuale monitoraggio degli adempimenti fiscali, sì da ridurre il rischio di commissione di ulteriori illeciti tributari.

Nel giungere a tale conclusione, la Procura ha riconosciuto la sussistenza di tutti i presupposti alla base del principio del ne bis in idem.

Segnatamente, con riferimento all'idem factum, è stata riconosciuta perfetta identità e sovrapposizione tra i fatti di frode contestati ai sensi del d. lgs. n. 231/2001 e l'illecito amministrativo contestato dall'Agenzia delle Entrate, posto che, come ribadito dalla giurisprudenza europea e da quella nazionale, la medesimezza del fatto si apprezza alla luce delle circostanze fattuali concrete, indissolubilmente legate nel tempo e nello spazio, a nulla rilevando la diversa qualificazione giuridica (si vedano: Corte EDU, Grande Camera Zolotoukhme c. Russia del 10.02.2009; Cass., SS.UU., n. 34655 del 28.6.2005; Corte Cost. n. 200 del 31.05.2016).

Quanto, poi, all'elemento soggettivo, se ai fini dell'illecito punito ai sensi del d. lgs. n. 231/2001 si richiede la c.d. colpa di organizzazione, anche per la configurabilità dell'illecito amministrativo si richiede quantomeno il coefficiente psicologico della colpa (l'art. 5 d. lgs. n. 472/1997 così recita: “nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”).

Quanto al profilo sanzionatorio, le sanzioni tributarie applicate dall'Agenzia delle Entrate devono ritenersi, ad avviso della Procura, “sostanzialmente penali” alla luce dei criteri fissati dalla sentenza della Corte EDU, Grande Camera, Engel e altri c. Paesi Bassi. Da un lato, invero, lo stesso legislatore italiano, intervenendo nel 1997 sul sistema sanzionatorio tributario, ha inteso estendere alle sanzioni amministrative alcuni principi propri del diritto penale, ovvero quelli di legalità e di personalità della sanzione, nonché l'istituto della continuazione. Dall'altro, la stessa Corte EDU ha sancito, in più occasioni, la natura penale delle sovrattasse (si veda, in particolare, la sentenza della Corte EDU, Johannesson e a. c. Islanda, ric. n. 2207/11 del 2017, nella quale viene considerata sostanzialmente penale la sanzione tributaria che ammonta al 25% dell'imposta evasa). Sul versante interno, a tale conclusione è giunta anche la Corte di Cassazione, che ha sottolineato, anche di recente, le componenti dissuasive ed afflittive della sanzione tributaria, non essendo la stessa finalizzata al mero risarcimento/indennizzo del danno cagionato dal contribuente (Cass. Pen., n. 2245/2022. Ad avviso della Procura, in astratto, per i fatti di dichiarazione fraudolenta le sanzioni comminate dall'art. 1 d. lgs. n. 471/1997 vanno dal 135 al 270% dell'imposta evasa, e, in concreto, la sanzione amministrativa applicata e versata dalla società, seppur ridotta per la scelta della modalità definitoria del ravvedimento operoso, si attesta comunque al di sopra della misura del 30% dell'imposta evasa).

Anche il requisito della “stretta connessione temporale e materiale” tra i due procedimenti è stato preso in esame dalla Procura, in accordo con quanto previsto dalla sentenza A & B c. Norvegia, con cui i giudici di Strasburgo hanno sancito che non vi è violazione del principio del ne bis in idem se i due procedimenti sono connessi dal punto di vista sostanziale e cronologico (criterio della “sufficiently close connection in substance and time”): si veda Corte EDU, Grande Camera, A e B, c. Norvegia, 15 novembre 2016. Secondo la Corte, al fine di valutare la sussistenza di una“sufficient connection”, il doppio binario deve essere sottoposto ad una sorta di “stress test” per verificare che: a) il cumulo sia prevedibile; b) i due procedimenti abbiano scopi differenti; c) vengano condotti in modo da evitare, per quanto possibile, ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova, in modo che l'accertamento dei fatti effettuato in un procedimento sia utilizzato anche nell'altro; d) siano avvinti anche da una connessione cronologica tale da non sottoporre il soggetto a processo per un lasso di tempo indeterminato; e) la sanzione irrogata all'esito del procedimento concluso per primo sia presa in considerazione anche nell'altro procedimento, in guisa da poter assicurare la proporzionalità della pena complessivamente irrogata.

Esclusa la sussistenza della close connection, la Procura ha sottolineato che la prosecuzione del procedimento penale porterebbe ad una evidente lesione del principio di proporzionalità: il legislatore, invero, nell'introdurre, tra i reati presupposto della responsabilità amministrativa da reato degli enti, i reati fiscali, non ha previsto “un meccanismo compensatorio che consenta di tener conto, nel procedimento svolto per ultimo, della sanzione già irrogata e divenuta definitiva nell'ambito del primo”. Come si legge nel decreto in commento “Tale lacuna rischia di produrre tanto più effetti irragionevoli, se si considera che le sanzioni previste dal decreto 231 sono, ancorché sostanzialmente penali (cfr. Cass. SS.UU. sent. n. 52511/2016), formalmente amministrative al pari di quelle previste dal d. lgs. n. 471/1997”. Peraltro, nel giudizio di proporzionalità il giudice deve tener conto di eventuali condotte riparatorie che abbiano ridotto, se non annullato, il danno arrecato, potendo in tal caso attenuare la risposta punitiva che normalmente sarebbe stata inflitta dall'ordinamento con la medesima tipologia di reati.

Le problematiche applicative del decreto 231 e il doppio binario sanzionatorio

Con il decreto in commento la Procura di Milano ha cercato di porre rimedio alle lacune del “decreto 231”, che, come detto, non prevede disposizioni di coordinamento con la disciplina sanzionatoria amministrativo-tributaria, in tal modo aprendo la strada, per la persona giuridica, ad un duplice binario sanzionatorio.

Ed invero, l'art. 19, comma 2, del d. lgs. 74/2000, in deroga al principio di specialità posto dal comma 1, afferma che “permane in ogni caso la responsabilità per la sanzione amministrativa dei soggetti indicati nell'art. 11, comma 1, d.lgs. n. 472/1997, che non siano persone fisiche concorrenti nel reato” (n.d.r., l'art. 11, comma 1, prevede una responsabilità solidale tra l'ente, dotato o meno di personalità giuridica, e la persona fisica autrice della violazione).E l'art. 21, comma 2, del d. lgs. 74/2000, quale riflesso sul piano procedurale, esclude i soggetti indicati nel comma 2 dell'art. 19 dall'effetto dell'ineseguibilità delle sanzioni amministrative, stabilita dall'art. 21, comma 1, prevedendo che le sanzioni amministrative “non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicati dall'art. 19, comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto”.

In forza di ciò, la commissione di un reato tributario comporterà: i) in capo all'ente privo di personalità giuridica, l'irrogazione sia delle sanzioni amministrative già previste dal d. lgs. n. 472/1997, sia delle sanzioni di cui al d. lgs. n. 231/2001; ii) in capo agli enti dotati di personalità giuridica, l'applicazione delle sanzioni amministrative previste dall'art. 7 del d. l. n. 269/2003, secondo cui “le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”, che si andranno a sommare alle sanzioni di cui al d. lgs. n. 231/2001.

Poiché, come ha ricordato la Procura di Milano, già con la nota sentenza Grande Stevens c. Italiaè stata riconosciuta natura sostanzialmente penale alle sanzioni amministrative tributarie, la previsione di ulteriori sanzioni (anch'esse afflittive) a carico dello stesso ente e per gli stessi fatti, potrebbe comportare una palese violazione del divieto di bis in idem, laddove non vi sia quella close connection che è stata delineata dalla Corte EDU con la sentenza A & B c. Norvegia.

Il decreto in commento, pertanto, nel silenzio del legislatore, ha cercato, nella prospettiva del ne bis in idem europeo, di fare piena applicazione del principio della proporzionalità, evitando una iniqua duplicazione sanzionatoria.

La rilevanza delle condotte riparatorie post factum

In particolare, è stato attribuito un ruolo centrale, nell'ottica di circoscrivere l'intervento punitivo del giudice penale, alle condotte riparatorie post factum, laddove le stesse abbiano dimostrato, da un lato, un'efficacia compensativa rispetto al danno arrecato e, dall'altro, una capacità preventiva rispetto al rischio di commissione di ulteriori reati analoghi a quelli per cui si procede.

Del resto, il giudizio di proporzionalità della pena viene condotto sulla base di una serie di parametri normativi fissati dall'art. 133 c.p., tra i quali, al n. 2 del comma 3, viene indicata la “condotta contemporanea o susseguente al reato”.

Peraltro, le condotte post factum, in particolare le attività di c.d. compliance, assumono rilievo anche ai fini di una riduzione della sanzione pecuniaria. Ed invero, ai sensi dell'art. 12 del d. lgs. 231/2001, la sanzione verrà ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Nel caso in cui l'ente abbia anche risarcito integralmente il danno ed abbia eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si sia comunque efficacemente adoperato in tal senso, la sanzione verrà ridotta dalla metà ai due terzi.

Le condotte post factum vengono prese in considerazione anche ai fini delle sanzioni interdittive, in quanto, ai sensi dell'art. 17 del d. lgs. 231/2001, ne viene esclusa l'applicazione quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l'ente: a) ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; b) ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; c) ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.

Anche tale disposizione rimarca, a ben vedere, la duplice funzione che deve assumere la condotta riparatoria nell'ottica di verificarne la rilevanza ai fini del giudizio di proporzionalità: da un lato, la capacità riparatoria e, dall'altro, quella preventiva, rilevando, a tal fine, la corretta organizzazione e gestione dei rischi penali, attraverso l'adozione o l'implementazione del modello di organizzazione e gestione.

Il decreto in commento, dunque, attribuisce rilievo anche all'elaborazione di procedure ad hoc finalizzate a ridurre il rischio fiscale, orientando correttamente i processi decisionali.

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