In tale filone si inserisce il decreto depositato l'11 novembre 2022, con il quale la Procura di Milano ha disposto l'archiviazione del procedimento penale iscritto nei confronti di una nota società operante nel settore della logistica, cui era stato contestato, ai sensi del d. lgs. n. 231/2001, il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 25-quinquiesdecies d. lgs. n. 231/2001, in relazione all'art. 2 del d. lgs. n. 74/2000), commesso – secondo l'ipotesi accusatoria – allo scopo di simulare contratti di appalto in luogo di somministrazione di manodopera.
La Pubblica Accusa, in particolare, ha ritenuto che la prosecuzione del procedimento penale, a seguito della definizione, mediante la procedura del ravvedimento operoso, del parallelo procedimento tributario, avrebbe comportato un cumulo di sanzioni, lesivo del principio di proporzionalità.
La società, infatti, aveva già versato all'Erario, a titolo di imposta, nonché di sanzioni ed interessi, una somma considerevole, pari a circa 10 milioni di euro, che, da sola, è risultata, per l'Ufficio di Procura, proporzionata, dissuasiva ed effettiva rispetto allo scopo di tutela perseguito dal legislatore mediante la percezione dei tributi. Inoltre, come valorizzato nel decreto di archiviazione, la società aveva posto in essere plurime condotte riparatorie, tra le quali la stabilizzazione di ben 1.200 lavoratori, che in precedenza avevano svolto la loro mansione come prestatori d'opera alle dipendenze di plurime società appaltatrici, nonché l'implementazione del modello organizzativo, provvedendo a predisporre nuove procedure operative funzionali ad assicurare, per il futuro, il puntuale monitoraggio degli adempimenti fiscali, sì da ridurre il rischio di commissione di ulteriori illeciti tributari.
Nel giungere a tale conclusione, la Procura ha riconosciuto la sussistenza di tutti i presupposti alla base del principio del ne bis in idem.
Segnatamente, con riferimento all'idem factum, è stata riconosciuta perfetta identità e sovrapposizione tra i fatti di frode contestati ai sensi del d. lgs. n. 231/2001 e l'illecito amministrativo contestato dall'Agenzia delle Entrate, posto che, come ribadito dalla giurisprudenza europea e da quella nazionale, la medesimezza del fatto si apprezza alla luce delle circostanze fattuali concrete, indissolubilmente legate nel tempo e nello spazio, a nulla rilevando la diversa qualificazione giuridica (si vedano: Corte EDU, Grande Camera Zolotoukhme c. Russia del 10.02.2009; Cass., SS.UU., n. 34655 del 28.6.2005; Corte Cost. n. 200 del 31.05.2016).
Quanto, poi, all'elemento soggettivo, se ai fini dell'illecito punito ai sensi del d. lgs. n. 231/2001 si richiede la c.d. colpa di organizzazione, anche per la configurabilità dell'illecito amministrativo si richiede quantomeno il coefficiente psicologico della colpa (l'art. 5 d. lgs. n. 472/1997 così recita: “nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”).
Quanto al profilo sanzionatorio, le sanzioni tributarie applicate dall'Agenzia delle Entrate devono ritenersi, ad avviso della Procura, “sostanzialmente penali” alla luce dei criteri fissati dalla sentenza della Corte EDU, Grande Camera, Engel e altri c. Paesi Bassi. Da un lato, invero, lo stesso legislatore italiano, intervenendo nel 1997 sul sistema sanzionatorio tributario, ha inteso estendere alle sanzioni amministrative alcuni principi propri del diritto penale, ovvero quelli di legalità e di personalità della sanzione, nonché l'istituto della continuazione. Dall'altro, la stessa Corte EDU ha sancito, in più occasioni, la natura penale delle sovrattasse (si veda, in particolare, la sentenza della Corte EDU, Johannesson e a. c. Islanda, ric. n. 2207/11 del 2017, nella quale viene considerata sostanzialmente penale la sanzione tributaria che ammonta al 25% dell'imposta evasa). Sul versante interno, a tale conclusione è giunta anche la Corte di Cassazione, che ha sottolineato, anche di recente, le componenti dissuasive ed afflittive della sanzione tributaria, non essendo la stessa finalizzata al mero risarcimento/indennizzo del danno cagionato dal contribuente (Cass. Pen., n. 2245/2022. Ad avviso della Procura, in astratto, per i fatti di dichiarazione fraudolenta le sanzioni comminate dall'art. 1 d. lgs. n. 471/1997 vanno dal 135 al 270% dell'imposta evasa, e, in concreto, la sanzione amministrativa applicata e versata dalla società, seppur ridotta per la scelta della modalità definitoria del ravvedimento operoso, si attesta comunque al di sopra della misura del 30% dell'imposta evasa).
Anche il requisito della “stretta connessione temporale e materiale” tra i due procedimenti è stato preso in esame dalla Procura, in accordo con quanto previsto dalla sentenza A & B c. Norvegia, con cui i giudici di Strasburgo hanno sancito che non vi è violazione del principio del ne bis in idem se i due procedimenti sono connessi dal punto di vista sostanziale e cronologico (criterio della “sufficiently close connection in substance and time”): si veda Corte EDU, Grande Camera, A e B, c. Norvegia, 15 novembre 2016. Secondo la Corte, al fine di valutare la sussistenza di una“sufficient connection”, il doppio binario deve essere sottoposto ad una sorta di “stress test” per verificare che: a) il cumulo sia prevedibile; b) i due procedimenti abbiano scopi differenti; c) vengano condotti in modo da evitare, per quanto possibile, ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova, in modo che l'accertamento dei fatti effettuato in un procedimento sia utilizzato anche nell'altro; d) siano avvinti anche da una connessione cronologica tale da non sottoporre il soggetto a processo per un lasso di tempo indeterminato; e) la sanzione irrogata all'esito del procedimento concluso per primo sia presa in considerazione anche nell'altro procedimento, in guisa da poter assicurare la proporzionalità della pena complessivamente irrogata.
Esclusa la sussistenza della close connection, la Procura ha sottolineato che la prosecuzione del procedimento penale porterebbe ad una evidente lesione del principio di proporzionalità: il legislatore, invero, nell'introdurre, tra i reati presupposto della responsabilità amministrativa da reato degli enti, i reati fiscali, non ha previsto “un meccanismo compensatorio che consenta di tener conto, nel procedimento svolto per ultimo, della sanzione già irrogata e divenuta definitiva nell'ambito del primo”. Come si legge nel decreto in commento “Tale lacuna rischia di produrre tanto più effetti irragionevoli, se si considera che le sanzioni previste dal decreto 231 sono, ancorché sostanzialmente penali (cfr. Cass. SS.UU. sent. n. 52511/2016), formalmente amministrative al pari di quelle previste dal d. lgs. n. 471/1997”. Peraltro, nel giudizio di proporzionalità il giudice deve tener conto di eventuali condotte riparatorie che abbiano ridotto, se non annullato, il danno arrecato, potendo in tal caso attenuare la risposta punitiva che normalmente sarebbe stata inflitta dall'ordinamento con la medesima tipologia di reati.