L'art. 106 del codice di rito, inserito nel libro primo, regola l'an dell'intervento (o chiamata) di terzo su istanza di parte e, all'uopo, stabilisce che ciascuna parte possa chiamare nel processo un terzo, al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende di essere garantita. Il successivo art. 107 disciplina, invece, l'an dell'intervento per ordine del giudice. Più in generale, l'istituto si colloca nell'alveo dell'estensione (cumulo) soggettiva (successiva) del processo ovvero dell'intervento. Detto intervento può essere volontario o libero ex art. 105 c.p.c., quando avvenga per spontanea iniziativa dell'interessato, oppure coatto o condizionato, appunto quando sia invocato dalle parti ovvero disposto dal giudice. Per converso, gli artt. 269 e 270 c.p.c., inseriti nel libro secondo, dedicato al processo di cognizione, regolamentano il quomodo della chiamata, su istanza di parte ovvero iussu iudicis. Condizioni simili sono dettate dall'art. 420, nono e decimo comma, c.p.c. con riguardo alla chiamata di terzo nel processo del lavoro, sebbene in questo ambito il legislatore non operi una precisa distinzione tra le ipotesi dell'integrazione del contraddittorio verso il litisconsorte necessario pretermesso, dell'intervento coatto ad istanza di parte e dell'intervento su ordine del giudice, distinzione che seguirà le regole generali. In specie, l'art. 269, come sostituito - con decorrenza dal 30 aprile 1995 - dall'art. 29 della legge 26 novembre 1990, n. 353, dispone, al primo comma, che alla chiamata di un terzo nel processo, a norma dell'art. 106, la parte provveda mediante citazione a comparire nell'udienza fissata dal giudice istruttore, osservati i termini dell'art. 163 bis. Il secondo e il terzo comma stabiliscono le modalità della chiamata di terzo, rispettivamente su richiesta del convenuto e dell'attore. Con riguardo alla posizione del convenuto, qualora questi intenda chiamare un terzo in causa, deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di risposta e contestualmente chiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza, allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'art. 163 bis. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 166 e 167, ultimo comma, c.p.c., il convenuto deve depositare la comparsa di risposta contenente la chiamata di terzo almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione. All'esito, il giudice, entro cinque giorni dalla richiesta, provvede con decreto a fissare la data della nuova udienza. Detto decreto è comunicato dal cancelliere alle parti costituite. Quindi, la citazione è notificata al terzo a cura del convenuto.Con riferimento alla posizione dell'attore, ove, a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, insorga l'interesse dell'istante a chiamare in causa un terzo, l'attore deve, a pena di decadenza, chiederne l'autorizzazione al giudice istruttore nella prima udienza. Qualora il giudice conceda l'autorizzazione, fissa una nuova udienza, allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'art. 163-bis. La citazione è quindi notificata al terzo, a cura dell'attore, entro il termine perentorio stabilito dal giudice. I termini perentori eventuali di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c. per l'integrazione del thema decidendum e del thema probandum, attraverso il deposito delle memorie assertive e istruttorie, sono fissati dal giudice nell'udienza di comparizione del terzo, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 269 c.p.c., come sostituito, con decorrenza dall'1 marzo 2006, dall'art. 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 263.