L'intera materia dell'espropriazione forzata è stata oggetto di vari interventi normativi. Tra i più recenti cisi limita qui a segnalare la l. n. 228/2012, i provvedimenti legislativi n. 162/2014 e n. 132/2015, fino alla l. n. 206/2021.
Tali disposizioni hanno innovato l'assetto del processo esecutivo, innovando anche il criterio della determinazione della competenza per territorio in materia di espropriazione di crediti.
L'art. 26, comma 2, c.p.c., nel testo originario, attribuiva la competenza territoriale al giudice del luogo di residenza del terzo debitore. Ma l'incardinamento di simultanee procedure esecutive, quando i terzi debitori risiedevano in luoghi differenti, aveva indotto il legislatore a prevedere un differente criterio di competenza, introducendo con la l. n. 162/2014, l'art. 26-bis c.p.c. Il secondo comma di tale disposizione sanciva la regola generale della competenza territoriale del giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, se il debitore è un soggetto diverso da una pubblica amministrazione. Nel caso in cui il debitore fosse una pubblica amministrazione, la competenza, salvo diversa previsione contenuta in leggi speciali, veniva devoluta, ai sensi del primo comma, al giudice del luogo ove il terzo ha la residenza oppure il domicilio, la dimora o la sede.
Lo scopo della disciplina introdotta dalla l. n. 162/2014, come manifestato dal legislatore nella Relazione al d.l. n. 132/2014, era duplice: anzitutto tutelare l'esecutato, una volta venuto meno l'obbligo per il terzo di comparire all'udienza per rendere la dichiarazione, e, nell'ipotesi in cui debitore fosse una P.A., scongiurare la paralisi dei tribunali di alcune grandi città, sedi delle pubbliche amministrazioni.
L'art. 26-bis c.p.c. è stato da ultimo novellato dall'art. 1, comma 29, della l. n. 206/2021.
Il secondo comma enuclea il criterio generale, radicando - per l'espropriazione forzata di crediti - la competenza per territorio dinanzi al giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede.
Il primo comma statuisce che quando il debitore è una delle pubbliche amministrazioni indicate dall'art. 413, quinto comma, c.p.c., per l'espropriazione forzata di crediti è competente, salvo quanto disposto dalle leggi speciali, il giudice del luogo dove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto il creditore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede.
L'incipit della norma è lo stesso di quella previgente, con tutte le problematiche interpretative connesse.
Già sotto il vigore della precedente disciplina, era stato evidenziato come il quinto comma dell'art. 413 c.p.c. non contenga un'elencazione delle pubbliche amministrazioni, ma si limiti a statuire la competenza per territorio per le controversie aventi ad oggetto i rapporti di lavoro alle dipendenze della Pubblica amministrazione.
Facendo leva su questo lacunoso richiamo normativo, parte della dottrina ha ritenuto che il primo comma dell'art. 26-bis c.p.c. si applichi alle procedure promosse da un pubblico dipendente per un credito di lavoro, residuando il criterio della competenza generale per gli altri crediti della P.A.
Altra parte della dottrina e della giurisprudenza di merito (Trib. Roma, 18 marzo 2021) hanno ritenuto tale orientamento non condivisibile per varie ragioni. Anzitutto la norma non fa alcun cenno alla natura del diritto di credito azionato, ma individua le pubbliche amministrazioni richiamando un'altra norma, la quale si riferisce indistintamente a tutte le pubbliche amministrazioni.
Inoltre, accogliendo la tesi opinata, non si realizzerebbe lo scopo perseguito dal legislatore, ossia evitare che i tribunali di alcune grandi città, sedi di pubbliche amministrazioni, siano gravati da un eccessivo numero di espropriazioni presso terzi. Infine, non vi sarebbe alcun motivo per dettare una regola differente per i crediti di lavoro pubblico.
La Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 8172/2018, ha recepito quest'ultimo orientamento, statuendo che il richiamo all'art. 413, comma 5, deve intendersi come rinvio alla nozione – normativa e giurisprudenziale – di “pubblica amministrazione”, nozione talmente ampia che non sarebbe stato possibile richiamare con un rinvio all'art. 25 c.p.c., che concerne le sole amministrazioni “dello Stato”.
Il rinvio deve intendersi operato con riferimento alla qualità del debitore, cioè una “pubblica amministrazione”, e non alla natura del credito azionato, ovvero al credito “di lavoro”, altrimenti si vanificherebbe – come già anticipato - il fine perseguito dal legislatore di evitare la paralisi dei tribunali delle città sedi delle pubbliche amministrazioni. Inoltre, non vi sarebbe alcuna ragione per diversificare la competenza tra crediti lavorativi e crediti di natura differente, nella prospettiva della riforma del 2014, ossia quella di “avvicinamento” del foro al luogo di insediamento (residenza, domicilio, dimora, sede) del terzo.
Da ultimo, evidenzia il Collegio che la nozione di pubblica amministrazione deve essere intesa in modo dinamico, facendo riferimento alla normativa che registra in materia continui mutamenti ed evoluzioni.
Nel medesimo solco si colloca il provvedimento emesso dal Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Catania.
Il provvedimento che si annota, conformemente all'ordinanza n. 8172/2018 della Cassazione, ribadisce che il rinvio che l'art. 26 bis, comma 1, c.p.c. fa all'art. 413, comma 5, non concerne l'oggetto del credito per cui le P.A. sono debitrici (rapporti di lavoro alle loro dipendenze), ma solo la qualità di esse e la norma, che a quegli effetti identifica le Pubbliche Amministrazioni è l'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001. Rientrano, pertanto, nella nozione di Pubblica Amministrazione tutte le amministrazioni dello Stato elencate nella suddetta norma, tra cui i Comuni.
Questo consolidato orientamento non risulta scalfito dalla nuova formulazione del primo comma dell'art. 26-bis c.p.c., che, nell'individuare per le espropriazioni di crediti il foro territoriale competente, richiama il distretto in cui ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato.
Alcuni autori hanno obiettato che la norma, così come novellata, risulterebbe applicabile alle sole Amministrazioni patrocinate dall'Avvocatura dello Stato con conseguente esclusione di tutti gli enti, in primis i Comuni, che non si avvalgono di tale difesa tecnica.
Tale interpretazione restrittiva, osserva il Tribunale catanese, sarebbe non solo contra legem, ma comporterebbe un rischioso vuoto normativo per l'impossibilità di individuare in via interpretativa il criterio di competenza per le Pubbliche Amministrazione che non si avvalgono del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato.
Pertanto, il Giudice dell'esecuzione, risultando dagli atti processuali che la procedura esecutiva era stata promossa contro un ente comunale e che la residenza del creditore procedente ricadeva in un comune il cui circondario fa capo al distretto dell'Avvocatura dello Stato di Messina, ha dichiarato la propria incompetenza territoriale in favore del Tribunale di Messina.