Il conflitto di interessi ricorre tutte le volte in cui un soggetto, a cui viene attribuito un potere decisionale, ha un interesse proprio, di varia natura, anche non finanziaria, in contrasto con quello per cui gli è stato attribuito tale potere.
Nel nostro ordinamento, l'istituto del conflitto di interessi è generalmente disciplinato dall'art. 1394 c.c., secondo cui: “Il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d'interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo”.
Per aversi conflitto di interessi, dunque, è necessario che il rappresentante punti a interessi che, per loro natura, siano incompatibili con quelli perseguiti dal rappresentato: al vantaggio conseguito dal rappresentante corrisponde, quindi, un possibile danno del rappresentato (Cass. 26 novembre 2002, n. 16708).
Il conflitto di interessi deve essere dimostrato concretamente, ossia facendo riferimento al singolo contratto e, trattandosi di un vizio della volontà negoziale, deve riscontrarsi al perfezionamento del contratto. Non assumono invece alcuna rilevanza le successive evenienze, eventualmente modificative dell'originario conflitto tra il rappresentante e il rappresentato (Cass. 31 gennaio 2017, n. 2529).
L'art. 1394 c.c. fa pertanto riferimento al conflitto di interessi che si manifesta al momento dell'esercizio del potere rappresentativo. L'art. 2391 c.c., previsto in tema di società per azioni, fa invece riferimento al conflitto di interessi che si manifesta al momento dell'esercizio del potere deliberativo, ossia quando l'atto non è ancora stato posto in essere. L'art. 2391, commi 1 e 2, c.c., rubricato “interessi degli amministratori”, dispone infatti che l'amministratore deve informare gli altri amministratori e il collegio sindacale di qualsiasi tipo di interesse, proprio o di terzi, che egli possa avere in un'operazione sociale, indicandone in maniera dettagliata la natura, i termini, l'origine e la portata. Se si tratta di un amministratore delegato, deve inoltre astenersi dal porre in essere l'operazione e investire della stessa l'organo collegiale. Se si tratta di un amministratore unico, deve fornire l'informazione, oltre che al collegio sindacale, anche alla prima assemblea utile.
Laddove si decidesse di procedere nonostante il conflitto di interessi manifestato dall'amministratore, la delibera adottata dal consiglio di amministrazione dovrà necessariamente specificare le ragioni della convenienza dell'operazione per il bene sociale. In caso di amministratore unico, occorrerà invece che dell'atto venga informato il collegio sindacale e l'assemblea.
L'art. 2391 c.c. non contiene, peraltro, limitazioni circa la tipologia di interesse in merito al quale l'amministratore è tenuto a dare notizia, dando pertanto rilevanza ad ogni tipo di interesse dell'amministratore.
Gli amministratori, perciò, devono costantemente effettuare un'autoanalisi dell'assetto dei propri interessi e fornire informazioni dettagliate e precise circa i termini, le origini e la portata del proprio interesse in una determinata operazione. In ogni caso, l'eventuale assenza di conflitto di interessi con la società non potrà far venire meno l'obbligo dell'amministratore interessato di dare informazioni in merito. L'esistenza del conflitto di interessi dovrà essere infatti valutata dal consiglio di amministrazione della società, per adempiere al dovere di motivazione della delibera, non potendo l'amministratore svolgere autonomamente tali valutazioni (Silvia Corso, Gli interessi ‘per conto di terzi' degli amministratori di società per azioni, Torino, 2016, 66).
Nel caso di atto posto in essere in conflitto di interessi dall'amministratore unico della società, trova applicazione la disciplina generale di cui all'art 1394 c.c., essendo inapplicabile l'art. 2391 c.c. che fa riferimento al conflitto di interessi degli amministratori in presenza di un consiglio di amministrazione (Cass. 10 aprile 2000, n. 4505).
L'ampiezza della norma per la società per azioni trova origine nel potere assoluto che è stato concesso all'organo amministrativo con la riforma del diritto societario, dato che chi amministra non è tenuto a uniformarsi neppure alle direttive dell'assemblea nel perseguimento degli interessi sociale. In un sistema di pesi e contrappesi efficiente, dunque, a tale potere deve necessariamente contrapporsi una disciplina ampia del conflitto di interesse.
In tema di società a responsabilità limitata, invece, il conflitto di interessi è disciplinato dall'art. 2475-ter c.c. Tale norma, al primo comma, fa riferimento alla validità dei contratti stipulati dall'amministratore in conflitto di interessi con la società, riproducendo in sostanza la disciplina generale prevista dall'art. 1394 c.c. Al secondo comma stabilisce poi che le delibere del consiglio di amministrazione adottate con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi, se recano un danno al patrimonio della società, possono essere impugnate entro novanta giorni dagli amministratori e dall'eventuale organo di controllo. Rimangono però salvi i diritti eventualmente acquistati in buona fede dai terzi, in forza di atti compiuti in esecuzione della decisione.
A differenza di quanto previsto con riferimento alle società per azioni, l'art. 2475-ter c.c. non impone dunque obblighi di informazione preventiva, di astensione in capo all'amministratore delegato e di motivazione delle deliberazioni. Ciononostante, in forza delle clausole generali di buona fede e correttezza, si ritiene comunque esistere un dovere degli amministratori, anche di società a responsabilità limitata, di informare gli altri amministratori di un proprio eventuale conflitto di interessi.
La ragione della diversa rigidità della disciplina tra i due principali tipi di società di capitali risiede nella maggiore vicinanza tra la proprietà e l'organo amministrativo nella società a responsabilità limitata, nonché nelle necessità di snellezza e speditezza delle operazioni per il tipo minore.