Riforma processo civile: il nuovo rinvio pregiudiziale interpretativo
24 Gennaio 2023
Introduzione
L'art. 3, comma 27, lett. c), del d.lgs. n. 149/2022, introduce il nuovo art. 363-bis c.p.c., rubricato “(Rinvio pregiudiziale)” ed in conformità alla previsione dell'art. 1, comma 9, lett. g), della legge delega n. 206/2021. La stessa relazione ministeriale definisce il rinvio pregiudiziale di interpretazione come l'innovativa possibilità, per il giudice di merito di sottoporre direttamente alla Corte di cassazione una questione di diritto nuova e potenzialmente seriale. È una nuova fattispecie di rinvio pregiudiziale, che si aggiunge a quelli tradizionali di costituzionalità e di conformità al diritto eurounitario, modellata sulla saisine pour avis dell'ordinamento francese e intesa come strumento di una razionalizzazione dei tempi della nomofilachia: è un meccanismo processuale nell'interesse dell'ordinamento, volto ad offrire l'interpretazione di legittimità in tempi più brevi rispetto a quelli delle ordinarie dinamiche del processo civile. In base alla disciplina transitoria (l'art. 35, comma 7, d.lgs. n. 149/2022, come modificato dall'art. 1, comma 380, l. n. 197/2022, le disposizioni dell'art. 363-bis c.p.c. si applicano anche ai procedimenti di merito pendenti alla data del 1° gennaio 2023. I presupposti soggettivi e oggettivi
La nuova norma stabilisce che il giudice di merito può disporre, con ordinanza e dopo avere provocato sul punto il contraddittorio tra le parti, il rinvio pregiudiziale degli atti alla corte di cassazione per risolvere una questione che: sia esclusivamente di diritto; sia necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non ancora risolta dalla corte di cassazione; presenti gravi difficoltà interpretative; sia suscettibile di porsi in numerosi giudizi. Si tratta di presupposti che debbono essere tutti contemporaneamente presenti, come è reso chiaro dalla sanzione di inammissibilità in ipotesi di “mancanza di una o più delle condizioni di cui al primo comma”. Deve trattarsi di un giudice di merito: è una previsione assai ampia, priva di limitazioni; il rinvio è quindi consentito ad ogni giudice di merito, onorario o togato; inoltre, a prescindere dal rito applicato e dalla possibilità che nello sviluppo del processo possa prima o poi intervenire la Corte di cassazione, quindi a cognizione piena o limitata. È dubbio solo che l'istituto possa trovare applicazione per i giudici speciali: se minori perplessità si hanno per il giudice tributario, il cui processo confluisce ordinariamente nel giudizio di legittimità, non pare possibile analoga soluzione per le questioni oggetto di cognizione da parte dei giudici speciali che non possano, come quelle di giurisdizione, mai essere devolute alla Corte di legittimità. I presupposti oggettivi devono ricorrere contemporaneamente. In particolare, la questione suscettibile di rinvio pregiudiziale deve: a) essere “esclusivamente di diritto”: non sono allora suscettibili di rinvio pregiudiziale interpretativo non solamente le questioni di (mero) fatto, ma neppure quelle miste di fatto e di diritto; al contrario, tra quelle di solo diritto ci sono certamente quelle in punto di rito; b) essere necessaria alla definizione anche parziale del giudizio: con valutazione analoga a quella della rilevanza nelle questioni di legittimità costituzionale, saranno inammissibili quindi le questioni meramente teoriche o in caso di cause di inammissibilità della domanda; infine, il carattere parziale della possibilità di definire il giudizio va inteso sia in senso soggettivo (alcune delle domande tra più soggetti in causa) che oggettivo (questioni pregiudiziali o preliminari); c) non essere stata ancora risolta dalla Corte di cassazione: deve ritenersi, con orientamento definibile ai sensi dell'art. 360-bis, n. 1, c.p.c.; d) presentare gravi difficoltà interpretative, con specifica indicazione delle diverse interpretazioni possibili: occorre allora la sostenibilità di almeno due alternative ermeneutiche; e il rimettente ha certo l'onere di escludere, dal novero delle possibili interpretazioni legittimanti il rinvio, quelle manifestamente destituite di idonei elementi di sostegno; e) essere suscettibile di porsi in numerosi giudizi: deve cioè essere seriale; se è chiaro che ne sono escluse le questioni singolari, relative cioè a fattispecie connotate da spiccata e sicura peculiarità, occorre però includervi tutte quelle suscettibili di una reiterazione indefinita in un numero apprezzabile di giudizi, beninteso secondo una prognosi legata a considerazioni non strettamente giuridiche: riguardo alle quali molto è lasciato alla discrezionalità del rimettente, che dovrebbe potersi limitare ad indicare circostanze non manifestamente implausibili o anche desunte dal notorio comune o tecnico. Il procedimento davanti al giudice a quo
La questione è sollevata con ordinanza dal giudice di merito, purché sia stata sottoposta alle parti costituite, sia pure in forme tendenzialmente libere; e, quindi, dopo avere indicato alle parti chiaramente l'evenienza di una simile rimessione, se del caso invitandole a specificare la propria posizione al riguardo: ben potendo, ad esempio, una o più di loro prospettare l'insussistenza di difficoltà interpretative sostenendo essere chiara e convincente una sola interpretazione tra le diverse possibili. Quanto ai tempi, la rimessione può essere disposta in ogni stato di ciascun grado di merito, non appena sia cioè apprezzata dal giudicante come idonea a definire il giudizio: quindi sia in limine litis che perfino in sede di decisione. Nel ricco dibattito già sviluppatosi sull'istituto è stata esaminata la problematica della relazione della questione interpretativa, oggetto del rinvio pregiudiziale, con gli accertamenti di fatto fino a quel momento compiuti o da compiere: al riguardo, la carenza di limitazioni nel tenore testuale della norma consente di qualificare l'accertamento del fatto come indipendente dalla questione di diritto, nel senso, cioè, che essa non pregiudica alcuna altra attività del giudicante e, in particolare, la formulazione del giudizio di fatto. Pertanto, la questione potrebbe essere senz'altro rimessa alla Corte anche a prescindere dalla concreta attività istruttoria da espletare sul punto e dalla prognosi del suo esito, col solo limite della manifesta inammissibilità dei mezzi istruttori addotti per provare i fatti; a maggior ragione, la rimessione può essere disposta ad istruttoria già conclusa, senza che tanto renda irretrattabile l'accertamento dei fatti, sicché il principio di diritto che la Corte enuncerà si applicherà ad essi, ma sempre se definitivamente accertati. L'ordinanza dev'essere specificamente motivata su ciascuno dei presupposti oggettivi che si sono appena passati in rassegna. In simmetria con le altre rimessioni pregiudiziali, una carenza motivazionale su uno o più di tali presupposti, come pure sulla somministrazione degli elementi indispensabili per la decisione (primi fra tutti l'indicazione non tanto delle parti, quanto della causa petendi e dei petita, quanto meno dell'una e degli altri direttamente coinvolti dalla questione interpretativa pregiudiziale), dovrebbe condurre ad una pronuncia di inammissibilità del rinvio. L'ordinanza è comunicata alle parti, ma tanto deve intendersi (in applicazione di generalissimi principi del processo civile) nel caso non sia resa in pubblica udienza, sicché ben si potrebbe dare l'ipotesi di un'ordinanza di rinvio pregiudiziale interpretativo letta integralmente in tale ultimo contesto, dinanzi alle parti che sono o avrebbero dovuto essere presenti; è immediatamente trasmessa alla Corte di cassazione, la cancelleria della quale acquisirà - ai sensi del capoverso dell'art. 137-bis disp. att. c.p.c., come introdotto dalla novella - il fascicolo di ufficio (ove la cancelleria del giudice a quo non ritenga, anticipando i tempi e se del caso su espressa indicazione del giudice nell'ordinanza, di procedere direttamente a tale incombente, per accelerare i tempi e razionalizzare l'interazione tra gli uffici). Il procedimento resta sospeso dal giorno in cui è depositata l'ordinanza, ma resta “salvo il compimento degli atti urgenti e delle attività istruttorie non dipendenti dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale”. Si tratta della sospensione del giudizio nel suo complesso, sebbene questa non dovrebbe applicarsi alle cause o domande del tutto indipendenti dalla risoluzione della questione interpretativa. È peraltro sempre esclusa la possibilità di definire il giudizio, con relativa pronuncia di sentenza non definitiva, sulle questioni ulteriori, salvo il previo esercizio della facoltà di separazione delle cause. Sulla nozione di atti urgenti non vietati durante la sospensione soccorre la copiosa elaborazione in tema di sospensione nella pendenza dei regolamenti di competenza e di giurisdizione, la quale potrà trovare applicazione anche nella specie. L'effetto sospensivo si produce ope legis, ma potrebbe essere opportuno che l'ordinanza di rinvio pregiudiziale interpretativo ne dia espressamente atto; avverso di quello non paiono esperibili rimedi; infine, i singoli atti non urgenti del processo a quo, che fossero posti in essere in violazione della sospensione ex lege, sarebbero beninteso ipso iure illegittimi e tale vizio potrebbe essere fatto valere davanti al giudice a quo o in sede di successiva impugnazione. Pervenuta - ormai, in via telematica - alla Corte di cassazione l'ordinanza che ha disposto il rinvio pregiudiziale interpretativo, l'art. 137-ter disp. att. c.p.c. ne prevede la pubblicazione, sul sito istituzionale della Corte stessa e a cura del suo Centro elettronico di documentazione. Presa in carico dalla Corte, l'ordinanza va allora istruita. La norma - ed in particolare il primo periodo del terzo comma dell'art. 363-bis c.p.c. - disegna una competenza specifica in capo al Primo Presidente, che va al di là delle istituzionali attribuzioni lato sensu organizzative ed amministrative e gli devolve funzioni giurisdizionali proprie e specifiche prive di precedenti, con un vero e proprio quid novi. Egli, ricevuta l'ordinanza di rinvio pregiudiziale, entro novanta giorni assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice per l'enunciazione del principio di diritto, o dichiara con decreto l'inammissibilità della questione per la mancanza di una o più delle condizioni di cui al primo comma. Al primo presidente è insomma attribuito il potere di vagliare autonomamente l'ammissibilità della questione di rinvio pregiudiziale, in estrinsecazione di un potere autenticamente giurisdizionale che è suo proprio, benché verosimilmente suscettibile di delega e suscettibile di avvalimento degli uffici a lui facenti capo, quale la cancelleria delle Sezioni Unite civili o l'Ufficio preparatorio del procedimento per l'esame dei ricorsi assegnati alle Sezioni Unite Civili (UPSUC). Il Primo Presidente deve provvedere entro novanta giorni dal ricevimento dell'ordinanza di rinvio pregiudiziale interpretativo: se ritiene che sussistano tutti i detti presupposti, assegna la questione alle Sezioni Unite anziché a quelle semplici, in applicazione dei criteri generali previsti dall'art. 374 c.p.c.: cioè, ove ritenga che essa involga una questione di giurisdizione, oppure una questione di massima di particolare importanza, oppure ancora una che sia stata decisa in senso difforme dalle sezioni semplici; al contrario, ove, pur ritenendo sussistenti tutti i presupposti del rinvio pregiudiziale interpretativo, la questione non presenti i requisiti per l'assegnazione alle sezioni unite, essa sarà assegnata alla sezione semplice, secondo la ripartizione interna degli affari, come prevista dalla tabella periodica - ormai di durata non più triennale, ma quadriennale - di organizzazione della Corte. Analogamente ad ogni provvedimento preliminare di ammissibilità, anche quello con il quale, più o meno motivatamente, il Primo Presidente assegni la questione ad una delle sezioni (unite o semplici) non pregiudica la decisione del collegio che ne sarà investito neppure quanto alla sussistenza dei relativi presupposti, la quale sarà liberamente ed ex professo rivalutata. Sempre entro i novanta giorni dal ricevimento dell'ordinanza che ha disposto il rinvio pregiudiziale interpretativo, il Primo Presidente può dichiarare, con decreto, “l'inammissibilità della questione per la mancanza di una o più delle condizioni di cui al primo comma” dello stesso art. 363-bis c.p.c.: a ribadire la necessaria compresenza di tutte le condizioni (o presupposti) appena descritte. È escluso il coinvolgimento delle parti, ma non la necessità di una motivazione, sebbene sommaria, soprattutto per il caso di inammissibilità. Dei decreti adottati dal Primo Presidente sulle questioni va data pubblicità in forma analoga a quella dell'ordinanza che le ha rimesse alla Corte, cioè sul sito istituzionale di quest'ultima e a cura del Centro elettronico di documentazione. A termini del secondo periodo del terzo comma dell'art. 363-bis c.p.c., poi, “la Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia in pubblica udienza, con la requisitoria scritta del pubblico ministero e con facoltà per le parti costituite di depositare brevi memorie, nei termini di cui” all'art. 378 c.p.c.; tanto implica il coinvolgimento appunto dell'uno e delle altre, che andranno notiziate della fissazione dell'udienza e, deve ritenersi, senza necessità di alcun atto formale di costituzione diverso dalle memorie espressamente menzionate (e, verosimilmente, senza bisogno di una procura speciale a tal fine, quanto meno nel caso in cui l'unica loro attività si limiti alla redazione di tale atto tipizzato). La carenza di comunicazione alle parti della precedente ordinanza integra un preciso adempimento del giudice a quo, la cui carenza potrebbe condurre al richiamo formale da parte della Corte di cassazione al medesimo giudice a quo affinché vi provveda, con riserva di provvedere sul rinvio soltanto all'esito della trasmissione della prova dell'avvenuto adempimento di detta comunicazione. Non è prescritto invece che la Corte di cassazione supplisca alla deficienza della comunicazione originaria dell'ordinanza di rimessione, provvedendovi direttamente. Non sono previsti termini, che del resto sarebbero acceleratori alla stessa stregua di quello fissato al primo presidente per la pronuncia preliminare. Acquisite, se del caso, le brevi memorie delle parti con la scansione temporale ordinaria, all'udienza la questione è trattata e trattenuta in decisione; all'esito della discussione nella successiva camera di consiglio, la Corte definisce con sentenza il procedimento dinanzi a sé sul rinvio pregiudiziale interpretativo, tale essendo la forma ordinaria dei provvedimenti resi all'esito di un contraddittorio pieno tra le parti su questioni di particolare rilevanza (quali, per definizione legislativa, sono quelle rimesse ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c.). È beninteso salva la facoltà del collegio di pronunciare un'ordinanza interlocutoria, per adottare provvedimenti ordinatori (come la rinnovazione dell'avviso di fissazione dell'udienza alle parti, in caso di omissione o vizi della sua comunicazione o notificazione) o sollevare ulteriori incidenti (di costituzionalità o per rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea ai sensi dell'art. 267 TFUE). La sentenza conterrà l'enunciazione del principio di diritto: ed al riguardo, tranne soltanto quella sui requisiti di ammissibilità della questione (che, nella specie, sono regolamentati ex novo dalla disciplina speciale dell'art. 363-bis c.p.c.), può soccorrere la nutrita giurisprudenza formatasi in sede di legittimità sull'analogo istituto di cui al precedente art. 363 c.p.c., nella sua declinazione ad impulso del pubblico ministero (piuttosto che in quella della pronuncia di ufficio ad opera della Corte in caso di definizione in rito del giudizio davanti ad essa), attesane l'analogia con l'attivazione dell'incidente di pregiudizialità interpretativa. In entrambi i casi, infatti, un'autorità giurisdizionale sollecita la pronuncia della Corte e questa deve allora rispondere alla questione sottopostale, in assenza di vincoli sulla qualificazione dei fatti e senza che possa trovare applicazione il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. La sentenza che definisce la questione, al pari del decreto di inammissibilità pronunciato dal primo presidente, dispone anche la restituzione degli atti al giudice; benché non previsto in modo espresso, pure questa dovrebbe avvenire in via telematica. Il principio di diritto
A differenza dell'omologo francese cui si è in qualche modo ispirato, l'istituto italiano di nuovo conio prevede la vincolatività della decisione della Corte di cassazione; infatti, l'ultimo comma del neointrodotto art. 363-bis c.p.c.. statuisce che “il principio di diritto enunciato dalla Corte è vincolante nel procedimento nell'ambito del quale è stata rimessa la questione e, se questo si estingue, anche nel nuovo processo in cui è proposta la medesima domanda tra le stesse parti”. Paradossalmente, la forza della decisione resa dalla Corte, regolata diversamente dalle norme dei due ordinamenti, è maggiore sulla carta nel nostro, ma, in concreto, è invece ben maggiore in quello francese. Proprio però perché l'omologo transalpino si inserisce in un sistema connotato da un ruolo della Cassazione definibile come paranormativo, in quella sede il “parere” è di fatto vincolante per tutti gli interpreti, mentre nel nostro qualunque precedente della Corte di cassazione vincola – ed entro certi limiti – solo il giudice del rinvio e, quanto alla generalità dei giudicanti, possiede un'efficacia molto inferiore, perfino se reso a sezioni unite (in quest'ultimo caso vincolando, peraltro relativamente, solo le sezioni semplici a conformarvisi, salva una nuova rimessione della questione alle stesse sezioni unite). Il vincolo del principio di diritto enunciato a risoluzione della questione interpretativa oggetto del relativo rinvio è, a similitudine di quanto accade per il giudice del rinvio in esito alla cassazione, vincolante soltanto “nel procedimento nell'ambito del quale è stata rimessa la questione”, con la precisazione che, “se questo si estingue”, tale efficacia vincolante è conservata “anche nel nuovo processo in cui è proposta la medesima domanda tra le stesse parti”. Il vincolo conformativo è netto, ma solo sulla questione di diritto rimessa alla Corte e da questa risolta e, quindi, senza pregiudizio per gli accertamenti di fatto ancora da compiersi e pure di ogni altra questione di diritto. In sostanza, ciascuno dei giudici del procedimento nel cui ambito è stata sollevata e rimessa la questione interpretativa è vincolato da quel principio di diritto, ma solo quanto a questo e, quindi, in ordine alla concreta interpretazione della norma da applicare; pertanto, la questione non può essere rimessa in discussione e, nel corso del medesimo procedimento o di altro sulla medesima domanda la stessa Corte di cassazione non potrà riconsiderare il principio di diritto, che sarà vincolante anche in questa sede, non dissimilmente da quello enunciato in sede di rinvio: ma, appunto, coi relativi limiti. In linea di prima approssimazione, il vincolo del principio di diritto sul procedimento in corso - e sull'altro in cui sia proposta la medesima domanda - deve venir meno, in analogia con il giudizio di rinvio, in caso di ius superveniens, ipotesi alla quale equiparare una sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma o di sua contrarietà al diritto eurounitario in forza di sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea: in tali ipotesi, la norma non potrebbe essere applicata e, quindi, la sua interpretazione diviene inutile. Naturalmente, la non conformità della decisione di merito al principio di diritto potrà essere dedotta quale motivo di impugnazione, secondo le caratteristiche dei relativi mezzi di reazione alla pronuncia del giudice del merito che se ne discosti: ed appunto quale violazione della norma processuale che statuisce la vincolatività del principio di diritto. Riferimenti
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