Ancora una volta la magistratura di merito è stata chiamata ad accertare se una patologia tumorale benigna sia la conseguenza di un uso eccessivo dei telefoni cellulari, decisa nel recente passato con alterne decisioni.
Ha negato la sussistenza del nesso causale e/o concausale il Tribunale di Milano, non potendosi ritenere con elevato grado di probabilità causalmente collegato all'esposizione ai campi elettromagnetici, indipendentemente dall'entità dell'esposizione, l'oligodendroglioma grado II fronto-opercolare destro denunciato da un lavoratore (sentenza 31 luglio 2018, n. 959); anche la Corte di Appello di Firenze ha escluso la sussistenza in termini di probabilità qualificata del nesso di causa tra un neurinoma dell'acustico e l'uso eccessivo dei telefoni cellulari, pur senza poterne negare la mera possibilità, stante l'assenza dell'efficienza lesiva dell'esposizione all'agente nei confronti della specifica entità nosografica (sentenza 7 novembre 2019, n. 759).
Hanno riconosciuto, al contrario, il nesso causale tra un neurinoma acustico (tumore benigno) e l'uso eccessivo di telefoni cellulari avvenuto nel periodo compreso tra il 1995 e il 2010, il Tribunale di Ivrea (sentenza 30 marzo 2017, n. 96) e poi la Corte di Appello di Torino (sentenza 13 gennaio 2020, n. 904); anche il Tribunale di Firenze ha accertato il nesso causale tra l'uso prolungato di telefoni cellulari e un neurinoma dell'VIII nervo cranico (sentenza 24 giugno 2017, n. 391). In epoca meno recente la Corte di Appello di Brescia si era espressa favorevolmente alle ragioni sostenute dal lavoratore sull'esistenza del nesso causale tra uso smodato di telefoni cellulari e la patologia dallo stesso contratta “neurinoma del Ganglio di Gasser” (sentenza 22 dicembre 2009, n. 614).
La Corte di Cassazione ha confermato quest'ultima sentenza, impugnata dall'Inail, sostanzialmente perché la motivazione sull'accertamento del nesso causale appariva priva di vizi logico-formali, non potendosi operare in sede di legittimità un riesame del merito; né la Cassazione ha ravvisato criticità nell'indagine epidemiologica condotta dal perito, che si è avvalso di una serie di elementi, come l'età in cui era avvenuta l'esposizione professionale, l'ipsilateralità e il tempo di esposizione alle radiofrequenze per un lasso temporale continuativo molto lungo (circa 12 anni), per una media giornaliera di 5 - 6 ore e concentrata principalmente sull'orecchio sinistro dell'assicurato, ritenuti attendibili sul piano eziopatogenetico da alcuni studi scientifici, non cofinanziati, a differenza di altri, anche dalle stesse ditte produttrici di cellulari. Infatti, negli studi effettuati dall'Hardell group, ha osservato ancora la Corte, “era stato evidenziato un aumento significativo de rischio relativo di neurinoma (intendendosi per rischio relativo la misura di associazione fra l'esposizione ad un particolare fattore di rischio e l'insorgenza di una definita malattia, calcolata come il rapporto fra i tassi di incidenza negli esposti numeratore e nei non esposti denominatore)” (Cass. 12 ottobre 2012, n. 17438).
Trattandosi di patologie ed esposizione ad un rischio non compresi neanche nella più recente tabella delle malattie professionali (D.M. 9 aprile 2008), la Corte di Appello nel caso in esame era chiamata a verificare se il lavoratore avesse fornito la concreta e specifica dimostrazione (quanto meno in via di probabilità) della idoneità della esposizione al rischio a causare l'evento morboso (Cass. 21 novembre 2016, n. 23653).
Infatti, dopo la sentenza n. 179/1988 della Corte costituzionale, la tutela sociale è stata estesa anche alle malattie professionali non tabellate o multifattoriali (art. 10, co. 4, D. Lgs. n. 38/2000), subordinandola alla prova del nesso causale in termini di ragionevole certezza o di probabilità qualificata (più probabile che non), che ricorre quando i dati epidemiologici e clinici consentano di accertare che una determinata malattia sia la probabile conseguenza di una noxa professionale.
La Corte di Appello ha ritenuto che l'utilizzo intenso del telefono cellulare abbia rappresentato, con un giudizio di elevata probabilità, fattore concausale del neurinoma dell'VIII nervo cranico denunciato dal lavoratore, considerato che gli studi scientifici hanno dimostrato che l'esposizione a campi elettromagnetici prodotti da telefoni cellulari utilizzati a lungo ha almeno un'efficacia sinergica con le patologie tumorali benigne, in assenza di prova che “un fattore estraneo all'attività lavorativa sia stato di per sé sufficiente a produrre la infermità” (Cass. 26 marzo 2015, n. 6105), avvalendosi dell'orientamento giurisprudenziale di legittimità oramai consolidato, in base al quale in tema di accertamento della sussistenza di una malattia professionale non tabellata e del relativo nesso di causalità, “la prova, gravante sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere ravvisata in presenza di un notevole grado di probabilità - il giudice può giungere al giudizio di ragionevole probabilità sulla base della consulenza tecnica d'ufficio che ritenga compatibile la malattia non tabellata con la "noxa" professionale” (Cass. 22 marzo 2022, n. 9342; Cass. 10 aprile 2018, n. 8773; Cass. 14 gennaio 2015, n.467; Cass. n. 17438/2012; Cass. n. 3227/2011; Cass. n. 15080/2009; Cass. n. 11128/2004; Cass. n. 5352/2002; Cass. n. 6434/1994).
Nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, quella riconducibile a fattori di rischio ubiquitari, ai quali si è esposti anche al di fuori del luogo di lavoro o a fattori genetici, “il nesso di causalità relativo all'origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione e, se questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie (essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell'eziologia), è necessario pur sempre che si tratti di "probabilità qualificata", da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come ad esempio i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale” (Cass. 3 dicembre 2021, n. 38377; Cass. 21 agosto 2020, n. 17576; Cass. n. 736/2018; Cass. n. 10097/2015; Cass. 26 luglio 2004, n. 14023).
Se i giudici di merito fanno corretta applicazione delle regole che governano sia la valutazione del nesso di causalità sia il ragionamento logico della “ragionevole probabilità scientifica”, la motivazione della sentenza difficilmente viene scalfita da eventuali critiche mosse con il ricorso per cassazione, restandone immune, esorbitando dal vaglio di legittimità l'esito del procedimento valutativo.