Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e reintegrazione in caso di violazione dell'obbligo di repêchage
26 Gennaio 2023
Massima
“Il testo dell'art. 18, comma 7 della legge n. 300/1970, quale risultante dagli interventi della Corte costituzionale n. 59/2021 e 125/2022, comporta che in ipotesi di insussistenza del fatto alla base del giustificato motivo oggettivo il giudice deve applicare la tutela di cui al comma 4 dell'art. 18, ossia la reintegrazione del lavoratore ed il pagamento di un'indennità definita dal comma medesimo.
Poiché nel fatto costitutivo del giustificato motivo oggettivo vi rientra anche il cd. repechage, la tutela reintegratoria trova applicazione anche in caso di mancata prova dello stesso. Prova da ritenersi integralmente in capo al datore di lavoro”. Il caso
Il caso di specie aveva ad oggetto l'accertamento dell'illegittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto per soppressione del posto di lavoro.
Nel corso del giudizio di merito veniva accertata la effettività della soppressione del posto di lavoro (segnatamente della mansione di caposquadra su un determinato cantiere).
Quanto al rispetto dell'obbligo di repechage, invece, la questione era più complessa.
Era emerso unicamente che la società datrice aveva proposto al lavoratore la modifica delle mansioni con passaggio dai compiti di caposquadra a quelli di autista di autospazzatrice, ovverosia una modifica implicante una variazione in peius; che il lavoratore non aveva accettato.
Nel corso del giudizio, però, la Società non aveva dimostrato l'impossibilità di una utile ricollocazione del lavoratore in altre mansioni, né il lavoratore aveva allegato altri luoghi o cantieri di pertinenza della Società cui potesse essere assegnato. La Corte d'Appello esaminava la vicenda premettendo che “la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento” di cui al co. 7 dell'art. 18 St. Lav. deve riguardare entrambi gli elementi costitutivi del motivo oggettivo: dunque sia la ragione economica addotta, sia il rispetto dell'obbligo di repechage.
Ciò premesso, la Corte riteneva che la ragione economica posta alla base del licenziamento, fosse da considerarsi sussistente, essendo risultata provata la soppressione del posto di lavoro. Diversamente, nella ricostruzione della Corte, il lavoratore, non avendo allegato l'esistenza di posizioni cui potesse essere reimpiegato, non aveva avuto quell'atteggiamento “collaborativo” richiesto in molteplici pronunce della Suprema Corte al fine di rendere “manifesta” l'esistenza di posizioni lavorative libere.
Dalla ritenuta non provata “manifesta” insussistenza del fatto, la Corte d'appello aveva fatto discendere l'applicabilità della sola tutela indennitaria. Le questioni
A seguito del deposito dell'impugnazione della pronuncia sopra esaminata, sono intervenute le note pronunce della Corte Costituzionale n. 59/2021 e n. 125/2022 che hanno decisamente modificato il perimetro della tutela reintegratoria nell'ambito dell'art. 18 St. Lav.
Investita della questione, la Corte di Cassazione ha dovuto rileggere l'intera questione alla luce del “nuovo” testo dell'art. 18 St. Lav. Soluzioni giuridiche
Come è noto, il Legislatore del 2012 aveva compiuto la precisa scelta di limitare il più possibile la reintegrazione nell'ambito dei licenziamenti per motivi economici.
Tale scelta legislativa era precisamente individuabile nel comma 7 dell'art. 18, laddove disponeva che il Giudice: “Può altresì applicare” la tutela reintegratoria “nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”.
Con due pronunce successive la Corte Costituzionale ha colpito il cuore di tale impianto, disponendo una notevole espansione della tutela reintegratoria.
Con la sentenza n. 59 del 2021 ha dichiarato l'illegittimità del comma 7 dell'art. 18 nella parte in cui prevede che il Giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per g.m.o. “può altresì applicare” invece che “applica altresì” la tutela reintegratoria.
Con la sentenza n. 125/2022 la Corte Costituzionale ha espunto la parola “manifesta” dal medesimo comma.
Come osserva riassuntivamente la Corte di Cassazione nella pronuncia il commento, l'esito di tali interventi manipolatori è dunque che oggi, il testo dell'art. 18, comma 7, “comporta che in ipotesi di insussistenza del fatto alla base del giustificato motivo oggettivo il Giudice deve applicare la tutela di cui al comma 4 dell'art. 18 quale risultante dalla novella della legge n. 92/2012 implicante la reintegra del lavoratore ed il pagamento di un'indennità risarcitoria nei limiti definiti dal comma medesimo”.
La verifica giudiziale deve avere dunque ad oggetto unicamente la sussistenza – o meno – del fatto.
Ebbene, osserva la S.C., il “fatto” alla base del giustificato motivo oggettivo è rappresentato tanto dalle ragioni inerenti all'attività produttiva quanto all'impossibilità di ricollocare il lavoratore.
Ed il datore di lavoro è onerato di dimostrare entrambi i presupposti legittimanti, compresa l'impossibilità di collocare altrove il lavoratore, senza che sia configurabile alcun onere di “collaborazione” del lavoratore stesso.
In base a tali considerazioni la S.C. censura la sentenza impugnata per non aver applicato la tutela reintegratoria. Osservazioni
Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione prende atto dell'espansione della tutela reintegratoria contenuta nell'art. 18 St. Lav. che, a seguito delle pronunce della Corte Costituzionale, torna a divenire la sanzione “comune” in materia di licenziamento economico. La tutela indenntiaria è oggi “relegata” alle ipotesi residuali in cui il licenziamento per g.m.o. sia stato attuato in violazione dei criteri di buona fede e correttezza.
Tale attuale assetto diverge profondamente da quello disposto dal Legislatore del 2012 e proseguito ancor più in maniera radicale nel 2015 con il d.lgs. n. 23/2015 (cd. contratto a tutele crescenti.
Come è noto, nell'ambito del contratto a tutele crescenti, la reintegrazione è del tutto esclusa nel caso di licenziamenti per motivi economici.
L'art. 3 del d.lgs. n. 23/2015, infatti, limita la reintegrazione all'ipotesi in cui sia dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento disciplinare e non di quello per g.m.o.
In dottrina ci si chiede se tale impostazione reggerebbe il confronto con la Corte Costituzionale. Alla luce dei recenti arresti parebbe potersi ritenere piuttosto scontato che la norma in questione potrebbe essere oggetto di censura costituzionale e che l'ambito della reintegrazione potrebbe espandersi anche nel d.lgs. n. 23/2015. Minimi riferimenti bibliografici
A. Boati, E. Licciardi, E. Lorusso, La Consulta si pronuncia sull'impugnazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (Corte Cost. n. 125/2022), in questo Portale.
S. Giubboni, Il ritorno della reintegrazione. Notarella polemica sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo dopo la sentenza n. 59/2021, in Giust. Cost., 2021, 799 ss.
G. Pacchiana Parravicini, Il fatto posto a fondamento del giustificato motivo oggettivo dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 125 del 19 maggio 2021, in Riv. It. Dir. Lav., 2022, II, 445 ss.
G. Pellacani, Licenziamento per motivi economici illegittimo, “manifesta insussistenza” e reintegrazione nell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori: il legislatore scrive “può” la Corte costituzionale sostituisce con “deve”, in WP C.S.D.L.E. “Massimo d'Antona”, n. 436/2021.
R. Pessi, Licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la Corte Costituzionale sceglie il “dovere”, in Giust. Cost., 2021, 791 ss.
C. Pisani, La riforma dei regimi sanzionatori del licenziamento per mano della Consulta, in Dir. Rel. Ind., 2021, 522 ss.
P. Tosi, E. Proietti, La facoltatività della reintegra tra disparità di trattamento ed eccesso di discrezionalità, in Riv. It. Dir. Lav., 2021, II, 495 ss. |