In un convegno tenutosi a Milano nel dicembre 2022 si è ritornati sull'argomento; l'incontro era dedicato all'istituto della rendita vitalizia, così come indicato dalla Suprema Corte quale strumento alternativo di liquidazione dei danni ai macrolesi (Cass. Civ. n. 31574/2022).
In occasione del congresso, ci si è soffermati anche sulla questione del danno patrimoniale da spese di assistenza e cura e,come in altre occasioni, è stata messa in luce l'evidenziata incongruenza del sistema risarcitorio italiano e, tra le righe, si è per l'ennesima volta suggerita la seguente spiegazione: nel nostro Paese i danni patrimoniali non vengono risarciti, perché le relative domande non vengono adeguatamente formulate dai legali dei danneggiati.
In sostanza, “cari avvocati, se non chiedete (o chiedete male), nulla verrà dato”.
Quale l'effettiva spiegazione di questa anomalia tutta italiana?
Riflettendo, crediamo di aver individuato l'errore di interpretazione dei dati da cui trae origine questo enorme fraintendimento, che determina conseguenze gravi, ingiuste e sottaciute.
Lo spunto ci è stato fornito dal caso della Signora D.D., 54 anni, invalida al 100% in conseguenza degli esiti iatrogeni di un intervento di tenorrafia alla spalla, eseguito in elezione in struttura privata.
D.D. risiede in Emilia-Romagna, regione in cui esiste un efficiente sistema pubblico (la rete GRA.CER. https://www.gracer.it/) espressamente dedicato ai “Pazienti con GCA tale da determinare una condizione di coma (GCS ≤ 8) e menomazioni che comportano disabilità grave”.
I servizi dispensati sono quelli di cui necessita “una persona affetta da grave cerebrolesione acquisita: ricovero ospedaliero per trattamenti rianimatori o neurochirurgici di durata variabile da alcuni giorni ad alcune settimane (fase acuta). Dopo questa fase, possono essere necessari interventi medico-riabilitativi di tipo intensivo, anch'essi da effettuare in regime di ricovero ospedaliero, che possono durare da alcune settimane ad alcuni mesi (fase riabilitativa). Nella maggior parte dei casi, dopo la fase di ospedalizzazione, permangono sequele che rendono necessari interventi di carattere sanitario e sociale a lungo termine, volti ad affrontare menomazioni e disabilità persistenti, e difficoltà di reinserimento famigliare, sociale, scolastico e lavorativo (fase degli esiti)”.
Un'assistenza ottimale, dunque, che non prevede alcun esborso da parte della Signora D.D. e della famiglia di appartenenza, in quanto il servizio risulta integralmente erogato dalla Regione.
In fase di liquidazione del sinistro, dunque, nel calcolo risarcitorio spettante alla danneggiata, la posta del danno patrimoniale per spese di assistenza e cura registrerà un saldo ZERO.
Ma questo non per imperizia del legale, tantomeno per l'assenza di costi di gestione della macrolesa; al contrario, ve ne sono e di ingentissimi, semplicemente vengono sostenuti dal servizio sanitario regionale (e, più in generale, dalla collettività).
Quel che vogliamo in questa sede evidenziare, dunque, è che l'assistenza del grande invalido in Italia ha le medesime caratteristiche e costi che nel resto d'Europa, con la differenza che il servizio pubblico sostiene i “costs of care” che, conseguentemente, non sono a carico del danneggiato; questi, a propria volta, non ha titolo per farne richiesta al danneggiante.
La domanda sorge dunque spontanea: ma se, come crediamo, la Pubblica Amministrazione non esercita abitualmente e con modalità organizzate la domanda di “rivalsa” nei confronti dei responsabili civili (altrimenti lo studio Swiss Re evidenzierebbe esborsi per le compagnie assicurative italiane in linea con quelle europee), ci troviamo forse innanzi ad un'enorme quota di danno (quello emergente) di cui assicurazioni e aziende sanitarie dovrebbero essere chiamate a rispondere, senza che lo siano?
Davvero, di fronte ad un danno mediamente quantificabile - in Europa - in 10/15 milioni (lo studio Swiss Re parla chiaro), in Italia i responsabili corrispondono una quota limitata al 25% del reale costo totale (3,5 milioni contro i 25 del Regno Unito, lo ricordiamo)?
La risposta è sì, sembra trattarsi di un incommensurabile danno erariale di cui nessuno pare tenere (voler tenere) conto.
Con il paradosso, oltretutto, che il gruppo ospedaliero privato Y, cui appartenga l'azienda sanitaria X che abbia responsabilità nella determinazione di gravi menomazioni, non solo potrebbe lucrare in termini di mancata liquidazione del danno da assistenza e cura (in forma di indebito risparmio), ma addirittura, ove il danneggiato fosse ricoverato per la necessaria assistenza presso altra propria struttura, avere un indotto in termini di prestazioni erogate in regime di convenzionamento col S.S.N..
La discrasia è clamorosa ed inaccettabile, soprattutto in una congiuntura economica nella quale ad una spesa sanitaria pubblica in continua contrazione, per far fronte a passività ormai insostenibili, fa da contraltare un panorama assicurativo privato sempre più florido: è un po' come se il ricco banchettasse tutti i giorni alla tavola del povero.