Patto commissorio: sindacato in sede di legittimità sugli indici rivelatori della fattispecie

27 Gennaio 2023

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, analizza una complessa fattispecie avente ad oggetto un'ipotesi di violazione del divieto di patto commissorio di cui all'art. 2744 c.c.
Le massime

L'anticresi è il contratto col quale il debitore o un terzo si obbliga a consegnare un immobile al creditore a garanzia del credito, affinché il creditore ne percepisca i frutti imputandoli agli interessi, se dovuti, e quindi al capitale, sicché non è configurabile tale figura contrattuale nell'ipotesi in cui non sia previsto che i frutti derivanti dal godimento del bene concorrano ad estinguere il debito.

Il divieto del patto commissorio non è configurabile qualora il trasferimento avvenga allo scopo di soddisfare un precedente credito rimasto insoluto. Va esclusa la violazione del divieto del patto commissorio quando manchi l'illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito che viene a contrarre; il divieto di tale patto non è applicabile allorquando la titolarità del bene passi all'acquirente con l'obbligo di ritrasferimento al venditore se costui provvederà all'esatto adempimento.

Il caso

La questione giuridica in esame trova traccia in un complesso accordo, sotteso ad una futura proposta di concordato fallimentare, per cui un creditore della società fallita, con scrittura privata, si impegnava nei confronti dei soci della medesima a presentare una proposta di concordato, con accollo generale dei debiti, acquisendo come contropartita l'attivo fallimentare della società e, segnatamente, il compendio fondiario, che rappresentava la parte principale dell'attivo immobiliare; tale operazione doveva realizzarsi attraverso il trasferimento delle quote della società fallita (e del diritto di usufrutto sul 50% del compendio immobiliare di proprietà di un socio) in favore dell'assuntore del fallimento, accompagnato dal diritto di opzione per i danti causa (o terzi ad essi vicini) per il riacquisto dei beni medesimi, entro una certa data dal decreto di verifica e chiusura del concordato. Veniva stabilito, infine, che il compendio immobiliare, medio tempore, sarebbe stato trasferito ad un custode fiduciario sino all'omologa del concordato.

Di tale scrittura privata (e dei successivi atti) veniva richiesta la declaratoria di nullità per violazione del divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c. da parte dei beneficiari dell'accollo, attesa la finalità di garanzia della medesima, ed in particolare in ragione dell'esistenza di un debito della società fallita nei confronti del futuro assuntore del fallimento, della sproporzione tra le reciproche obbligazioni e dell'approfittamento dello stato di bisogno del creditore medesimo.

La domanda veniva dapprima rigettata dal Giudice di prime cure e successivamente accolta dal Giudice di gravame, che qualificava come contratto di anticresi l'accordo concluso tra le parti del giudizio, in ragione del fatto che la finalità dell'operazione sarebbe stata volta a garantire il credito nei confronti della società fallita; in altre parole, la causa del contratto secondo la Corte di Appello era di garanzia e non di scambio, tale da integrare un patto commissorio, in quanto il trasferimento del bene sarebbe servito in via provvisoria a garantire l'adempimento del finanziamento.

Della questione veniva, infine, investita la Suprema Corte, richiesta così di pronunciarsi sul noto ed importante tema, dai confini sempre incerti, degli indici rilevatori della fattispecie del patto commissorio.

Da qui la Cassazione della sentenza di gravame, con rinvio della causa alla Corte d'appello, chiamata ad attenersi ai principi di diritto sopra richiamati nella massima.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il punto di partenza più risalente e significativo della giurisprudenza di legittimità in materia di violazione del patto commissorio è rappresentato da due sentenze delle Sezioni Unite della Suprema Corte, la n. 1611 del 3 aprile 1989 e la n. 1907 del 19 aprile 1989, intese a porre fine al contrasto giurisprudenziale in merito alle fattispecie di contratti di compravendita, aventi effetti traslativi immediati, cui si accompagnassero patti di riscatto, o di retrovendita, o che contenessero condizioni risolutive (come quello della sentenza qui in commento); fattispecie, quindi, distinte da quelle espressamente rientranti nella disposizione di cui all'art. 2744 c.c. (la quale, letteralmente, fa riferimento a cose sottoposte a pegno o ipoteca, e ad una vendita successiva all'eventuale inadempimento della parte debitrice), ma che, a determinate condizioni, potessero ottenere i medesimi effetti pratici.

Le SS.UU., con le pronunce richiamate statuivano, da un lato, che “il divieto del patto commissorio è diretto ad impedire al creditore l'esercizio di una coazione morale sul debitore, spesso spinto alla ricerca di un mutuo da ristrettezze finanziarie, con facoltà di far proprio il bene oggetto di pegno, ipoteca o dato in anticresi, attraverso un meccanismo che gli permetta di sottrarsi alla fondamentale regola della par condicio creditorum; e dunque, dall'altro lato, chiarivano che, anche nelle ipotesi in esame, “ben poco rileva che le parti sottopongano il trasferimento ad una condizione risolutiva, in quanto si realizza pur sempre un onere per il debitore, identico a quello che la legge vuole evitare, allorché detta il divieto del patto commissorio, con la conseguenza che le due situazioni impongono allo stesso modo l'intervento della tutela legislativa in favore del debitore privato della libertà di contrattare” (Cass. SS.UU. n. 1611 del 3 aprile 1989). In altre parole, secondo il Supremo Collegio, qualora la norma ex art. 2744 c.c. fosse interpretata in senso strettamente letterale, si verificherebbe un ingiustificato vantaggio in favore dei soli creditori pronti a farsi trasferire immediatamente la proprietà al solo scopo di garantire il proprio stesso credito, con il versamento del danaro che, lungi dal consistere nel pagamento del prezzo del bene compravenduto, concretizzasse, invece, l'esecuzione di un mutuo.

In questa ipotesi, pertanto, il fondamentale doppio scopo della norma, ovvero tutelare il debitore dalla coazione del creditore, e preservare la par condicio creditorum, sarebbe indubitabilmente frustrato.

La provvisorietà dell'effetto traslativo costituisce, dunque, in casi analoghi, il segno evidente della natura di garanzia di tale effetto traslativo medesimo, sicché, secondo la citata pronunzia delle SS.UU., “la vendita, in sé lecita e non puramente formale, costituisce un negozio-mezzo, perché tende ad eludere il contenuto di una norma ed assume la figura di un contratto in frode alla legge, con ogni relativa conseguenza”. Di qui il fondamentale insegnamento secondo cui, “lungi dal poter identificare in astratto una categoria di negozi soggetti alla nullità, perché contrastanti con il divieto di patto commissorio, e limitare ad essi l'efficacia di tale divieto, occorre riconoscere che qualsiasi negozio può incorrere nella sanzione di nullità, quale che ne sia il contenuto, nell'ipotesi in cui venga impiegato per conseguire i risultati sopra detti, vietati dall'ordinamento giuridico”.

Nello specifico caso in esame, la Suprema Corte decideva in relazione ad una compravendita di un immobile, con patto di riscatto in favore del debitore alienante, accompagnata da contestuale concessione in locazione dell'immobile medesimo dal creditore acquirente in favore del debitore alienante stesso.

Seguendo il solco delle citate S.S.U.U. del 1989, la giurisprudenza di legittimità, mantenendo il medesimo orientamento per diverso tempo, (ex plurimis, si citino Cass. nn. 1273/2005, 5438/2006, 2725/2007, 6769/2007, 437/2009, 5426/2010, 5740/2011), ha statuito la nullità di qualsiasi tipo di strumento negoziale, comunque concepito, la cui causa fosse illecita in quanto in contrasto con lo spirito della norma che vieta il patto commissorio. In relazione ai sintomi oggettivi che possano evidenziare, in concreto, l'esistenza di una fattispecie fraudolenta, la stessa giurisprudenza ha indicato “la presenza di una situazione credito-debitoria preesistente o contestuale alla vendita, la sproporzione tra entità del debito e valore del bene alienato in garanzia (…) costituente significativo segnale di una situazione di approfittamento della debolezza del debitore da parte del creditore” (Cass. civ. n. 10805 del 16 ottobre 1995).

Più segnatamente, la Suprema Corte ha chiarito che “in caso di operazione complessa, i singoli atti vengano valutati alla luce di un loro potenziale collegamento funzionale e che a tal fine venga apprezzata ogni circostanza di fatto relativa agli atti compiuti, e, non ultimo, il risultato concreto (la funzione) che, al di là delle clausole negoziali ambigue o non vincolanti, l'operazione nel suo complesso era idonea a produrre ed ha in concreto prodotto” (Cass. Civ. n. 5740 del 10 marzo 2011, che statuiva la violazione del divieto di patto commissorio in ordine ad una procura a vendere, conferita dal mutuatario al mutuante, contestualmente al contratto di mutuo, tra il quale e la detta procura esisteva, quindi, evidentemente, un nesso funzionale teso ad aggirare il divieto predetto). In particolare, persino laddove alcuni degli anzidetti elementi indicativi non ricorrano, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che sussiste l'illiceità dell'operazione negoziale quando vi sia “snaturamento della causa tipica del contratto di compravendita, essendosi alla funzione tipica di scambio sovrapposta, assumendo prevalenza, quella di garanzia dell'adempimento dell'obbligazione pecuniaria (…), indipendentemente dalla congruità o meno del prezzo del previsto trasferimento di proprietà” (Cass. civ. n. 437 del 12 gennaio 2009 resa in tema di anticresi).

In passato, quindi, la Suprema Corte stigmatizzava con la nullità qualsivoglia strumento pattizio che potesse perseguire il medesimo risultato vietato dall'ordinamento, sia in modo diretto che indiretto (ad esempio piegando lo schema causale della vendita con patto di riscatto a fini di garanzia anziché di scambio). Più di recente, invece, la Cassazione ha escluso la configurabilità del patto ove, dalla complessiva operazione negoziale, siano desumibili taluni indici, come la proporzione tra il valore del bene e quello del prezzo, il fatto che il venditore non rimanga nel godimento dell'immobile, la previsione dell'obbligo di trasferimento al medesimo prezzo pagato in origine etc.

Secondo il nuovo assetto giurisprudenziale deve essere, pertanto, esaminato l'assetto complessivo degli interessi delle parti, al fine di stabilire se il procedimento negoziale attraverso il quale venga compiuto il trasferimento di un bene dal debitore al creditore sia effettivamente collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia (Cass. Civ., Sez. II, 20 luglio 1999, n. 7740, Cass. Civ., Sez. III, 21 luglio 2004, n. 13580; Cass. Civ., Sez. II, 16 settembre 2004, n. 18655; Cass. Civ., Sez. II 8 febbraio 2007 n. 2725, e Cass. Civ. Sez. II, 20 giugno 2008, n. 16953). In altri termini, si deve prescindere dalla natura obbligatoria, o reale, del contratto, o dei contratti, che le parti pongono in essere, ovvero dal momento temporale in cui l'effetto traslativo sia destinato a verificarsi (sul punto, cfr. ad es. Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 11924 del 23 ottobre 1999, relativa ad una ipotesi in cui le parti avevano concluso un preliminare di compravendita non prevedente il passaggio immediato del possesso del bene promesso in vendita, proprio alla luce della funzione di garanzia, che la promessa di vendita assicurava, della restituzione, entro un certo termine, di una somma in precedenza o coevamente mutuata dal promissario acquirente; conf. Cass. Civ. Sez. II, n. 13598 del 12 ottobre 2000, Cass. Civ. Sez. II, Sentenza n. 4618 del 29 marzo 2001).

Con la sentenza in commento, i giudici della Corte hanno compiuto un decisivo ed ulteriore passo in avanti verso una interpretazione restrittiva del divieto di cui all'art. 2744 c.c.

In estrema sintesi, secondo la Suprema Corte, dunque, il giudice di merito, per poter stabilire se vi sia violazione del divieto di patto commissorio, deve valutare se la causa concreta del contratto – che può essere di scambio con profili di garanzia – sia meritevole di tutela e, per poter escludere tale violazione, deve tener conto dei seguenti elementi elaborati dalla giurisprudenza: preesistenza o contestualità del debito; assenza dell'illecita coercizione del debitore al trasferimento del bene; proporzione tra il valore del bene ed il prezzo; esclusione nel godimento del bene da parte del venditore; obbligo di ritrasferimento al medesimo prezzo originariamente pagato.

Sono questi, infatti, i principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione, con la sentenza in commento n, pronunciata in materia di divieto del patto commissorio, di cui all'art. 2744 c.c.

Disposizione, quest'ultima, che letteralmente prevede: "È nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell'ipoteca o del pegno".

La Corte, infatti, nel verificare la corretta applicazione degli artt. 1963 e 2744 c.c., ovvero la sussunzione dei fatti accertati dal giudice di merito nello schema del patto commissorio, secondo gli indici elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto opportuno richiamare gli elementi costitutivi del patto commissorio e il fondamento del suo divieto.

Nella corposa disamina, il Collegio di legittimità ha ricordato come, nel tempo, la portata dell'art. 2744 c.c. sia stata ampliata e sia stato sanzionato con la nullità qualsiasi strumento pattizio in grado di raggiungere il risultato vietato dall'ordinamento, sia in modo diretto che in forme elusive.

Per l'effetto, la Suprema Corte ha ricordato quella giurisprudenza che ha enucleato, ai fini dell'esclusione del patto commissorio, alcuni fattori, e, segnatamente: a) la preesistenza o la contestualità del debito; b) l'assenza dell'illecita coercizione del debitore al trasferimento del bene; c) la proporzione tra il valore del bene ed il prezzo; d) la circostanza che il venditore non rimanga nel godimento dell'immobile e l'obbligo di ritrasferimento al medesimo prezzo originariamente pagato.

Per la Cassazione, tali elementi, tuttavia, non devono necessariamente essere "compresenti" nell'ambito dell'operazione contrattuale, ma devono essere esaminati dal giudice di merito al fine di valutare se la causa concreta del contratto - che può essere di scambio con profili di garanzia - sia meritevole di tutela.

Su tali basi, nel caso di specie, veniva concluso che la Corte distrettuale aveva falsamente applicato l'art. 2744 c.c. senza procedere con la valutazione degli indici rivelatori dell'esistenza del patto commissorio; di qui la cassazione con rinvio della sentenza impugnata in sede di legittimità.

Osservazioni

Ad oggi non è dato stabilire quali possano essere i concreti sviluppi sul piano applicativo delle aperture giurisprudenziali (e dottrinali) sopra riferite.

L'unica nota certa è che esse forniscono una indicazione "forte" circa la inadeguatezza della tradizionale interpretazione e applicazione del divieto in esame, alla luce dei valori penetrati nei moderni sistemi di diritto positivo, e, segnatamente, della esigenza, sempre più sentita, di un giusto equilibrio, nella disciplina del rapporto obbligatorio, tra la posizione del creditore e quella del debitore.

Il divieto del patto commissorio viene pacificamente riconosciuto come una scelta legislativa di civiltà giuridica a tutela di plurimi interessi sottesi nelle operazioni economiche; tuttavia, l'importanza di agevolare le operazioni economiche deve essere bilanciata con l'esigenza di tutela nei confronti di qualsivoglia tipo di abuso o illecito idoneo a danneggiare le parti contraenti.

Tirando le fila dell'excursus compiuto, sembra si possa affermare che gli ultimi orientamenti giurisprudenziali hanno sostanzialmente confermato le linee di fondo seguite dai compilatori del codice del 1942: ovvero che se, da un lato, il patto commissorio rimane ancora oggi oggetto del divieto posto dalla disciplina materiale di cui agli artt. 2744 e 1963 c.c.; dall'altro, non sia possibile eccepire sic et simpliciter l'esistenza del divieto del patto commissorio, come se quest'ultimo di per sé fosse capace di creare un divieto assoluto di autotutela esecutiva.E ciò, come sopra evidenziato, in quanto negli ultimi anni l'orientamento della Cassazione sembra essere indirizzato alla progressiva erosione del perimetro applicativo dell'art. 2744 c.c.

Dall'andamento giurisprudenziale, seppur brevemente tratteggiato, nonché dalle recenti novelle legislative, è possibile cogliere un dato piuttosto chiaro: la progressiva erosione dei confini del patto commissorio, accompagnata da un numero sempre maggiore di eccezioni allo stesso previste dal legislatore (attuabili mediante i trasferimenti con funzione di garanzia); il che, di fatto, lascia spazio a nuove forme (seppur tipizzate) di autotutela ed offre, al contempo, possibili spunti di riflessione sul ruolo che essa ricopre nell'attuale sistema ordinamentale.

È innegabile che tale fenomeno sia ormai dilagante, forme di autotutela esecutiva (anche c.d. “atipiche”, come il sale and lease back) sono all'ordine del giorno e, conseguentemente, non risulta coerente ostacolare tale indirizzo sulla base di assunti eccessivamente datati ed anacronistici rispetto all'attuale evoluzione del mercato e dei traffici giuridici.

Un atteggiamento aprioristicamente restrittivo verso l'autotutela, oltre ad essere eccessivamente timoroso, rischia di non cogliere il continuo ed inesorabile mutamento del tessuto socio-economico, il quale determina un continuo ed inevitabile mutamento del diritto stesso, attesa l'esigenza di autotutelarsi, nel rispetto dei limiti ordinamentali, da parte dei privati, non solo a causa delle lungaggini processuali ma anche perché il sistema delle garanzie reali ha pesantemente accusato la sua rigidità e si è rivelato incapace di seguire il mutamento dei tempi.

A ciò aggiungasi che le novità introdotte dai più recenti orientamenti giurisprudenziali risultano in linea anche con le modifiche che il PNRR(Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) apporterà al processo civile di qui a breve. Quest'ultimo, infatti, riapre, seppur in modo enigmatico, il tema dell'autotutela, giacché non solo incentiva gli strumenti di risoluzione delle controversie alternative al processo ovvero gli ADR (Alternative Dispute Resolution), ma pare abbia introdotto una vera e propria forma di autotutela nel processo, la c.d. vente privée, la quale legittima la vendita del compendio pignorato al di fuori, non già del processo esecutivo (dato che la normativa coinvolge non solo il giudice dell'esecuzione, ed eventualmente un professionista da lui delegato, ma tutte le parti del procedimento) ma al di fuori, seppur parzialmente, del subprocedimento di venditaex artt. 569 ss. c.p.c.

In estrema sintesi, pare chiara l'idea del legislatore, il quale, allo scopo di snellire la complessa macchina giudiziaria, punta su forme di risoluzione extragiudiziali delle controversie confermando, di fatto, che il processo non è e non può essere l'unico strumento posto a presidio dei consociati per tutelare i propri interessi; e ciò potrebbe tradursi, fuori e dentro le aule dei Tribunali, in sempre nuove forme di trasferimenti con funzione di garanzia in limine con il patto commissorio.

Guida all'approfondimento

Sugli approfondimenti del tema si rimanda a due autori e due opere di segno opposto. Il primo, maggiormente incline all'applicazione estensiva dell'istituto è C. M. BIANCA, Il divieto del Patto commissorio, Napoli, 2013; di segno opposto invece F. GIGLIOTTI, Patto commissorio autonomo e libertà dei contraenti, Napoli, 1997. Ed ancora sul tema V. ANDRIOLI, Divieto del patto commissorio, artt. 2740-2899, in Comm. c.c., diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1954, 54ss.; A. LUMINOSO, La vendita con patto di riscatto, in Il Codice Civile. Commentario diretto da Schlesinger, VII, Milano, 1987, 239; G. AMATO, Ancora sul patto commissorio e sulla vendita a scopo di garanzia, in Giust. civ., I, 1989, 1899; F. CARNELUTI, Note sul patto commissorio, in Riv. dir. Comm., II, 1916, 887 ss.; MARICONDA, Trasferimenti commissori e principio di causalità, in Foro it., 1,1989, 1437; I. BRUGGI, sv. Patto commissorio, in Enc. Treccani, Roma, 1990; L. BARBIERA, Responsabilità patrimoniale, in Comm. cod. civ. Schlesinger, sub art. 2744, Milano, 1991, 205; F. DI PAOLO, Patto commissorio, in Dig. disc. priv. – Sez. civ., XIII, Torino, 1995, 309; E. GIACOBBE, Patto commissorio, alienazioni in garanzia, vendita con patto di riscatto e frode alla legge: variazioni sul tema, in Giust. civ., I, 1997, 2534 ss.; V. ROPPO, Il divieto del patto commissorio, in Trattato dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, 1997, 560 ss.

Sulla rilevanza dello scopo del negozio, cfr. V. ROPPO, Causa concreta: una storia di successo? in Riv. dir. civ., 2013, 957 ss. In particolare, l'autore analizza svariate sentenze evidenziando le ipotesi in cui il concetto di “causa concreta” è stato opportunamente evocato dalla giurisprudenza.

Ed ancora, la migliore dottrina riconosce l'esistenza di una generale idiosincrasia avverso tutte quelle forme di autotutela diverse dai tipi legalmente autorizzati e, in particolare, all'assoggettamento convenzionale del debitore al potere del creditore di conseguire direttamente con la propria azione il bene dovuto, senza ricorrere agli organi giurisdizionali. Tuttavia, la stessa dottrina, non solo ha riconosciuto che "l'autotutela esecutiva consensuale è ufficialmente ammessa dal nostro ordinamento soltanto nelle forme della compensazione volontaria, della cessione dei beni e dell'anticresi" ma ha ammesso la possibilità̀ di un'interpretazione estensiva delle (seppur eccezionali) ipotesi in cui all'interessato è consentito provvedere direttamente alla propria difesa, in virtù̀ delle esigenze connesse alla progressiva evoluzione dei rapporti sociali (...), così G. Bongiorno, L'autotutela esecutiva, Milano, 1984.

In tema di ambito applicativo del patto commissorio cfr. Cass. civ., 26 gennaio 1980, n. 642; Cass. civ., 14 aprile 1981, n. 2245: “il divieto di patto commissorio di cui all'art. 2744 c.c. è applicabile alle fattispecie di trasferimento della proprietà del bene sospensivamente condizionato all'inadempimento del debitore;” Cass. Civ., 3 giugno 1983, n. 3800; Cass. Civ., SS. UU., 3 aprile 1989, n. 1611; Cass. Civ., SS. UU., 21 aprile 1989, n. 1907; Cass. civ., 12 gennaio 2009, n. 437; Cass. civ., 10 marzo 2011, n. 5740; Cass. civ., 3 febbraio 2012, n. 1675: il divieto di patto commissorio deve ritenersi operante non solo in caso di vendita sospensivamente condizionata all'inadempimento ma in ogni caso in cui, attraverso l'alienazione, i contraenti vogliano perseguire una funzione di garanzia collegando il trasferimento definitivo della proprietà del bene alle vicende dell'obbligazione, senza che in merito possa rilevare né il nomen iuris utilizzato né il momento in cui si dispiega l'effetto reale; Cass. Civ., 26 febbraio 2018, n. 4514: La vendita con patto di riscatto o di retrovendita, stipulata fra il debitore ed il creditore, la quale risponda all'intento delle parti di costituire una garanzia, con l'attribuzione irrevocabile del bene al creditore solo in caso di inadempienza del debitore, è nulla anche quando implichi un trasferimento effettivo della proprietà (con condizione risolutiva), atteso che, pur non integrando direttamente il patto commissorio, previsto e vietato dall'art. 2744 c.c., configura mezzo per eludere tale norma imperativa, e, quindi, esprime una causa illecita, che rende applicabile la sanzione dell'art. 1344 c.c.

In tema di ratio del divieto di patto commissorio ex plurimus, Cass. civ., 3 febbraio 2012, n. 1675: “la ratio del divieto di cui all'art. 2744 c.c. si fonda sulla tutela del debitore da illecite coercizioni del creditore e contestualmente sulla garanzia della par condicio creditorum; Cass. civ., 28 gennaio 2015, n. 1625: “la ratio del divieto di cui all'art. 2744 c.c. si fonda sull'esigenza di evitare che il creditore, approfittando della posizione di debolezza del debitore, acquisisca un valore superiore a quello del credito garantito” . Ed ancora, cfr. Cass. Civ. 17 giugno 2022, n. 19694, con nota di. A. Busani, Concesse più chance al patto commissorio, in Sole 24 Ore, 2022, 26.

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