Il regime di immediata esecutività della sentenza tributaria caduca anche la riscossione dei tributi doganali
27 Gennaio 2023
Il caso. Due società impugnavano alcuni estratti di ruolo riportanti pretese per tributi doganali sostenendone l'illegittimità in quanto gli avvisi di rettifica sottesi ai provvedimenti opposti erano stati tutti integralmente annullati dal giudice tributario. Con il ricorso, veniva eccepita la violazione da parte dell'Ufficio degli artt. 1 e 68 del rito tributario (d.lgs. n. 546/1992) evidenziando l'immediata esecutività provvisoria della sentenza di primo grado che, nel caso specifico, aveva annullato gli atti impositivi. Veniva, inoltre, eccepita la violazione dei principi di effettività e di equivalenza della tutela giurisdizionale rilevando come, anche in materia doganale, sia inibita all'Amministrazione la possibilità di intraprendere azioni esecutive in presenza di sentenza favorevole al contribuente. L'Ufficio ribadiva in giudizio la legittimità del proprio operato e della riscossione attivata in pendenza di giudizio in quanto le sentenze citate e favorevoli alle società ricorrenti non erano ancora passate in giudicato.
In relazione ai tributi doganali, precisava l'Amministrazione, la disciplina processual-tributaria della riscossione frazionata (art. 68, comma 3-bis, d.lgs. n. 546/92) dispone che il pagamento, in pendenza di processo, delle risorse proprie UE e dell'Iva riscossa all'importazione, resta disciplinata dal Reg. (CEE) 2913/92 (CDC) e dalle altre disposizioni dell'Unione Europea in materia; in particolare, il combinato disposto dagli artt. 199 e 244 del Codice Doganale Comunitario (CDC) prevede che: "la garanzia non può essere svincolata finché l'obbligazione doganale per la quale è stata costituita non si è estinta o non può più sorgere". In sostanza, secondo l'Ufficio, per quanto riguarda i tributi doganali, compresa l'Iva all'importazione, le norme unionali prevalgono e derogano l'art. 68 d.lgs. n. 546/92, non consentendo di procedere alla sospensione della riscossione o alla restituzione di somme eventualmente versate ovvero di procedere allo svincolo delle garanzie prestate. Tutto ciò ovviamente se non sussistano le condizioni previste dal predetto art. 244 CDC ovvero finché la sentenza del giudice tributario, ove favorevole al contribuente, non passi in giudicato ed esplichi pienamente i propri effetti. I giudici di primo grado accoglievano il ricorso ritenendo infondata la tesi di parte pubblica per un duplice profilo:
La conferma in appello. La Corte di secondo grado ha parimenti ritenuto che, in considerazione delle sentenze di primo grado di integrale annullamento, nessun versamento o garanzia potesse essere pretesa dall'Ufficio né tantomeno potevano essere intraprese azioni di esecuzione forzata dei crediti annullati. Come riconosciuto dai primi giudici, la Corte afferma che alle sentenze tributarie di primo grado si applica (in forza del rinvio operato dall'art. 1, d.lgs. 546/1992 alle norme del codice di procedura civile) la norma di cui all'art. 282 c.p.c., secondo cui “la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti”.
Il principio dell'automatica e immediata esecutività provvisoria della sentenza di primo grado, chiosa il Collegio, rappresenta uno dei cardini fondamentali del contenzioso tributario, in quanto previsto dalla legge delega di riforma del processo tributario (art. 30, lett. l), l. 413 del 1991). Tale essenziale principio comporta che, ove sia stata emessa una sentenza di primo (o secondo grado) di integrale annullamento, ancorché non definitiva, l'atto annullato è privato di ogni effetto giuridico, di guisa che lo stesso è del tutto inidoneo a fondare azioni esecutive da parte del Fisco. Sul punto viene richiamata dai giudici la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione la quale ha rimarcato il principio di immediata esecutività delle sentenze tributarie, anche in relazione ai tributi doganali, riconoscendo che la pronuncia di annullamento dell'atto impositivo “fa venir meno, indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, il titolo sul quale si fonda la pretesa tributaria, privandola del supporto dell'atto amministrativo che la legittima ed escludendo quindi che essa possa formare ulteriormente oggetto di alcuna forma di riscossione provvisoria” (Cass., sez. V, 17 marzo 2020, n. 7346, all. 5; conformemente, Cass., sez. VI-5, 19 ottobre 2021, n. 28955; Cass., sez. V, 15 ottobre 2020, n. 22360; Cass, SS.UU., 13 gennaio 2017, n. 758, all. 6; Cass., sez V, 12 novembre 2012, n. 24092; Cass., sez. V, 27 luglio 9 2012, n. 13445). Questa conclusione discende, da un lato, “dal riconoscimento della efficacia immediata delle sentenze delle commissioni tributarie concernenti atti impositivi”, fondato, oltre che sull'art. 68 cit., sul generale rinvio alle norme del codice di procedura (art. 282 c.p.c.) e, dall'altro, dalle caratteristiche del processo tributario “annoverabile non tra quelli di «impugnazione-annullamento» bensì tra quelli di «impugnazione - merito», in quanto è diretto non alla mera eliminazione dell'atto impugnato, ma, estendendosi al rapporto d'imposta, alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione del contribuente sia dell'accertamento dell'amministrazione” (Cass., SS. UU., 13 gennaio 2017, n. 758, all. 6, cit.).
La Corte di Cassazione, con specifico riferimento a casi in cui la disciplina istitutiva del tributo non preveda – come per i dazi doganali – la riscossione frazionata di cui all'art. 68, d.lgs. 546/1992, ha chiarito che “in tema di riscossione dei tributi, l'iscrizione a ruolo e la cartella di pagamento divengono illegittime a seguito della sentenza che, accogliendo il ricorso proposto dal contribuente, annulla l'atto impositivo da esse presupposto, poiché tale pronuncia fa venir meno, indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, il titolo sul quale si fonda la pretesa tributaria, privandola del supporto dell'atto amministrativo che la legittima ed escludendo quindi che essa possa formare ulteriormente oggetto di alcuna forma di riscossione provvisoria (Sez. 5, Ordinanza n. 13445 del 27/07/2012). Le Sezioni Unite della S.C., ponendo fine ad un contrasto al suo interno, hanno statuito (in una fattispecie in linea di principio sovrapponibile) che l'iscrizione nei ruoli straordinari dell'intero importo delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, risultante dall'avviso di accertamento non definitivo, prevista, in caso di fondato pericolo per la riscossione, dal d.P.R. n. 602/1973, art. 11 e art. 15-bis, costituisce misura cautelare posta a garanzia del credito erariale, la cui legittimità dipende pur sempre da quella dell'atto impositivo presupposto, che ne è il titolo fondante, sicché, qualora intervenga una sentenza del giudice tributario, anche non passata in giudicato, che annulla in tutto o in parte tale atto, l'ente impositore, così come il giudice dinanzi al quale sia stata impugnata la relativa cartella di pagamento, ha l'obbligo di agire in conformità della statuizione giudiziale, sia ove l'iscrizione non sia stata ancora effettuata, sia, se già effettuata, adottando i consequenziali provvedimenti di sgravio, o eventualmente di rimborso dell'eccedenza versata (Sez. UU., Sentenza n. 758 del 13 gennaio 2017).
Più in generale, l'accertamento emesso a tutela di un credito tributario diviene illegittimo a seguito della sentenza che, accogliendo il ricorso proposto dal contribuente, annulla l'atto impositivo: tale sentenza, infatti, fa venir meno, indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, il titolo sul quale si fonda la pretesa tributaria, privandola del supporto dell'atto amministrativo che la legittima, ed escludendo quindi che essa possa formare ulteriormente oggetto di alcuna forma di riscossione provvisoria” (Cass., sez. V, 15 gennaio 2019, n. 740, all. 13, ricorso, in tal senso, Cass., sez. trib., 10 luglio 2008, n. 19078; Cass., sez. trib., 22 settembre 2006, n. 20526). Qualsiasi azione esecutiva, conseguentemente, non può che essere dichiarata radicalmente illegittima per insussistenza del titolo esecutivo, come chiaramente rimarcato dalla giurisprudenza unanime, a mente della quale “l'accertamento emesso a tutela di un credito tributario diviene illegittimo a seguito della sentenza che, accogliendo il ricorso proposto dal contribuente, …tale sentenza, infatti, fa venir meno, indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, il titolo sul quale si fonda la pretesa tributaria, privandola del supporto dell'atto amministrativo che la legittima, ed escludendo quindi che essa possa formare ulteriormente oggetto di alcuna forma di riscossione provvisoria (Cass., sez. V, 27 luglio 2012, n. 13445). Negare ogni efficacia alle sentenze favorevoli al contribuente, conclude la Corte, significherebbe, di fatto, reintrodurre nel nostro ordinamento la clausola del “solve et repete”, più volte ritenuta illegittima dalla Corte Costituzionale, la quale ha chiarito che l'imposizione del pagamento del tributo, nonostante l'accertamento giudiziale dell'illegittimità dello stesso, viola i principi di uguaglianza e di diritto di difesa, di cui agli articoli 3, 24 e 113 della Costituzione (Corte Cost., 31 marzo 1961, n. 21).
Va, in ultimo, rilevato che nel corso del giudizio d'appello la stessa Amministrazione finanziaria ha chiesto alla Corte di dichiarare la cessata materia del contendere in virtù della risposta ad un parere richiesto e ottenuto dall'Avvocatura Generale dello Stato sulla riscossione coattiva di Risorse Proprie in pendenza di pronuncia sfavorevole all'Ufficio sull'atto impositivo e non ancora passata in giudicato, questione notoriamente controversa e che ha dato adito a diverse pronunce giurisprudenziali nel corso degli anni: parere risultato in linea con i principi espressi dalla giurisprudenza in commento e da quella (prevalente) di legittimità. |