Le partecipazioni a tempo e auto-estinguibili nelle società di capitali

Guido Fuccillo
01 Febbraio 2023

La prassi notarile si è recentemente pronunciata sulla possibilità per le società di capitali di configurare partecipazioni societarie a “scadenza anticipata”, cioè partecipazioni “a tempo” o “auto-estinguibili” al verificarsi di una condizione non meramente potestativa. Con il presente contributo, dunque, verranno esaminate le peculiarità di tali partecipazioni, soffermandosi maggiormente sulla loro funzione economica. In un successivo contributo, di prossima pubblicazione, si passerà ad esaminare le modalità di liquidazione e sulla compatibilità o meno con il divieto di patto leonino.
Le partecipazioni “auto-estinguibili” nella nuova prassi societaria

I mercati richiedono schemi societari duttili e conformabili alle esigenze degli investitori anche per mantenere alto il livello di competitività delle imprese.

A tale essenziale esigenza si è cercato di rispondere attraverso la costruzione di protocolli negoziali e statutari che, in qualche misura, fornissero una risposta efficace a nuove forme di investimenti in partecipazioni nelle società di capitali. L'apertura verso un minore dirigismo normativo del diritto societario a seguito sia della riforma del 2003, sia dei successivi interventi legislativi, ha favorito lo sviluppo nella prassi di variegati schemi partecipativi, molti dei quali volti a favorire gli investimenti nel capitale di rischio di una società di capitali al fine di ampliare i canali di finanziamento messi a disposizione di un'impresa.

A tale fine, la dottrina ha messo in evidenza alcune tecniche di investimento “temporaneo” all'interno delle società di capitali. È stato infatti affermato che, alla luce dell'attuale disciplina, può costituire oggetto di diritti incorporabili in categorie di azioni, tra gli altri, non solo il potere di riscatto da parte della società ai sensi dell'art. 2437-sexies c.c. (azioni riscattabili/callable redeemable shares), ma anche il diritto al riscatto del socio verso la società (azioni riscattande/puttable redeemable shares).

Le azioni o quote oggetto del presente lavoro hanno in comune con le azioni riscattabili e riscattande l'anticipazione del realizzo dell'investimento rispetto a quello programmato sull'intera durata della società, ma presentano, al contrario, una caratteristica indubbiamente singolare: tali partecipazioni, infatti, come si approfondirà meglio nei paragrafi successivi, si estinguono automaticamente senza che altri soggetti manifestino una specifica volontà.

Volendo fare un parallelismo con la fattispecie del riscatto, è come se queste partecipazioni si “auto-riscattassero” al decorrere del termine o al verificarsi della condizione prevista dallo statuto. A differenza di quanto avviene nel recesso e nel riscatto, il socio “temporaneo” tuttavia non è titolare di un diritto potestativo capace di modificare la posizione giuridica propria e altrui senza il consenso di quest'ultimo.

Tali forme di partecipazione, dunque, eliminano ab origine l'elemento di discrezionalità nell'esercitare o meno un diritto, che è invece tipico delle fattispecie di disinvestimento già previste dal legislatore.

La delicata funzione notarile nella “omologazione” degli atti costitutivi e modificativi delle società di capitali ha quindi dovuto affrontare tale complessa tematica, assumendo la responsabilità di confrontarsi con essa.

L'assenza di una giurisprudenza sul tema che ci occupa e le timide aperture della dottrina rendono centrali le massime di alcuni Distretti notarili sul tema delle partecipazioni a scadenza anticipata, cioè “a termine” e “auto-estinguibili”.

Per evidenti ragioni sistematiche occorre riportarle per intero, data la loro indubbia rilevanza:

Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia, Prato, Massima 66: Le partecipazioni sociali a tempo

“1. È legittimo emettere partecipazioni a tempo, soggette a termine finale di durata, siano esse rappresentate o meno da azioni.

2. Il valore di liquidazione delle partecipazioni è liberamente determinabile, poiché non sussistono nella fattispecie né le ragioni di tutela del socio ricorrenti qualora si verifichino cause legali di recesso, né quelle invocate in caso di esclusione dalla compagine sociale per volontà altrui (azioni riscattabili, esclusione, drag along).”

Consiglio Notarile di Milano, Massima 190: azioni e quote “auto-estinguibili”

“Sono legittime le clausole statutarie di S.p.a. e S.r.l. che prevedono l'automatica estinzione di azioni o quote al decorso di un termine o al verificarsi di una condizione non meramente potestativa – ivi compreso il conseguimento di un ammontare complessivo di utili calcolati nel corso del tempo, a decorrere da un determinato momento – anche senza alcun diritto di liquidazione a favore del titolare delle azioni o quote medesime.

Se si tratta di azioni senza indicazione del valore nominale o di quote di S.r.l., e non viene previsto alcun diritto di liquidazione a favore del loro titolare, l'estinzione delle azioni o quote avviene automaticamente, senza limite alcuno e senza modificazione dell'ammontare del capitale sociale (fatta salva la modificazione statutaria concernente il numero delle azioni in circolazione, che dà luogo all'obbligo di deposito dello statuto sociale aggiornato, ai sensi dell'art. 2346, comma 6, c.c., a cura degli amministratori).

Se si tratta di azioni con indicazione del valore nominale, l'estinzione delle azioni comporta o la riduzione del capitale sociale, subordinatamente al rispetto dell'art. 2445 c.c., o l'incremento del valore nominale di tutte le altre azioni, con gli eventuali arrotondamenti ove necessari.

Se l'estinzione delle azioni o quote dà luogo a un diritto di liquidazione in denaro o in natura a favore dei rispettivi titolari, l'esecuzione della liquidazione è subordinata al rispetto delle norme che disciplinano le distribuzioni ai soci, in dipendenza della natura e della composizione delle voci del patrimonio netto della società”.

Le partecipazioni “a tempo” e “auto-estinguibili” nelle società a partecipazione mista pubblico – privata

I recenti orientamenti notarili sopra riportati hanno riconosciuto la legittimità per una società di capitali di creare partecipazioni sia “a tempo”, cioè destinate a cessare una volta decorso il termine di durata, sia “auto-estinguibili” al verificarsi di una condizione non meramente potestativa. Conferendo la “patente di legittimità” a tali partecipazioni temporanee, si ottiene il risultato di attribuire all'investimento di capitale una peculiare caratteristica degli investimenti di debito: il recupero del controvalore economico della partecipazione ottenuta con il conferimento effettuato in origine dal socio beneficiario della stessa. Mediante una tecnica del genere si consente, infatti, ad un terzo (spesso un soggetto finanziatore) di investire nel capitale di rischio e di ottenere lo smobilizzo dell'investimento originario al decorrere del termine o al verificarsi della condizione non meramente potestativa previsti dallo statuto.

A sostegno dell'ammissibilità di partecipazioni “a tempo” e “auto-estinguibili”, è stato richiamato l'art. 17, comma 3, D.Lgs. n. 175/2016 (T.U.S.P.P.) in materia di società a partecipazione mista (pubblico – privata), il quale esplicitamente afferma che: “la durata della partecipazione privata alla società, aggiudicata ai sensi del primo comma del presente articolo, non può essere superiore alla durata dell'appalto o della concessione. Lo statuto prevede meccanismi idonei a determinare lo scioglimento del rapporto societario in caso di risoluzione del contratto di servizio”.

Tale norma, assieme ai commi quarto e quinto del medesimo articolo, ha in primis la finalità di disciplinare i profili strictu sensu societari delle società “miste”, e in secundis, prevedendo espressamente una deroga ai principi societari di diritto comune, di consentire alla società di usufruire di meccanismi idonei a regolare al meglio l'exit del socio privato in caso di risoluzione del contratto di servizio sottostante. La norma pare, in realtà, aver accolto alcuni orientamenti già estrinsecati anni prima dalla dottrina, che aveva per l'appunto manifestato l'esigenza di dettare sul piano sociale o parasociale una particolare regolamentazione dei rapporti tra socio pubblico e privato, data l'inidoneità del contratto di servizio a regolare al meglio alcuni aspetti inerenti alla gestione della società e all'esercizio dell'impresa comune. Il modello di partenariato pubblico – privato, infatti, esaltando il ruolo meramente tecnico del socio privato, dovrebbe invitare a predisporre all'interno della società un modello di governance ispirato a una netta ripartizione di competenze e responsabilità, lasciando al socio pubblico un ruolo di indirizzo e controllo interno sull'operazione.

Dal punto di vista normativo, l'indicazione della durata ha costituito da sempre uno degli elementi del contratto di società (art. 2295, n. 9 c.c.), al punto che, nel caso in cui questa non fosse indicata, la società si considererebbe costituita a tempo indeterminato. L'art. 2328, n. 13 c.c. prevede inoltre che l'atto costitutivo debba stabilire la durata della società quale requisito ai fini dell'iscrizione nel registro delle imprese. Da tale combinato disposto si evince, quindi, che la durata della società è sempre stata predicata solo rispetto all'organizzazione comune quale misura dell'investimento collettivo.

La prima parte del terzo comma dell'art. 17, invece, sembra imporre la durata come elemento essenziale della singola partecipazione del soggetto privato, al fine di impedire una prosecuzione del rapporto sociale tra quest'ultimo ed il socio pubblico oltre il dovuto, essendo la partecipazione sociale strettamente finalizzata alla realizzazione dell'opera o del servizio oggetto dell'appalto o della concessione. Ne consegue che la partecipazione privata alla società dipende dall'efficacia del contratto di servizio (e dunque dal rapporto di appalto o concessione) e che pertanto dovrà cessare sia in caso di cessazione di quest'ultimo per scadenza del relativo termine, sia in caso di risoluzione anticipata per cause diverse dalla scadenza del termine.

La seconda parte della norma, correlativamente, precisa che lo statuto possa individuare “meccanismi idonei” (senza individuarli espressamente) a determinare lo scioglimento del rapporto societario in caso di risoluzione del contratto di servizio. Tali meccanismi, che troveranno applicazione in qualsiasi ipotesi di cessazione del rapporto di appalto o di concessione, sono stati individuati da una parte della dottrina non solo in tutti quegli istituti (riscatto delle azioni/quote, esclusione del socio), già conosciuti alle società di diritto comune, idonei a determinare l'espulsione del socio privato dalla società a partecipazione mista, ma anche proprio nelle partecipazioni temporanee. Si è affermato, infatti, che una delle modalità con le quali lo statuto può conformarsi alla regola di cui all'art. 17, comma 3, “è quella di prevedere o azioni o quote riscattabili per decisione unilaterale del socio pubblico oppure partecipazioni ‘a tempo', destinate cioè a estinguersi in esito allo scioglimento o conclusione dell'appalto o alla scadenza della concessione, anche in virtù di esclusione automatica” (F.Guerrera).

Le partecipazioni “a tempo” e “auto-estinguibili” quali espressione dell'autonomia statutaria

Dopo aver descritto l'ipotesi “legale” prevista dal D.Lgs. n. 175/2016 per le società a partecipazione “mista” (pubblico-privata), occorre interrogarsi su come tali partecipazioni temporanee possano essere validamente riconosciute all'interno dell'ordinamento societario previsto dal Codice civile.

I Consigli Notarili di Firenze e Milano, mediante le massime supra esposte, ritengono che anche nelle società di “diritto comune” sia legittimo creare partecipazioni a termine finale di durata e auto-estinguibili al verificarsi di condizioni non meramente potestative, sulla base di una serie di argomenti che verranno esposti in tale paragrafo e in quelli successivi.

Nel diritto societario vigente, innanzitutto, non pare esserci un principio di perpetuità delle partecipazioni che vieti di emettere azioni o quote a carattere strutturalmente temporaneo. Il nostro ordinamento, al contrario, permette in alcuni casi all'autonomia statutaria di rendere potenzialmente temporanea la partecipazione sociale di singoli soci o di parte di essi. Se la società è costituita a tempo indeterminato, ad esempio, e le azioni non sono quotate in un mercato regolamentato, il socio può esercitare legittimamente il diritto di recesso con un preavviso di almeno 180 giorni, elevabile fino ad un anno (art. 2437, comma 3 c.c.; art. 2473, comma 2, c.c.). Il legislatore della riforma, inoltre, non ha previsto che le cause di recesso debbano essere tassative. Al contrario, l'art. 2437, comma 4, c.c. prevede che lo statuto delle società c.d. “chiuse” può prevedere ulteriori cause di recesso proprio al fine di consentire ad uno o più soci di disinvestire al verificarsi delle condizioni previste. A testimonianza della apertura, o quantomeno, della non chiusura del nostro ordinamento nei confronti delle partecipazioni destinate ad avere una durata temporanea all'interno della società, è bene ricordare alcune fattispecie come le azioni riscattabili, le azioni “riscattande” ed il recesso convenzionale. Come si è esaminato precedentemente, dunque, con la riforma del 2003 il legislatore ha previsto all'art. 2437-sexies c.c. le azioni riscattabili, intese quali partecipazioni “ad tempus”, caratterizzate da un affievolimento del rapporto associativo e da un'accentuazione di quello di credito, e che attribuiscono dunque un vero e proprio diritto al riscatto come diritto allo smobilizzo del finanziamento effettuato in favore della società. Mediante tali azioni la società stessa o alcuni soci potrebbero riscattare e, di conseguenza, far cessare anticipatamente la partecipazione di un socio, sulla base di una propria decisione discrezionale. In altri casi, al contrario, è consentito che il disinvestimento della partecipazione sociale dipenda da una decisione discrezionale del socio stesso, come nel caso in cui lo statuto preveda, ai sensi dell'art. 2437, comma 3, c.c., ulteriori cause di recesso rispetto a quelle già previste dalla legge e come nel caso delle azioni riscattande, le quali vengono oramai ammesse dalla dottrina maggioritaria.

La possibilità di configurare azioni temporanee è altresì comprovata dall'ammissibilità, sostenuta da una parte della dottrina, di prevedere nello statuto clausole di riscatto automatico, a scadenze determinate o al verificarsi di determinati eventi, al ricorrere dei quali si determina ipso iure il trasferimento delle partecipazioni a favore di soggetti determinati. Clausole strutturate in tale modo si distinguerebbero dalla clausola “a tempo” solamente per il fatto di individuare ex ante il soggetto che, alla scadenza del termine, dovrà riscattare e quindi liquidare la partecipazione. La presenza di clausole statutarie di riscatto o di recesso convenzionale, in altre parole, dà luogo ad una ipotesi in cui la partecipazione sociale viene convenzionalmente considerata come temporanea e dunque testimoniano come la perpetuità della partecipazione sociale non sia un tratto tipologico necessario delle società di capitali.

I dati normativi e gli orientamenti interpretativi sopra richiamati, pertanto, non rendono più revocabile in dubbio la compatibilità dell'investimento a tempo con la fattispecie societaria, ed una chiusura dell'ordinamento rispetto alle partecipazioni in oggetto sarebbe senza dubbio illogica in quanto, come è stato sostenuto, “se la legge consente espressamente che il socio possa fuoriuscire dalla compagine sociale in virtù di una decisione discrezionale di terzi (la società o gli atri soci) o in virtù di una decisione discrezionale del socio medesimo, non si vede perché l'exit del socio non possa predeterminarsi in anticipo con riferimento ad un futuro evento certo o incerto, eliminando in toto la discrezionalità delle parti e prevedendo, quindi, che, al ricorrere di tale evento, l'espulsione del socio debba conseguire inevitabilmente, senza che, a tal fine, si renda necessaria alcuna ulteriore manifestazione di volontà di una delle parti” (D. Corsico).

Non pare impossibile, quindi, configurare partecipazioni che impongano e, al tempo stesso, garantiscano il disinvestimento inteso come diritto patrimoniale diverso e incorporabile nell' azione/quota, in grado di dare vita ad una categoria di azioni speciali (o ad una categoria di quote nelle S.r.l-PMI). La previsione di un'estinzione automatica, agendo sul fattore tempo dell'investimento, consente l'anticipazione del realizzo dell'investimento medesimo rispetto a quello programmato sull'intera durata della società ed a differenza delle fattispecie delle azioni riscattabili e delle azioni che incorporano un diritto di recesso ad nutum, l'oggettività del fatto che determina l'effetto risolutorio della partecipazione priva entrambe le parti della discrezionalità nel decidere se e quando esercitare il diritto e, di conseguenza, elimina l'incertezza che grava inevitabilmente su una delle due parti.

La funzione economica

Dal punto di vista prettamente economico, l'emissione di partecipazioni “a tempo” e “auto-estinguibili” risponde, in primis, all'esigenza, sempre più avvertita nel mondo degli affari, di consentire alle società di capitali di raccogliere capitale di rischio per il tempo strettamente necessario a finanziare la fase di start-up di un'impresa, prevedendo allo stesso tempo un diritto di exit al socio investitore al decorrere del termine o al verificarsi della condizione prevista dallo statuto. Gli scenari operativi di questo strumento sono, dunque, davvero ampi. Tali partecipazioni costituiscono, infatti, un validissimo strumento che permette alle società di prevedere l'ingresso di investitori e consentono, al tempo stesso, sia un rafforzamento finanziario e patrimoniale della società, sia una permanenza temporanea degli investitori all'interno della compagine sociale, prevedendo, ad esempio, l'exit dalla società al verificarsi di certe condizioni legate al relativo andamento economico, come potrebbe essere l'ottenimento di un determinato importo di utili. Secondo un orientamento notarile (Milano n.189), potrebbero prevedersi, per l'appunto, clausole secondo cui la durata della partecipazione sia legata al raggiungimento di un “tetto massimo” di utili, pur senza mantenere alcun ulteriore diritto patrimoniale a favore delle azioni o quote ad esse assoggettate, come nel caso in cui venga prevista, quale conseguenza del raggiungimento della soglia massima degli utili distribuiti, anche l'automatica estinzione delle stesse azioni o quote. In questo caso si tratterebbe di vere e proprie partecipazioni “auto-estinguibili”, specialmente laddove si prevedesse espressamente anche la possibilità che sia negato, al verificarsi dell'estinzione delle partecipazioni, il diritto a ricevere qualsiasi valore di liquidazione.

Partecipazioni “a tempo” ed “auto-estinguibili” offrono, inoltre, alle start-up innovative e alle PMI la possibilità di gestire al meglio in via statutaria i rapporti con gli investitori, senza ricorrere necessariamente ad accordi posti a latere del contratto sociale. In particolare, tali partecipazioni potrebbero trovare una grande diffusione in operazioni di finanziamento partecipativo attraverso piattaforme online, come, ad esempio, nell'equity based crowdfunding. Quest'ultimo consiste nell'incontro, tramite un gestore di portali, tra una società organizzata in forma di start up innovativa o PMI, e la “folla”, che, in cambio del contributo prestato alla società offerente per la realizzazione di un progetto, riceve da quest'ultima strumenti finanziari rappresentativi del suo capitale. La società offerente potrebbe dunque offrire, tramite aumento oneroso del capitale sociale, partecipazioni temporanee agli investitori, limitate cioè o ad un determinato periodo temporale o al verificarsi di determinate condizioni. La temporaneità della partecipazione consente all'investitore di essere certo che il suo investimento originario sarà smobilizzato al decorrere del termine o della condizione prevista dallo statuto, con conseguente eliminazione del rischio che l'inesistenza di un mercato secondario delle partecipazioni si traduca nell'impossibilità di monetizzare quanto conferito in sede di sottoscrizione, dato che la nuova disciplina in materia di equity crowfunding non prevede una exit strategy per chi abbia investito.

Le partecipazioni in imprese innovative, infatti, non sono negoziabili su mercati organizzati per il periodo in cui la società può essere considerata una start-up innovativa (art. 25, comma 2 del “Decreto crescita bis”), e pertanto non sono facilmente liquidabili, con il conseguente rischio per l'investitore di restare “prigioniero” dell'investimento. Le partecipazioni temporanee andrebbero proprio ad eliminare ab origine la “illiquidità” di tali strumenti finanziari data dall'insussistenza, in un primo periodo, di un mercato secondario organizzato sul quale è possibile effettuare gli scambi una volta che gli strumenti sono stati sottoscritti.

Il socio investitore, dunque, potrebbe ricevere il controvalore economico di quanto conferito senza sperare in una possibile quotazione in borsa della società (cosa che permetterebbe di negoziare il titolo su un mercato regolamentato). In questo caso, le partecipazioni potrebbero essere collocate con un significativo profitto a vantaggio dell'investitore che abbia creduto nell'iniziativa, e ciò implicherebbe anche un'imponente crescita della società, cosa tutt'altro che scontata e pronosticabile.

La temporaneità della partecipazione è, inoltre, potenzialmente idonea a soddisfare anche gli interessi dei soci fondatori del “business originario”. Questi ultimi infatti se, da un lato, sono attratti dalla possibilità che il terzo investitore inietti nuova ricchezza in società (imputando il proprio conferimento a capitale), dall'altro, una volta che l'attività sia efficacemente avviata, potrebbero avere interesse al mantenimento della compagine sociale tra i soli soci originari, con la certezza che, decorso il termine o verificatasi la condizione prevista dagli stessi soci originari nell'atto costitutivo o nello statuto, il terzo investitore sia espunto dalla compagine sociale stessa e, conseguentemente, liquidato.

L'ammissibilità della fattispecie può condurre, inoltre, anche a soluzioni finanziarie atipiche ed innovative per il diritto societario: oltre ad una liquidazione mediante monetizzazione della partecipazione, si potrebbe immaginare infatti l'emissione di azioni convertibili o in obbligazioni alla scadenza convenuta, o in strumenti finanziari con diritto di rimborso.

Le partecipazioni temporanee (soprattutto quelle “auto-estinguibili”) potrebbero trovare, infine, utilizzo anche nelle operazioni di ristrutturazione di società in crisi. Tali partecipazioni, infatti, potrebbero porre gli amministratori della società al riparo da contestazioni di reati fallimentari, quale, ad esempio, il ricorso abusivo al credito. Nonostante quest'ultima nozione vada interpretata in senso estensivo come qualsiasi operazione di dare correlata ad una restituzione, in tale fattispecie, diversamente, il conferimento effettuato dal socio temporaneo è a titolo di capitale di rischio e, pertanto, non suscettibile di essere qualificato come un prestito o finanziamento.

La temporaneità e l'“autoestinguibilità” quale “diritto diverso” oggetto di una categoria azionaria

Dopo aver trattato della ammissibilità e della funzione economica delle partecipazioni sociali “a tempo” ed “auto-estinguibili”, appare necessario capire in che modo queste ultime possano essere introdotte, con le necessarie differenze di disciplina, all'interno di una società di capitali. Per quanto concerne la S.p.a., si deve ritenere che la caratteristica della temporaneità dia luogo ad una categoria di azioni, essendo idonea quest'ultima ad essere compresa nella nozione, latamente intesa, di “diritti diversi” ex art. 2348, comma 2, c.c.

Come sostenuto dai notai fiorentini, la temporaneità “può non connotare tutte le partecipazioni sociali, poiché altro non sarebbe che il termine finale di durata della società, ma solo alcune di esse: ne consegue che nella S.p.a. dette partecipazioni costituiscono di necessità una categoria, con ogni conseguente effetto organizzativo, e quindi con le tutele che la legge (e segnatamente l'art. 2376 c.c.) appresta in tal caso sul piano dei rapporti fra azionisti di diverse categorie”. Tali partecipazioni potranno dunque essere attribuite ad alcuni soci sia in sede di costituzione della società, sia posteriormente a seguito di una modificazione dello statuto, prevedendo appositamente l'inserimento di una clausola che delinei le caratteristiche e la disciplina di tali azioni speciali. A questo punto l'assemblea straordinaria potrebbe deliberare o l'emissione di nuove azioni appartenenti a tale categoria mediante un aumento oneroso del capitale sociale o la conversione di azioni ordinarie in azioni temporanee.

È utile ricordare che la delibera con cui si prevede la conversione delle partecipazioni ordinarie di alcuni o tutti i soci in azioni temporanee è adottabile a maggioranza allorquando sia concesso a tutti gli azionisti il diritto di convertire le proprie azioni in azioni di categoria (c.d. conversione “volontaria”). Nel diverso caso in cui invece la delibera imponga a taluni o a tutti i soci la conversione delle proprie partecipazioni, questa può essere ritenuta valida solamente a condizione che i soci che subiscono la conversione manifestino espressamente il loro consenso. Ciò è fondamentale, in quanto la delibera che impone la conversione determina la temporaneità della partecipazione, e dunque incide negativamente sul diritto individuale dell'azionista al mantenimento della qualità di socio (c.d. conversione “forzata”). Deve ritenersi, inoltre, legittima la “conversione forzata” delle azioni di ordinarie e/o di categoria in azioni di altra categoria, a condizione che la deliberazione adottata dall'assemblea straordinaria, in assenza del consenso unanime dei soci, rispetti il principio di parità di trattamento, se del caso applicato nella misura attenuata di cui all'art. 2376 c.c..

La temporaneità e l'“autoestinguibilità" quale “diritto diverso” oggetto di una categoria di quote e quale diritto particolare del socio

Per quanto concerne le modalità di introduzione delle partecipazioni “a tempo” e “auto-estinguibili” all'interno di una S.r.l., occorre differenziare il caso in cui la società sia qualificabile in termini di PMI dal caso in cui non abbia invece i requisiti necessari per rientrare in tale tipologia.

- Nel primo caso, la temporaneità dovrebbe preferibilmente prevedersi sotto forma di categoria di quote; il legislatore, infatti, con una serie di interventi legislativi, ha in parte riscritto la disciplina delle S.r.l., concedendo loro una serie di opportunità previste originariamente solo per le S.p.a. In tale ottica è stata estesa anche alla S.r.l-PMI (e dunque alla maggioranza delle S.r.l) la possibilità di emettere categorie di quote fornite di “diritti diversi”, e dunque le considerazioni esposte nel capitolo precedente valgono anche per tale tipologia di S.r.l..

- Nel secondo caso, invece, in presenza di una S.r.l. non avente i requisiti necessari al fine di essere qualificabile come PMI, ci si interroga se sia consentito prevedere la temporaneità della partecipazione sotto forma di “diritto particolare”, ai sensi dell'art. 2468, 3 comma, c.c. Ripercorrendo quanto detto in precedenza, al quesito non può che darsi risposta affermativa: occorre infatti aderire all'orientamento della dottrina maggioritaria, secondo il quale i particolari diritti che l'atto costitutivo di una S.r.l. può attribuire ai singoli soci, ex art. 2468, comma 3, c.c., possono avere ad oggetto anche materie non strettamente inerenti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili, le quali sembrerebbero essere state previste dal legislatore a titolo esemplificativo. Si deve ritenere concessa all'autonomia negoziale la facoltà di determinare liberamente il contenuto delle partecipazioni sociali, nei limiti imposti dalla legge.

Ricorrendo in tal caso all'istituto dei diritti particolari, la temporaneità sarebbe connessa alla persona del socio, ed in caso di alienazione della quota, qualora non fosse disposto altrimenti in statuto, il diritto particolare consistente nella temporaneità sarebbe destinato ad estinguersi (cosa che non accade, invece, nelle categorie di quote, il cui diritto è connesso alla quota di partecipazione, e non alla persona del socio, e dunque circola liberamente insieme a questa).

L'art 2468, 3 comma, c.c. prefigura, infatti, l'esistenza di una correlazione necessaria tra la persona del socio (un determinato socio, in considerazione della sua identità e delle sue caratteristiche personali) e il contenuto del diritto che a lui viene assegnato. Nel caso in cui si volesse trasferire la propria partecipazione “a tempo” o “auto-estinguibile” ad un terzo (senza che quest'ultima perda la caratteristica della temporaneità), occorrerebbe prevedere espressamente che il diritto particolare si trasferisca in capo all'acquirente, in modo da evitare che il diritto stesso si estingua in caso di alienazione della quota.

Il termine e la condizione

Come si è precedentemente analizzato, le partecipazioni a scadenza anticipata si caratterizzano per estinguersi automaticamente al decorrere di un termine o al verificarsi di una condizione non meramente potestativa prevista dallo statuto.

Nel caso in cui si preveda un termine di durata di tali partecipazioni, è, in primis, necessario che l'evento sia collocato nel futuro e, in secundis, che sia certo il suo verificarsi. Non è illegittimo, inoltre, non indicare il quando si verificherà l'evento, e, dunque, è lecito prevedere sia un termine certus an e certus quando, come, ad esempio, una data precisa (la partecipazione si estinguerà il primo gennaio 2024), sia un termine certus an e incertus quando, cioè nel caso in cui il momento di verificazione sia sconosciuto al momento dell'introduzione della clausola (la partecipazione si estinguerà il giorno in cui morirà il socio che è titolare della partecipazione interessata).

È possibile, inoltre, che il termine sia determinabile per relationem, ipotesi che viene contemplata nel sopracitato art. 17, comma 3, d.lgs. 175/2016.

Si potrebbe prevedere per l'appunto che la partecipazione si estingua, ad esempio, il giorno in cui scada un contratto di consulenza stipulato tra socio titolare della partecipazione e la società.

Per quanto concerne la condizione, la massima n. 190 del Consiglio Notarile di Milano prevede esplicitamente che questa debba essere non meramente potestativa. Non è considerata ammissibile, pertanto, una condizione che si verifica in dipendenza dal puro arbitrio di una delle parti. È lecito, al contrario, prevedere l'automatica estinzione della partecipazione al verificarsi di un evento futuro ed incerto che non dipenda, cioè, dalla mera volontà del socio o della società, come potrebbe essere, ad esempio, il conseguimento da parte della società di un determinato ammontare di utili o il raggiungimento di una soglia minima di ricavi annui.

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