Il complessivo tenore delle considerazioni fin qui svolte induce ulteriormente a chiedersi se si può ritenere formato un giudicato implicito sulla validità del contratto quando tale profilo non sia stato rilevato d'ufficio dal giudice né abbia costituito oggetto di contestazione.
Sono numerose le fattispecie concrete in cui tale interrogativo ha ricadute applicative dirimenti. Si pensi all'illegittima capitallizzazione degli interessi introdotta per la prima volta in appello o alla stessa possibilità o meno di rilevarla d'ufficio in sede di gravame. Si tratta di profili rilevabili d'ufficio, anche in sede di gravame, quando il cliente abbia contestato la pretesa dovuta a titolo di interessi, sebbene sulla base di motivi diversi (Cass. civ. 1 marzo 2007, n. 4853 «nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da una banca nei confronti di un correntista, la nullità della clausola del contratto di conto corrente bancario che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente sul saldo passivo, in quanto stipulata in violazione dell'art. 1283 c.c., è rilevabile d'ufficio, ai sensi dell'art. 1421 c.c., anche in sede di gravame, qualora vi sia contestazione, ancorchè per ragioni diverse, sul titolo posto a fondamento della domanda degli interessi anatocistici, rientrando nei compiti del giudice l'indagine in ordine alla sussistenza delle condizioni dell'azione; in tale giudizio, infatti, il creditore assume la veste sostanziale di attore, sicché, laddove l'opponente abbia contestato l'ammontare degli interessi dovuti, il giudice, nel determinare tali interessi, dovendo utilizzare il titolo contrattuale posto a fondamento della pretesa, è tenuto a rilevare d'ufficio la nullità dalla quale il negozio sia affetto», Cass. civ. 11 novembre 2011, n. 23656 «Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo relativo al pagamento degli interessi dovuti dal cliente sul saldo passivo del conto corrente, qualora l'opponente, nel contestarne la debenza, si limiti a dedurre la mera erroneità dei calcoli effettuati dalla banca, il giudice non può rilevare d'ufficio la nullità della clausola anatocistica, né tale questione può essere introdotta dalla parte in sede di gravame»).
In una recente decisione la Corte di legittimità ha avuto modo di ribadire tali principi. Nel caso di specie il cliente in appello aveva censurato la nullità della clausola degli interessi, per violazione dell'art. 117 TUB in quanto l'istituto di credito aveva pubblicizzato interessi inferiori rispetto a quelli effettivamente applicati. La Corte d'Appello, tuttavia, aveva ritenuto la domanda come non proposta, in quanto non «supportata da alcuna, financo telegrafica, argomentazione», ma, al contempo, ha anche preso atto che la questione (se non al punto da integrare domanda vera e propria) fosse emersa agli atti, in quanto nelle conclusioni dell'atto di citazione, in via subordinata, era stato chiesto che si accertasse la violazione dell'art. 117 TUB, per violazione delle regole di trasparenza bancaria.
Approdata in Cassazione la fattispecie ha consentito alla Corte di ribadire la rilevabilità d'ufficio della nullità posta a protezione del contraente («il potere di rilievo officioso della nullità del contratto spetti anche al giudice investito del gravame relativo a una controversia sul riconoscimento di pretesa, che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione (e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, né le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia), trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda e, in quanto tale, integrante un'eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio anche in appello, ex art. 345 c.p.c.», Cass. civ. 13 maggio 2021, n. 12964).
Altra fattispecie di frequente ricorrenza casistica è poi la nullità delle fideiussioni per violazione dell'art. 2, comma 2, lett. a, della L. n. 287 del 1990.
Nel caso deciso dalla Corte di legittimità (Cass. civ. 19 febbraio 2010, n. 4175) un istituto di credito aveva esercitato l'azione revocatoria nei confronti di alcuni fideiussori e questi ultimi avevano eccepito, solo davanti alla S.C., la nullità della garanzia da loro prestata perché conforme ad uno schema contrattuale elaborato dall'ABI, in tema di clausole da apporre alle fideiussioni, dichiarato illegittimo dall'Autorità competente in quanto conseguente ad un'intesa fra imprese restrittiva della concorrenza. La Corte ha così puntualizzato che «La nullità della fideiussione posta a fondamento dell'azione revocatoria è rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità, ma non può essere accertata sulla base di una "nuda" eccezione, sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione, basata su contestazioni in fatto in precedenza mai effettuate, a fronte della quale l'intimato sarebbe costretto a subire il "vulnus" delle maturate preclusioni processuali».
Pur nella premessa secondo cui eventuali profili di nullità non contestati tempestivamente nel corso del giudizio di primo grado, possono essere rilevati per la prima volta in sede di gravame, ciò non può consentire, tuttavia, di introdurre circostanze di fatto nuove in appello. E, pertanto. «le questioni di nullità, pur rilevabili d'ufficio, debbono emergere dalle circostanze di fatto già delineate tempestivamente nell'ambito del giudizio di primo grado, con la conseguenza che la possibilità di sollevare per la prima volta in appello questioni di nullità correlate a singole clausole negoziali, eventualmente coinvolgenti l'intero rapporto o la pattuizione specifica, potrebbe sussistere solo quando dette clausole abbiano quantomeno formato, in fatto, oggetto di contestazione nel giudizio di primo grado - reiterata nel rispetto dell'art. 342 c.p.c. in sede di appello - in ordine alla sussistenza dei presupposti applicativi».