Nascita indesiderata: omessa diagnosi medica e danni risarcibili
03 Febbraio 2023
Durante una gravidanza, la madre si sottopone ai controlli ecografici del caso, ma i medici una grave malformazione del feto.
Tribunale e Corte di Appello rigettavano le domande risarcitorie dei genitori, sia pure per motivazioni diverse. Il Giudice del gravame, in particolare, aveva ritenuto che era onere probatorio dell'ASL provare di aver fatto il possibile per adempiere alla prestazione, anche se la percezione diagnostica era del 50% (sia perché mancavano le registrazioni degli esami, sia perché non nera stata provata l'informativa della possibilità di rivolgersi a strutture di più elevata specializzazione, in modo che l'omessa informativa aveva ingenerato la convinzione della sufficienza delle indagini di primo livello effettuate).
Le questioni poste all'attenzione della Suprema Corte sono essenzialmente due:
La questione più interessante è la seconda, perché la prima, nel caso concreto, ruotava attorno alla rilevanza della mancata contestazione da parte dei convenuti della circostanza della presupposta volontà di abortire della donna se informata. Dunque una questione sull'applicazione dell'art. 115 c.p.c., risolto negativamente dalla Cassazione, perché fatto secondario.
La domanda di risarcimento danni da omessa diagnosi della malformazione del feto è limitata ai danni da nascita indesiderata o si estende anche ai danni da mancata informazione? L'omessa diagnosi ha inciso sul diritto all'autodeterminazione, causando un danno psichico ai genitori e alla vita relazionale, diverso ed ulteriore rispetto al danno da impedimento dell'interruzione della gravidanza. La Suprema Corte accoglie la censura. In termini generali, costituisce principio consolidato che la violazione, da parte del medico del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: a) un danno alla salute, quando sia ragionevole ritenere che il paziente, sul quale grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all'intervento; b) un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione, predicabile se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subìto un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale, in tale ultimo caso di apprezzabile gravità, diverso dalla lesione del diritto alla salute (Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28985; Id., 23 marzo 2018, n. 7248; Id., 30 settembre 2014, n. 20547).
Il paziente ha la legittima pretesa di conoscere con la necessaria e ragionevole precisione le conseguenze dell'intervento medico, onde prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza, anche in conformità alla Costituzione che sancisce il rispetto della persona umana in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralità della sua essenza psicofisica, in considerazione del fascio di convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive. Ad una corretta e compiuta informazione consegue: a. il diritto, per il paziente, di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento medico; b. la facoltà di acquisire, se del caso, ulteriori pareri di altri sanitari; c. la facoltà di scelta di rivolgersi ad altro sanitario e ad altra struttura, che offrano maggiori e migliori garanzie (in termini percentuali) del risultato sperato, eventualmente anche in relazione alle conseguenze post-operatorie; d. il diritto di rifiutare l'intervento o la terapia - e/o di decidere consapevolmente di interromperla; e. la facoltà di predisporsi ad affrontare consapevolmente le conseguenze dell'intervento, ove queste risultino, sul piano postoperatorio e riabilitativo, particolarmente gravose e foriere di sofferenze prevedibili (per il medico) quanto inaspettate (per il paziente) a causa dell'omessa informazione.
Il danno da lesione dell'autodeterminazione è riconosciuto autonomo rispetto al danno biologico con riferimento alla fattispecie di omessa diagnosi tempestiva di patologie con esito nefasto. Infatti, la Cassazione ricorda che in caso di colpevoli ritardi nella diagnosi di patologie ad esito infausto, l'area dei danni risarcibili non si esaurisce nel pregiudizio recato alla integrità fisica del paziente, ma include il danno da perdita di un "ventaglio" di opzioni, con le quali affrontare la prospettiva della fine ormai prossima, ovvero non solo l'eventuale scelta di procedere (in tempi più celeri possibili) all'attivazione di una strategia terapeutica, o la determinazione per la possibile ricerca di alternative d'indole meramente palliativa, ma anche la stessa decisione di vivere le ultime fasi della propria vita nella cosciente e consapevole accettazione della sofferenza e del dolore fisico (senza ricorrere all'ausilio di alcun intervento medico) in attesa della fine, giacché, tutte queste scelte appartengono, ciascuna con il proprio valore e la propria dignità, al novero delle alternative esistenziali (Cass. civ., sez. III, 17 novembre 2021, n. 34813; Id., 15 aprile 2019, n. 10424; Id. 23 marzo 2018, n. 7260).
La Suprema Corte applica i medesimi principi al caso di omessa diagnosi di malformazione del feto. Dunque i danni risarcibili consistono:
Così, in termini generali, in tema di responsabilità del medico chirurgo la valutazione della diligenza nell'adempimento della prestazione professionale deve essere operata assumendo a parametro non la condotta del buon padre di famiglia, ma quella del debitore qualificato, ai sensi dell'art. 1176, comma 2 c.c. (Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2018, n. 30999; Id., 1° febbraio 2011, n. 2334).
Il sanitario che riscontri una normalità morfologica del feto anche sulla base di esami strumentali, i quali tuttavia non ne consentano la visualizzazione nella sua interezza, ha l'obbligo, secondo un'adeguata valutazione della diligenza richiestagli, d'informare la paziente della possibilità di ricorrere ad un centro di più elevato livello di specializzazione, nella prospettiva della determinazione della gestante ad interrompere la gravidanza, ricorrendone i presupposti (Cass. civ., sez. III, 26 novembre 2019, n. 30727; Id., 8 marzo 2016, n. 4540; Id., 27 novembre 2015, n. 24220; Id., 13 luglio 2011, n. 15386).
Al riguardo giova ricordare che prova presuntiva non significa prova automatica o in re ipsa, ma onere di allegare tutti gli elementi seri, preciso e concordanti volti a dimostrare in concreto la lesione del diritto all'autodeterminazione, con questo riagganciandoci alla prima questione sottoposta, relativa all'onere della prova e al principio di non contestazione. La prova che a una corretta diagnosi di malformazioni fetali avrebbe fatto séguito l'interruzione volontaria della gravidanza, necessaria all'accoglimento della pretesa risarcitoria della madre per nascita indesiderata di un figlio menomato, è raggiungibile in via presuntiva. Per giudicare dell'assolvimento del relativo onere deve procedersi, in base ai fatti di causa, a una valutazione quantitativa di probabilità (Cass. civ., sez. III, 25 giugno 2019, n. 16892).
In tema di omessa informazione medica sulla sussistenza delle condizioni che legittimano l'interruzione volontaria della gravidanza ex art. 6 l. n. 194 del 1978, la madre è onerata della prova controfattuale della volontà abortiva, ma può assolvere il relativo onere mediante presunzioni semplici, ad esempio anche attraverso circostanze contingenti, eventualmente anche atipiche - emergenti dai dati istruttori raccolti: quali, ad esempio, il ricorso al consulto medico proprio per conoscere le condizioni di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante, eventualmente verificabili tramite consulenza tecnica d'ufficio, pregresse manifestazioni di pensiero, in ipotesi, sintomatiche di una propensione all'opzione abortiva in caso di grave malformazione del feto, ecc.. (si veda Cass. civ., Sez. Un., 22 dicembre 2015, n. 25767).
(Fonte: Diritto e Giustizia) |