E' la terminologia utilizzata dalla Corte per qualificare la mediazione che risulta nella sentenza in commento “equivoca” laddove si fa riferimento ad una condizione mancante la quale il processo non “può avere inizio”. La differenza tra i due istituti – improcedibilità e improponibilità - è stata bene enucleata dalle Sezioni Unite – sentenza n. 8241 del 28.4.2020 – sia pure con riferimento esplicito al previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall'art. 1 della l. n. 249/1997 in materia di telecomunicazioni.
Le Sezioni Unite, nel dissentire sulla ricostruzione delle conseguenze derivanti dall'omesso esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione proposta dall'ordinanza interlocutoria in termini di condizioni di proponibilità piuttosto che di condizione di procedibilità della domanda, ha enunciato dei principi ripetibili in tema di mediazione.
Anche nel d.lgs. n.28/2010 compaiono più volte termini che fanno riferimento alla "proposizione" dell'atto introduttivo unitamente all'esplicita indicazione (art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/2010 nella formulazione in vigore sino al 28.2.23) della mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale (formula riprodotta pedissequamente nel nuovo art.5 comma 2, come risultante dal d.lgs. n.149/2022).
Tale “incertezza terminologica” come l'hanno definita le sezioni unite e che si riscontra, appunto, anche nella disciplina degli istituti della mediazione e conciliazione “consiglia un approccio ermeneutico che tenga conto dell'uso talvolta solo descrittivo delle categorie della improcedibilità e della improponibilità da parte del legislatore, a fronte del quale però, ben diverse e di diversa gravità sono le conseguenze associate all'una o all'altra qualificazione: nel caso dell'improponibilità; nel caso della improcedibilità”.
Nel caso della mediazione, l'istituto va inquadrato nella improcedibilità – come in materia di telecomunicazioni del resto - avendo il legislatore concepito un meccanismo che prevede la sospensione del processo e, poi, la sua ripresa e, quindi, la possibilità di superare l'ostacolo dando luogo all'attività prevista dalla legge, proseguendo, in caso di esito negativo, il giudizio già intrapreso. Quindi: “un arresto momentaneo del giudizio, rilevabile dalle parti e anche dal giudice ma non oltre la prima udienza, nel caso della improcedibilità, ed atto a non precludere lo svolgimento del giudizio, in quanto al giudice è dato fissare un termine per l'espletamento del tentativo e alle parti è data la possibilità di proseguire il giudizio se il tentativo stesso si riveli infruttuoso” ben diverso dalla improponibilità che produce, invece, “un vizio insanabile, rilevabile in ogni stato e grado del processo, tale da costituire una soluzione drastica, in considerazione degli interessi sostanziali in gioco”.
Per la mediazione non poteva che essere così avendo la Corte Costituzionale segnalato più volte la necessità di privilegiare una ricostruzione in termini di improcedibilità piuttosto che di improponibilità della domanda (C. cost., sentt. n. 93/1979, n. 82/1992, n. 276/2000 e n. 403/2007) evidenziando che la previsione di procedure obbligatorie di conciliazione andava messa in relazione con l'interesse generale al soddisfacimento più immediato delle situazioni sostanziali, che poteva passare attraverso la composizione preventiva della lite, a condizione di non precludere o rendere eccessivamente oneroso o difficoltoso l'accesso alla tutela giurisdizionale per la parte che non fosse appagata della composizione preventiva, circondando di cautele le ipotesi di c.d. giurisdizione condizionata.
Inoltre, solo una ricostruzione in termini di improcedibilità non rischiava di collidere con il principio di effettività della tutela giurisdizionale (fissato dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea), al cui rispetto il Giudice dell'Unione Europea ha più volte richiamato il giudice italiano (vedi Ric. 2016 n. 00402 sez. SU - ud. 14-01-2020 -16- ad es. in materia di telecomunicazioni oltre alla sentenza della Corte di Giustizia, del 14 giugno 2017 Menini e a., nella causa C-75/16, punto 52, che, oltre a ribadire i limiti entro i quali sia compatibile con il diritto europeo una normativa nazionale che introduca passaggi intermedi all'accesso alla giurisdizione, presuppone che il tentativo obbligatorio di conciliazione, compatibile entro quei limiti, sia strutturato in termini di condizione di procedibilità).
Conseguentemente, sarebbe a forte rischio di contrasto con la matrice volontaria della procedura alternativa di soluzione della lite, nel senso indicato, cui ogni ordinamento europeo deve ispirarsi, una qualificazione (svincolata come si è detto dal dato testuale e non indotta da alcun altro criterio interpretativo) del tentativo di conciliazione in termini di condizione di proponibilità.
Così ricostruita la mediazione, nel caso di rilievo del suo mancato previo esperimento il giudizio non si chiude con una pronuncia in rito, ma il giudice deve sospendere il processo e fissare un termine per consentire alle parti di dar luogo al tentativo, per poi proseguire il giudizio dinanzi a sé.
Va tuttavia, precisato, che l'improcedibilità opera in questo caso con salvaguardia degli effetti sia sostanziali che processuali della domanda, e con effetto sospensivo del giudizio.
Come hanno ribadito le Sezioni Unite (sentenza n. 8241/2020 cit.) in questi casi – ovvero nella mediazione come nella speciale conciliazione prevista dall'art. 1 della l. n. 249/1997 in materia di telecomunicazioni - la mancata instaurazione di tale procedimento determina un rinvio dell'udienza, per cui restano validi gli atti compiuti e ferme le preclusioni già maturate, ad un momento successivo al termine concesso dal giudice per dar luogo o per concludere il tentativo.
Nel caso in cui, quindi, la domanda giudiziale venga proposta senza il preventivo esperimento della procedura di mediazione e, in corso di causa, il convenuto formuli la relativa eccezione o il giudice ne rilevi d'ufficio la mancanza, si avrà, come conseguenza, il differimento delle attività processuali che tipizzano la causa già pendente, ma non si produrrà alcuna nullità per quelle svolte fino a quel momento, cristallizzandosi in tal maniera le eventuali decadenze maturate.
Il caso specifico all'esame della Corte va, infatti, letto alla luce della specifica disciplina delle preclusioni in caso di mutamento del rito ex art. 702-ter c.p.c.
Infatti, nel procedimento sommario di cognizione fino alla sua eventuale conversione in rito ordinario, con la fissazione dell'udienza di trattazione di cui all'art. 183 c.p.c., o fino alla fissazione dell'udienza di discussione ex art.420 c.p.c. con i termini perentori ad essa correlati per la c.d. integrazione degli atti non può rinvenirsi, né letteralmente né sistematicamente, alcuna non prevista decadenza e, dunque, limite alla possibilità di sollevare eccezioni di parte e, per il giudice, l'incompetenza territoriale inderogabile ai sensi dell'art.38 co. III c.p.c. (cfr. Cass. civ., sez. VI., 2 dicembre 2019, n. 31402; Cass. civ., sez. II, 29 novembre 2013, n. 26859).
Ad avviso, infatti, dei giudici di legittimità - Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2020 , n. 13879 - le preclusioni maturate nel corso del rito sommario di cognizione non si applicano al giudizio ordinario a cognizione piena che si instaura all'esito della conversione del rito (parimenti in caso di passaggio al rito locatizio), poiché l'art. 702-bis c.p.c. non dispone nulla al riguardo mentre l'art. 702-ter c.p.c. prevede espressamente che il giudice, in seguito alla detta conversione, fissi: l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., con conseguente necessità di osservare i termini ex artt. 163-bis, comma 1, c.p.c. e 166 c.p.c. a tutela del diritto di difesa del convenuto (cfr. Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2020, n. 13879); ovvero fissi l'udienza di discussione ex art. 420 c.p.c. con termine alle parti per la integrazione degli atti introduttivi.
Senza pregiudizio, quindi, sia per il giudice che per le parti di tutte le attività che possono essere espletate entro o nella prima udienza di trattazione (ex art. 183 c.p.c) o di discussione (ex art. 420 c.p.c.): tra cui il rilievo officio della incompetenza territoriale inderogabile (art. 38, comma 3 ,c.p.c.).
Diversamente va detto in caso di traslatio del giudizio ex art. 4 del d.lgs. n. 150/2011 dal rito “semplificato” .
In questo caso per effetto della esplicita previsione contenuta nell'art.4 il meccanismo del mutamento del rito non comporta una regressione del processo ad una fase anteriore a quella già svoltasi, ma serve esclusivamente a consentire alle parti di adeguare le difese alle regole del rito da seguire rimanendo ormai maturate le preclusioni già verificatesi secondo le norme del rito prescelto e, pertanto, l'incompetenza per materia, per valore o per territorio inderogabile non potrà essere rilevata d'ufficio nella prima udienza successiva a detto mutamento (in questi esatti termini Cass. civ. sez. VI - 2, Ordinanza n. 13472 del 18/05/2019. Nella specie, la S.C. ha escluso che, a fronte del mutamento di rito ex art. 4 cit., disposto in ordine ad un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in materia di onorari di avvocato introdotto con citazione, fosse possibile sollevare d'ufficio, nella prima udienza successiva a detto mutamento, la questione dell'incompetenza territoriale inderogabile - nella specie, in relazione al foro del consumatore - dovendosi ritenere la "prima udienza", rilevante ai fini dell'art. 38, comma 3, c.p.c., esaurita con il provvedimento di mutamento del rito; come in Cass. civ., sez. I, ord., 18 marzo 2021, n. 7696. Cfr. anche Cass. civ., sez. VI, ord., 15 aprile 2019, n. 10516 secondo cui :“Nel rito del lavoro, la disposizione dell'art. 428, primo comma, c.p.c., secondo la quale l'incompetenza territoriale può essere rilevata d'ufficio non oltre l'udienza di cui all'art. 420 c.p.c., va intesa - avuto riguardo alla disciplina riservata all'incompetenza dal nuovo art. 38 c.p.c. (come sostituito dall'art. 4 della l. n. 353 del 1990) - nel significato che detta incompetenza può essere rilevata non oltre la prima udienza in senso cronologico, ossia quella fissata con il decreto contemplato dall'art. 415 c.p.c., in quanto il legislatore, con la nuova normativa, ha inteso accelerare al massimo i tempi di risoluzione delle questioni di competenza)”.