In base ad una prima formulazione della norma, l'ordinanza decisoria con cui il giudice dell'esecuzione definiva il reclamo poteva essere impugnata con l'opposizione agli atti esecutivi. Si trattava di una conclusione obbligata, non solo e non tanto perché in difetto di uno specifico rimedio impugnatorio tutti i provvedimenti del g.e. sono opponibili a norma dell'art. 617 c.p.c. (che costituisce sempre e comunque una norma di chiusura del sistema), ma perché l'ultimo periodo dell'art. 591-ter c.p.c. sanciva espressamente che «restano ferme le disposizioni di cui all'art. 617». Dalla lettera della legge si deduceva, inoltre, che il reclamo previsto dalla norma fosse l'unico mezzo per impugnare gli atti posti in essere “di iniziativa” dal professionista. Era così pacificamente esclusa la possibilità di proporre opposizione ex art. 617 c.p.c. direttamente contro gli atti del delegato (Cass. civ. n. 14707/2006; Cass. civ. n. 1335/2011) ritenendosi che l'opposizione agli atti esecutivi fosse il mezzo esperibile contro le ordinanze del giudice dell'esecuzione pronunciate a seguito del reclamo delle parti del processo esecutivo e non anche il mezzo per contestare direttamente gli atti del delegato.
Premesso che la disciplina dell'art. 591-ter c.p.c. riproduce, in realtà, quanto stabilito dall'art. 168 disp. att. c.p.c. in tema di reclamo contro l'operato dell'ufficiale giudiziario incaricato della vendita, il principale problema determinato dalla precedente formulazione dell'art. 591-ter c.p.c. surrichiamato era dato dal fatto che il reclamo, in difetto di un'esplicita previsione normativa, era privo di un termine di decadenza. Così, parte della dottrina aveva affermato che il termine finale per il reclamo sarebbe indirettamente costituito dalla pronuncia del decreto di trasferimento posto che il rimedio esecutivo diviene inutile quando è prescritta l'opposizione agli atti. Per altra dottrina, in analogia con il meccanismo di cui all'art. 168, comma 3, disp. att., c.p.c., il reclamo va proposto nel termine di venti giorni, come del resto avviene per l'opposizione ex art. 617 c.p.c. Per altri ancora il termine (implicito) per la proposizione del reclamo sarebbe di dieci giorni, analogamente a quanto stabilito dall'art. 739 c.p.c. per i procedimenti in camera di consiglio.
Nessun dubbio, però, sul fatto che laddove i vizi della procedura delegata precedenti l'aggiudicazione non fossero stati oggetto di reclamo, essi, in quanto riflessi sul decreto di trasferimento, ne avrebbero permesso l'impugnabilità ai sensi dell'art. 617 c.p.c. per nullità derivata. Pertanto, gli interessati, qualora non avessero esperito il reclamo, avrebbero potuto, comunque, impugnare con l'opposizione ex art. 617 c.p.c. il decreto di trasferimento, trattandosi del provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione, recepiti i risultati del procedimento liquidatorio svolto dal professionista, portava a compimento la vendita forzata.
In buona sostanza la scelta del legislatore del 1998 fu nel senso che l'atto del professionista era censurabile con il reclamo ma non opponibile. L'art. 617 c.p.c. rimaneva l'unico rimedio esperibile contro: a) l'ordinanza resa dal giudice sul reclamo proposto avverso l'atto del professionista; b) il decreto del giudice che risolve la difficoltà denunciata dallo stesso delegato; c) il decreto di trasferimento pronunciato dal giudice ogni volta che il vizio dell'atto del delegato non era reclamato.
Si comprende così agevolmente perché l'art. 591-ter c.p.c. si utilizzava di rado per denunciare i vizi dell'atto del professionista, essendo consentito alle parti ed agli interessati di proporre comunque opposizione agli atti esecutivi – in una fase più avanzata – fondata sulle medesime irregolarità non censurate
La riforma del 2015 ha rivoluzionato il micro-sistema contenuto nell'art. 591-ter c.p.c., nella parte in cui ha stabilito, nella parte finale della norma, che «contro il provvedimento del giudice è ammesso il reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies», in luogo della tradizionale opposizione agli atti esecutivi.
Tale soluzione è risultata poco appropriata per due diversi motivi. Innanzitutto, perché il reclamo proposto nei confronti di un provvedimento esecutivo non ha – né potrebbe avere – natura cautelare; in secondo luogo tale natura non può essere riconosciuta alla decisione resa dal collegio, solo perché quest'organo è solitamente investito di questioni di rilievo cautelare (come, ad esempio, la sospensione dell'esecuzione ex art. 624, comma 2, c.p.c.).
In altre parole: l'innovazione è risultata del tutto incoerente rispetto alla funzione svolta dal reclamo cautelare (rinvenibile invece nelle sospensioni ex art. 512 o 624 o 618 c.p.c., nei quali è, infatti, coerentemente ammesso), di cui è privo invece il provvedimento del g.e. reso sul controllo delle attività delegate (ammissione e/o esclusione di un offerente, illegittima aggiudicazione, ecc). Senza trascurare che la modifica ha avuto ripercussioni anche sul regime di stabilità dell'ordinanza che provvede sul reclamo ex art. 591-ter c.p.c., perché è sempre esclusa ogni impugnazione del provvedimento che decide sul reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., la cui natura decisoria è costantemente negata dalla giurisprudenza di legittimità; di contro, con il regime previgente, sul provvedimento del g.e. era sempre ammesso invece il controllo a norma dell'art. 617 c.p.c. da parte di un giudice superiore e, poi, della stessa corte di legittimità.
Da un punto di vista pratico-operativo è forse più chiaro il fine, duplice, che il legislatore del 2015 avrebbe voluto perseguire con la suddetta modifica. E cioè quello di mutuare il termine per contestare le irregolarità dell'atto del professionista (poi confermato dal giudice dell'esecuzione) e quello di sottoporre la successiva decisione del giudice al controllo collegiale, con un rito deformalizzato e rapido, anziché col procedimento ordinario di cui all'art. 617 c.p.c.
Che il reclamo proposto ex art. 669-terdecies poi assolva la stessa funzione impugnatoria propria dell'opposizione agli atti esecutivi risulta non tanto dal rinvio all'art. 669-terdecies, quanto dall'eliminazione del riferimento all'opposizione ex art. 617 c.p.c. Una conferma in tal senso è rinvenibile nella Relazione alla legge di conversione (della riforma del 2015) dove si precisa che il reclamo ex art. 669-terdecies costituisce «un rimedio impugnatorio» introdotto, in luogo dell'opposizione agli atti esecutivi, «al fine di accelerare la definizione delle pendenze».
Se l'effettiva intenzione del legislatore del 2015 era, dunque, quella di mutuare per ragioni di celerità il modello dell'impugnativa cautelare, lasciando immutata la natura endoesecutiva del reclamo dell'art. 591-ter c.p.c., va detto che tale risultato sarebbe stato raggiungibile solo a condizione che: a) la proponibilità del reclamo avverso l'atto del professionista fosse assoggettata ad un termine perentorio; b) i successivi atti del professionista e i provvedimenti del giudice non reclamati (o reclamati e confermati dal collegio) non fossero più opponibili ai sensi dell'art. 617 c.p.c.; c) il reclamo, una volta accolto, determinasse la caducazione ex tunc di tutti gli atti e provvedimenti adottati dal (professionista o dal) giudice, vincolato dalla decisione del collegio e costretto alla revoca dell'aggiudicazione e del decreto di trasferimento eventualmente emesso.
In questo scenario va, inoltre, tenuto conto dell'interpretazione resa dalla giurisprudenza di legittimità che ha finito per limitare ancora di più l'operatività di tale rimedio.