Redditi da lavoro dipendente: il 770 della società non è prova dirimente dell'effettiva erogazione degli emolumenti

09 Febbraio 2023

Il mancato versamento degli emolumenti, per sua natura, è un "non atto" che rischia di risolversi in una prova diabolica per il contribuente. Pertanto, è solo la prova del pagamento degli emolumenti che realizza un reddito soggetto a tassazione. Tale prova non può essere riferita all'inerzia della parte ad assumere iniziative legali il cui espletamento è certamente il frutto di un bilanciamento tra costi e benefici da parte di chi è chiamato a tutelare i propri diritti. Così si pronuncia la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia con la sentenza n. 5113 del 19 dicembre 2022.

Il caso. L'Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di una contribuente un avviso di accertamento in relazione alla mancata dichiarazione di redditi da lavoro dipendente per l'annualità 2013. L'esistenza di detti redditi veniva desunta dall'Ufficio a seguito della presentazione da parte della società, presso la quale la contribuente era dipendente, del modello 770 da cui risultava il rapporto di dipendenza e l'importo dei relativi emolumenti. La dipendente, già dalla fase endoprocedimentale, aveva giustificato la mancata indicazione di tali redditi nella propria dichiarazione per non averli mai percepiti. La contribuente aveva fatto presente che si trattava di redditi riferibili a mensilità comprese in un contesto di tensioni lavorative che avevano poi portato alla cessazione del rapporto di lavoro subordinato; aveva, altresì, documentato di avere sollecitato il versamento delle proprie spettanze alla società senza alcun riscontro e di avere successivamente rinunciato a proseguire qualsiasi iniziativa legale per via dello stato di inattività in cui versava la società e per l'assenza di patrimonio su cui eventualmente rivalersi. I giudici di prime cure convalidavano l'operato dell'Amministrazione finanziaria considerando, da un lato, dirimente la presentazione del mod. 770, quale atto a contenuto dichiarativo, dall'altro lato, valutando negativamente la condotta della contribuente in virtù della mancata messa in mora della società e della omessa presentazione della istanza di fallimento che avrebbe comportato almeno la possibilità di recuperare tramite INPS parte delle proprie spettanze.

La riforma della sentenza. La pensavano diversamente i giudici “del riesame” che ribaltano l'esito della controversia a favore della parte privata in applicazione del principio dell'onere della prova. La Corte di secondo grado, cioè, ha attribuito carattere di «presunzione debole» all'assunto dell'Ufficio basato sull'esistenza dell'esistenza del mod. 770 di una società di capitali al fine di dedurre la esistenza di redditi da lavoro dipendente; invece, secondo gli interpreti, la contribuente aveva giustificato la propria inerzia nell'assunzione di iniziative legali nei riguardi del proprio vecchio datore di lavoro stante l'assenza di prospettive di recupero inattività della società e la mancanza di patrimonio sociale. Le deduzioni della parte privata costituivano, secondo il Collegio, «non la prova contraria, quantomeno indice di possibili anomalie nella gestione della società datore di lavoro, che avrebbero imposto un maggiore approfondimento istruttorio» (come, ad esempio, con riguardo alla posizione di altri dipendenti nella medesima situazione della contribuente o in relazione allo stato di salute economica, finanziaria e patrimoniale della società, al momento dell'accertamento e, in particolare, all'epoca della risoluzione del rapporto di lavoro). «Il mancato versamento degli emolumenti, chiosa il Collegio, per sua natura un "non atto", rischia di risolversi in una prova diabolica per il contribuente (come fare a provare che qualcosa non è accaduto?)». La Corte conclude la motivazione non condividendo quanto sostenuto dal primo Giudice circa il fatto che la parte non avrebbe assunto efficaci iniziative legali, quali la messa in mora e la presentazione della istanza di fallimento. La parte aveva dato atto delle iniziative assunte dal suo difensore e delle ragioni per le quali ha desistito dal promuovere più incisive azioni legali: «si tratta di iniziative onerose, il cui espletamento è certamente il frutto di un bilanciamento tra costi e benefici da parte di chi è chiamato a tutelare i propri diritti». Ciò che rileva, afferma la Corte, è la prova del pagamento degli emolumenti e della conseguente realizzazione di un reddito soggetto a tassazione.

Osservazioni. La sentenza in commento, nel fare riferimento al principio dell'onere della prova, sembra (implicitamente) recepire e applicare la novella di cui alla legge n. 130 del 31 agosto 2022 che ha introdotto il comma 5-bis all'art. 7 del d.lgs. 546/1992 (rubricato “Poteri delle Corti di Giustizia Tributaria”) prevedendo che «l'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni». Giova ricordare che, con riferimento all'efficacia temporale di tale disposizione, stante la sua natura processuale e non essendo stata prevista una decorrenza ad hoc nella legge di riforma, essa si applica a partire dal 16 settembre 2022 (data di entrata in vigore della legge de qua) sia ai giudizi instaurati successivamente a tale data che a quelli già in essere a quella data.

Nel caso di specie i giudici ambrosiani hanno, in particolare, considerato “debole” (ergo insufficiente) la presunzione posta alla base della ripresa fiscale e riferita all'esistenza del mod. 770 da cui risultava il rapporto di dipendenza nonché l'importo dei relativi emolumenti assunti dall'Ufficio, per tale motivo, come effettivamente erogati alla contribuente.

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