Riguardo, in particolare, al recesso c.d. convenzionale, il comma 7 dell'art. 27 della legge n. 392/1978 prescrive, innanzitutto, che il recesso debba essere previsto “contrattualmente”.
L'uso di quest'ultimo avverbio ha portato alcuni a ritenere che il diritto di recesso possa essere convenuto solo nel contratto originario, restando esclusa la pattuizione successiva.
Tale tesi è apparsa eccessivamente ed ingiustificatamente restrittiva, tanto più che il termine su cui essa si fonda non offre argomenti interpretativi irresistibili: invero, non si può negare che sia da considerare “contratto”, nel significato proprio, ricavato dall'art. 1321 c.c., anche l'accordo con cui le parti decidano, nel corso del rapporto locatizio, di attribuire al conduttore la facoltà di recesso; nemmeno si vede la ragione per cui il legislatore, cui pure deve imputarsi la ridondante locuzione, abbia voluto escludere che le parti, nel corso del rapporto, potessero concludere una pattuizione dell'indicato tenore.
Il recesso, se contemplato nel contratto inter partes, non deve contenere alcuna indicazione dei motivi che lo hanno indotto: invero, il citato art. 27, comma 7, consente alle parti di pattuire che il conduttore possa recedere dal contratto in qualsiasi momento, con il solo obbligo del preavviso al locatore almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione, senza la contestuale esplicitazione delle ragioni giustificative della disdetta, “in quanto tale recesso non crea alcun effettivo nocumento al locatore, stante la sufficienza del detto preavviso per trovare un nuovo inquilino” (così Cass. civ., sez. III, 8 agosto 1997, n. 7357).
Sul punto, ci si chiede se le parti possano disciplinare il termine difformemente rispetto alla legge.
Nella giurisprudenza di merito, si è affermato che la pattuizione, intesa alla riduzione del termine di preavviso, è certamente ammissibile e trova applicazione in deroga alla disciplina, “la quale è vincolante solo in caso di mancata previsione contrattuale o di termine più gravoso per il conduttore” (Pret. Pordenone 5 febbraio 1988); perciò, “stante la validità della clausola contrattuale mediante la quale le parti di un rapporto locatizio abbiano concordato di ridurre a quattro mesi il preavviso di recesso da parte del conduttore, non devono essere corrisposte, nella fattispecie, le due mensilità di canone intercorrenti tra la scadenza del preavviso così come pattuita e quella, semestrale, invece prevista dall'art. 27 della l. n. 392/1978” (Trib. Genova 7 aprile 1987).
Di diversa opinione si sono mostrati i giudici di legittimità (Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 2007, n. 831), i quali hanno affermato che, se il termine di preavviso convenuto in contratto è inferiore al semestre, esso è destinato ad essere ricondotto a quello minimo, previsto dalla legge; invero, le parti sono libere di convenire che il conduttore receda in qualsiasi momento dal contratto, addossandogli il mero onere di avvisare il locatore, mediante lettera raccomandata, della sua intenzione; è, poi, stabilito che il recesso avrà esecuzione almeno sei mesi dopo l'avviso, intervenendo qui una presunzione legale che quel periodo di tempo è il minimo - ma le parti ne potrebbero convenire uno maggiore - del quale ha necessità il locatore per provvedere all'utilizzazione dell'immobile quando, successivamente all'esecuzione del recesso, ne avrà la disponibilità.
In quest'ottica, l'unico elemento indispensabile per il perfezionamento della vicenda è costituito dal fatto che il conduttore abbia ritualmente dato avviso al locatore della sua intenzione di recedere dal contratto, posto che l'esecuzione del recesso avverrà nel termine semestrale fissato dalla legge o in quello uguale o eventualmente maggiore stabilito dalle parti: quindi, per un verso, è valido ed efficace l'avviso di recesso pur privo di riferimento al momento in cui esso avrà esecuzione (posto che questo momento è integrato dalla volontà della legge o delle parti), e, per altro verso, l'avviso contenente una data di esecuzione inferiore a quella stabilita nel contratto o a quella minima prevista dalla legge conserva la sua validità, benché il momento della sua esecuzione debba essere ricondotto al termine convenzionale o a quello minimo semestrale fissato dalla legge medesima.
La soluzione non ha persuaso la successiva giurisprudenza - v., tra le pronunce di legittimità, Cass. civ., sez. III, 19 settembre 2019, mentre, tra quelle di merito, App. Napoli 9 luglio 2020 - la quale, anche di recente, ha ribadito che le parti, nella loro autonomia negoziale, possono fissare un termine di preavviso inferiore a quello semestrale previsto dall'art. 27 per il recesso del conduttore, il cui esercizio fa sorgere l'obbligo di corrispondere i canoni sino al compimento del periodo di preavviso come convenzionalmente stabilito.
La soluzione inizialmente accolta dagli ermellini, peraltro, aveva destato molte perplessità anche in alcuni autori, poiché è apparso difficile cogliere il fondamento dell'inserzione automatica della disciplina normativa qualora il termine pattuito sia inferiore ai sei mesi, atteso che l'abbreviazione del termine integra una clausola a favore del conduttore, ossia una disposizione pattizia che - al pari di quella che stabilisca una durata del contratto superiore a quella minima - l'ordinamento non ha interesse a colpire; e nemmeno l'assunto della nullità della clausola che preveda un termine di preavviso più ampio rispetto al semestre sembra conforme ai principi.
Se è legittimo non accordare al conduttore la possibilità di sciogliersi anticipatamente dal vincolo, altrettanto dovrà dirsi dell'ipotesi, meno gravosa per il conduttore, di pattuito recesso da esercitarsi entro un dato termine, quale che esso sia; in tal senso, sembra corretto affermare che questa seconda pattuizione non può determinare alcuno svantaggio per il conduttore, stante che, in linea di principio, è nel potere delle parti di attribuire o negare il recesso, onde la disciplina legale non è qualificata dal riconoscimento di un tale diritto dello stesso conduttore.
Si è, quindi, concluso ragionevolmente nel senso che la previsione del termine semestrale abbia natura “dispositiva”, e sia destinata ad operare nel solo caso in cui le parti, pur avendo contemplato il recesso, nulla abbiano convenuto quanto al termine entro cui la comunicazione della volontà di avvalersi del diritto potestativo debba aver luogo.
Resta inteso che nulla osta a che l'esercizio del diritto sia temporalmente circoscritto o subordinato al verificarsi di precise condizioni, per cui va considerata legittima la pattuizione che consenta il recesso solo a partire da un certo momento della vicenda contrattuale (ad esempio, dopo il terzo anno della locazione) o in presenza di un determinato evento (ad esempio, ove abbia luogo l'acquisto, da parte del conduttore, di una casa di abitazione).
Parimenti, le parti possono anche pattuire un compenso per l'ipotesi in cui il conduttore si avvalga del diritto riconosciutogli in contratto: in quest'ultimo caso, lo scioglimento dal vincolo risulterà condizionato in forza della previsione dell'art. 1372, comma 3, c.c., che subordina l'efficacia del recesso all'esecuzione della prestazione convenuta.