Locazioni commerciali: requisiti per lo scioglimento anticipato del vincolo contrattuale

10 Febbraio 2023

Nelle locazioni ad uso non abitativo, al solo conduttore viene accordata la facoltà di recedere ante tempus dal relativo contratto, purché osservando precisi requisiti, che, quindi, legittimano tale iniziativa motivata, il più delle volte, dall'andamento della congiuntura economica.
Introduzione. Il quadro normativo

In due disposizioni di tenore pressoché identico (artt. 4 e 27), il legislatore del 1978 ha regolamentato compiutamente la materia del recesso dal rapporto, rispettivamente, nelle locazioni abitative ed in quelle non abitative, prima della scadenza del termine di durata.

Segnatamente, il comma 7 dell'art. 27 - concernente le locazioni non abitative - dispone, che “è in facoltà delle parti consentire contrattualmente che il conduttore possa recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore, mediante lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione”, mentre il successivo comma 8 prevede che, “indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata”.

Dunque, le due ipotesi di recesso - quella convenzionale e quella legale - sono accomunate dal fatto che, salvo l'obbligo del preavviso, il correlativo diritto possa essere esercitato “in ogni momento”.

Quanto alla forma del preavviso, lo stesso comma 7 dell'art. 27 prescrive che il recesso debba essere comunicato a mezzo di “lettera raccomandata” (possibilmente, ai fini della prova, con avviso di ricevimento), o con modalità idonea equipollente (si pensi alla posta elettronica certificata, al telegramma, alla notifica tramite ufficiale giudiziario).

Peraltro, si ritiene che la forma sia prescritta ad probationem tantum, sicchè l'utilizzo di un mezzo di comunicazione dotato di minore attitudine probatoria dovrebbe penalizzare il conduttore nell'accertamento giudiziale della manifestata volontà di recedere, ma senza avere, di per sé, conseguenze invalidanti.

La legge disciplina, poi, anche la durata del termine di preavviso, prescrivendo che lo stesso debba essere semestrale.

Stante che il preavviso di recesso è atto ricettizio, tale termine comincerà a decorrere nel momento in cui la comunicazione è pervenuta all'indirizzo del locatore: l'atto, con cui si esercita il recesso, ha efficacia, quindi, al momento della ricezione, anche se gli effetti relativi all'estinzione del rapporto sono differiti.

La prerogativa appannaggio del solo conduttore

Analogo diritto non è, però, riconosciuto al locatore, ed anzi, una pattuizione che riconoscesse al locatore un tale potere cadrebbe sotto l'applicazione dell'art. 79 della l. n. 392/1978, che sanziona “ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto”: infatti, la clausola introduttiva, in favore del medesimo locatore, di un diritto di scioglimento del rapporto anticipato, rispetto ai termini di durata minima, contraddirebbe proprio le norme imperative in materia di durata.

All'indomani dell'entrata in vigore della legge del 1978, si è dubitato della legittimità costituzionale della disciplina in esame, osservandosi che la stessa avrebbe irragionevolmente penalizzato il locatore, cui non era stato accordato il medesimo diritto di recedere dal contratto.

I giudici della Consulta (Corte Cost. 28 luglio 1983, n. 251) - anche se riguardo alle locazioni abitative - hanno, tuttavia, ritenuto infondata, in relazione all'art. 3 Cost., la censura di costituzionalità prospettata, alla luce della sostanziale differenza delle posizioni delle parti - peraltro, emergente dalla Relazione ministeriale al disegno di legge e dalla ratio della norma - individuata nell'esigenza di tutelare il conduttore mediante un'adeguata stabilità del rapporto.

Infatti, nel caso di scioglimento del contratto, il conduttore avrebbe avuto difficoltà, nelle condizioni offerte dal mercato edilizio, a reperire una diversa abitazione, mentre, invece, la possibilità di recesso del conduttore non reca alcun effettivo nocumento al locatore, poichè il preavviso lo garantisce adeguatamente, essendo presumibile, se non proprio sicuro, secondo l'id quod plerumque accidit, che egli, nel frattempo, trovi un altro conduttore che corrisponda lo stesso canone, e cioè quello stabilito dalla legge.

D'altronde, la summenzionata facoltà di recesso del conduttore non è avulsa dall'intero complesso normativo, ma costituisce, in particolare, il fondamento del divieto (contenuto nell'art. 2, comma 1, della l. n. 392/1978 per le locazioni abitative) di sublocazione totale: invero, in tanto è stato escluso il potere di concedere in sublocazione totale l'immobile che il conduttore non abita più, in quanto a questo è stata riconosciuta la facoltà di recedere dal contratto, con la conseguente possibilità di evitare il pregiudizio che, altrimenti, deriverebbe dall'obbligo del pagamento del canone senza alcuna effettiva utilità.

La previsione convenzionale

Riguardo, in particolare, al recesso c.d. convenzionale, il comma 7 dell'art. 27 della legge n. 392/1978 prescrive, innanzitutto, che il recesso debba essere previsto “contrattualmente”.

L'uso di quest'ultimo avverbio ha portato alcuni a ritenere che il diritto di recesso possa essere convenuto solo nel contratto originario, restando esclusa la pattuizione successiva.

Tale tesi è apparsa eccessivamente ed ingiustificatamente restrittiva, tanto più che il termine su cui essa si fonda non offre argomenti interpretativi irresistibili: invero, non si può negare che sia da considerare “contratto”, nel significato proprio, ricavato dall'art. 1321 c.c., anche l'accordo con cui le parti decidano, nel corso del rapporto locatizio, di attribuire al conduttore la facoltà di recesso; nemmeno si vede la ragione per cui il legislatore, cui pure deve imputarsi la ridondante locuzione, abbia voluto escludere che le parti, nel corso del rapporto, potessero concludere una pattuizione dell'indicato tenore.

Il recesso, se contemplato nel contratto inter partes, non deve contenere alcuna indicazione dei motivi che lo hanno indotto: invero, il citato art. 27, comma 7, consente alle parti di pattuire che il conduttore possa recedere dal contratto in qualsiasi momento, con il solo obbligo del preavviso al locatore almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione, senza la contestuale esplicitazione delle ragioni giustificative della disdetta, “in quanto tale recesso non crea alcun effettivo nocumento al locatore, stante la sufficienza del detto preavviso per trovare un nuovo inquilino” (così Cass. civ., sez. III, 8 agosto 1997, n. 7357).

Sul punto, ci si chiede se le parti possano disciplinare il termine difformemente rispetto alla legge.

Nella giurisprudenza di merito, si è affermato che la pattuizione, intesa alla riduzione del termine di preavviso, è certamente ammissibile e trova applicazione in deroga alla disciplina, “la quale è vincolante solo in caso di mancata previsione contrattuale o di termine più gravoso per il conduttore” (Pret. Pordenone 5 febbraio 1988); perciò, “stante la validità della clausola contrattuale mediante la quale le parti di un rapporto locatizio abbiano concordato di ridurre a quattro mesi il preavviso di recesso da parte del conduttore, non devono essere corrisposte, nella fattispecie, le due mensilità di canone intercorrenti tra la scadenza del preavviso così come pattuita e quella, semestrale, invece prevista dall'art. 27 della l. n. 392/1978” (Trib. Genova 7 aprile 1987).

Di diversa opinione si sono mostrati i giudici di legittimità (Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 2007, n. 831), i quali hanno affermato che, se il termine di preavviso convenuto in contratto è inferiore al semestre, esso è destinato ad essere ricondotto a quello minimo, previsto dalla legge; invero, le parti sono libere di convenire che il conduttore receda in qualsiasi momento dal contratto, addossandogli il mero onere di avvisare il locatore, mediante lettera raccomandata, della sua intenzione; è, poi, stabilito che il recesso avrà esecuzione almeno sei mesi dopo l'avviso, intervenendo qui una presunzione legale che quel periodo di tempo è il minimo - ma le parti ne potrebbero convenire uno maggiore - del quale ha necessità il locatore per provvedere all'utilizzazione dell'immobile quando, successivamente all'esecuzione del recesso, ne avrà la disponibilità.

In quest'ottica, l'unico elemento indispensabile per il perfezionamento della vicenda è costituito dal fatto che il conduttore abbia ritualmente dato avviso al locatore della sua intenzione di recedere dal contratto, posto che l'esecuzione del recesso avverrà nel termine semestrale fissato dalla legge o in quello uguale o eventualmente maggiore stabilito dalle parti: quindi, per un verso, è valido ed efficace l'avviso di recesso pur privo di riferimento al momento in cui esso avrà esecuzione (posto che questo momento è integrato dalla volontà della legge o delle parti), e, per altro verso, l'avviso contenente una data di esecuzione inferiore a quella stabilita nel contratto o a quella minima prevista dalla legge conserva la sua validità, benché il momento della sua esecuzione debba essere ricondotto al termine convenzionale o a quello minimo semestrale fissato dalla legge medesima.

La soluzione non ha persuaso la successiva giurisprudenza - v., tra le pronunce di legittimità, Cass. civ., sez. III, 19 settembre 2019, mentre, tra quelle di merito, App. Napoli 9 luglio 2020 - la quale, anche di recente, ha ribadito che le parti, nella loro autonomia negoziale, possono fissare un termine di preavviso inferiore a quello semestrale previsto dall'art. 27 per il recesso del conduttore, il cui esercizio fa sorgere l'obbligo di corrispondere i canoni sino al compimento del periodo di preavviso come convenzionalmente stabilito.

La soluzione inizialmente accolta dagli ermellini, peraltro, aveva destato molte perplessità anche in alcuni autori, poiché è apparso difficile cogliere il fondamento dell'inserzione automatica della disciplina normativa qualora il termine pattuito sia inferiore ai sei mesi, atteso che l'abbreviazione del termine integra una clausola a favore del conduttore, ossia una disposizione pattizia che - al pari di quella che stabilisca una durata del contratto superiore a quella minima - l'ordinamento non ha interesse a colpire; e nemmeno l'assunto della nullità della clausola che preveda un termine di preavviso più ampio rispetto al semestre sembra conforme ai principi.

Se è legittimo non accordare al conduttore la possibilità di sciogliersi anticipatamente dal vincolo, altrettanto dovrà dirsi dell'ipotesi, meno gravosa per il conduttore, di pattuito recesso da esercitarsi entro un dato termine, quale che esso sia; in tal senso, sembra corretto affermare che questa seconda pattuizione non può determinare alcuno svantaggio per il conduttore, stante che, in linea di principio, è nel potere delle parti di attribuire o negare il recesso, onde la disciplina legale non è qualificata dal riconoscimento di un tale diritto dello stesso conduttore.

Si è, quindi, concluso ragionevolmente nel senso che la previsione del termine semestrale abbia natura “dispositiva”, e sia destinata ad operare nel solo caso in cui le parti, pur avendo contemplato il recesso, nulla abbiano convenuto quanto al termine entro cui la comunicazione della volontà di avvalersi del diritto potestativo debba aver luogo.

Resta inteso che nulla osta a che l'esercizio del diritto sia temporalmente circoscritto o subordinato al verificarsi di precise condizioni, per cui va considerata legittima la pattuizione che consenta il recesso solo a partire da un certo momento della vicenda contrattuale (ad esempio, dopo il terzo anno della locazione) o in presenza di un determinato evento (ad esempio, ove abbia luogo l'acquisto, da parte del conduttore, di una casa di abitazione).

Parimenti, le parti possono anche pattuire un compenso per l'ipotesi in cui il conduttore si avvalga del diritto riconosciutogli in contratto: in quest'ultimo caso, lo scioglimento dal vincolo risulterà condizionato in forza della previsione dell'art. 1372, comma 3, c.c., che subordina l'efficacia del recesso all'esecuzione della prestazione convenuta.

La sussistenza dei gravi motivi

A prescindere da un'eventuale previsione contrattuale in tal senso, l'ultimo comma dell'art. 27 della l. n. 392/1978 riconosce, in capo al conduttore, il diritto di recedere dal contratto, in qualsiasi momento, ove ricorrano “gravi motivi”: trattasi di espressione volutamente ampia, tale da legittimare dubbi di natura esegetica, che gli interpreti hanno tentato di risolvere.

In proposito, si è sottolineato che la formula della legge debba essere interpretata rigorosamente, in base a criteri oggettivi e predeterminati, così da non consentire al conduttore di divenire arbitro della situazione e di potersi, quindi, liberare a suo piacimento dal contratto e dagli obblighi che ne derivano.

I gravi motivi, i quali devono insorgere dopo l'instaurazione del rapporto, “devono essere di natura tale da rendere impossibile, o sommamente gravosa, la prosecuzione della locazione”; essi, poi, “non possono essere determinati dal comportamento dell'inquilino, dovendo essere ricollegabili a cause non prevedibili e, comunque, estranee alla sua sfera soggettiva”.

Tale rigorosa interpretazione è stata fatta propria dalla magistratura di vertice, la quale è costante nell'affermazione del principio secondo cui i “gravi motivi” che consentono, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il recesso del conduttore dal contratto di locazione in ogni momento, ai sensi dell'art. 27, devono essere determinati da “fatti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendere al conduttore oltremodo gravosa la prosecuzione del rapporto stesso” (così, tra le altre, Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2021, n. 9704; Cass. civ., sez. III, 24 settembre 2019, n. 23639; Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2012, n. 10874; Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2011, n. 26711; Cass. civ., sez. III, 24 settembre 2002, n. 13909; Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 1996, n. 10980; Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 1992, n. 11466; Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 1991, n. 260).

I gravi motivi vengono generalmente distinti in soggettivi e oggettivi, a seconda che siano inerenti alla persona del conduttore, oppure al suo oggetto, cioè all'immobile.

Tra i motivi soggettivi, si è discusso, all'interno della giurisprudenza di merito, riguardo alle diverse vicende che potrebbero interessare l'attività imprenditoriale del conduttore: così, è stata esclusa la legittimità del recesso in ragione dell'antieconomicità della prosecuzione dell'attività per mancata acquisizione di commesse (Trib. Padova 29 maggio 1986); dei negativi risultati della gestione economica (Trib. Rovigo 7 febbraio 1998); della mancata previsione della futura inadeguatezza, per le sue dimensioni, dell'immobile locato (Trib. Milano 9 settembre 1993), essendo del tutto fisiologiche le esigenze di maggiore spazio conseguenti alla normale (ed auspicabile) espansione dell'attività imprenditoriale del conduttore (Trib. Milano 18 novembre 1996); dell'incremento dell'attività imprenditoriale (Trib. Bologna 17 novembre 1998).

A fronte di tale indirizzo rigorista, un diverso filone giurisprudenziale riconosce rilievo anche all'insufficienza e all'inadeguatezza dell'immobile, determinatesi in ragione dell'espansione dell'attività economica del conduttore (Trib. Vicenza 2 gennaio 2001).

In effetti, premesso che la decisione debba sempre essere assunta caso per caso, considerando le peculiarità della fattispecie - per soluzioni correlate al caso concreto, v., per esempio, Pret. Bologna 4 novembre 1994; Trib. Milano 25 febbraio 1993; Trib. Genova 23 marzo 1987 - non si può negare che il concetto di “estraneità dei fatti”, legittimanti il recesso alla volontà del conduttore, va rapportato alle cause obiettive che impongano il ridimensionamento o l'incremento dell'attività (Cass. n. 10980/1996, cit.), sicché dovrebbe ammettersi che il conduttore possa operare una scelta di adeguamento strutturale dell'azienda, per renderla rispondente alle sopravvenute esigenze di economicità e produttività (Cass. civ., sez. III, 12 novembre 2003, n. 17042), tanto più che l'andamento dell'attività imprenditoriale non rientra nell'àmbito della prevedibilità, che spetta, comunque, al giudice di merito scrutinare (Cass. civ., sez. III, 18 giugno 2003, n. 9689; Cass. n. 13909/2002, cit.; Cass. n. 10980/1996, cit.; Cass. n. 11466/1992, cit.).

Ecco, allora, che potrebbe integrare grave motivo un andamento della congiuntura economica (sia favorevole sia sfavorevole all'attività di impresa), sopravvenuto ed oggettivamente imprevedibile, che obblighi il conduttore ad ampliare o ridurre la struttura aziendale in misura tale da rendergli particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo (v., più di recente, Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2016, n. 14365).

Per quanto concerne i motivi oggettivi, a questi ultimi possono ricondursi: i vizi della cosa locata, poiché il conduttore può avere maggiore interesse al recesso che alla risoluzione prevista dall'art. 1578 c.c.; così lo scadimento delle condizioni dell'immobile, dell'edificio o del quartiere in cui questo è posto; parimenti, il diniego delle autorizzazioni amministrative necessarie per lo svolgimento dell'attività cui l'immobile deve essere destinato, sempre che ricorra il requisito dell'estraneità alla volontà del conduttore, sopravvenuto ed imprevedibile, per cui il recesso non è legittimo quando, già al momento della stipulazione del contratto, non sussistano i presupposti di fatto e di diritto per conseguire l'autorizzazione (Cass. n. 260/1991, cit.).

Gli oneri di specificazione e di contestazione

Resta fermo che i “gravi motivi” - quali essi siano - posti a fondamento del recesso di cui all'art. 27, comma 8, devono essere specificati nell'atto di preavviso, atteso che tale specificazione inerisce al perfezionamento della dichiarazione di recesso; ne consegue - come puntualizzato da Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13368 - che, ai fini del valido ed efficace esercizio del diritto potestativo di recesso del conduttore, il conduttore non possa esplicitare successivamente le ragioni della determinazione assunta.

Al contempo, la stessa comunicazione di preavviso risponde alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione (Cass. civ., sez. III, 26 novembre 2002, n. 16676; Cass. civ., sez. III, 14 maggio 1997, n. 4238; Cass. n. 10980/1996, cit.), quantunque il conduttore non sia tenuto a fornire spiegazioni (in fatto o in diritto) ed a offrire prove in proposito (Cass. n. 17042/2003, cit.).

In caso di contestazione, spetterà, poi, al giudice verificare la corrispondenza delle ragioni del recesso con quelle enunciate dal conduttore nell'atto di preavviso (Cass. n. 4238/1997, cit.; Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 1996, n. 954).

Ne consegue che il conduttore, il quale intenda recedere dal contratto al ricorrere di un grave motivo, ha unicamente l'onere di comunicarlo al locatore, con lettera raccomandata o altra modalità equipollente, senza dovere altre spiegazioni, né essendo dovuta la prova della sua effettiva ricorrenza, ciò spettando, eventualmente, in caso di contestazione.

La Suprema Corte, inoltre, ha rilevato, in termini più generali, che la violazione di obblighi contrattuali non possa costituire motivo di recesso (Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2005, n. 15620), mentre è dubbio, poi, se il fallimento del locatore autorizzi il recesso del conduttore.

In caso di illegittimo esercizio del recesso, occorre, infine, distinguere il caso in cui il locatore accetti la cessazione del contratto ed il caso in cui il locatore si opponga all'anticipata risoluzione (per alcune fattispecie concrete, v. Pret. Modena 27 novembre 1995; Pret. Legnano 10 agosto 1982).

Nel primo caso, ha luogo lo scioglimento del vincolo per mutuo consenso, con estinzione dell'obbligazione di pagamento del canone, mentre, nel secondo, stante che la locazione non cessa, è dubbio se il conduttore sia tenuto al pagamento del canone fino alla scadenza del termine di preavviso o fino alla fisiologica scadenza del rapporto, oppure se sia tenuto al risarcimento del danno cagionato in concreto.

In conclusione

In ordine, infine, alla corretta individuazione del momento in cui il recesso sopra delineato produce effetti, si possono richiamare le lucide argomentazioni svolte in una recente decisione del Supremo Collegio (Cass. civ., sez. III, 9 settembre 2022, n. 26623).

In particolare, è sorta la questione se l'efficacia del recesso legittimamente esercitato debba spiegarsi solo a seguito del giudiziale accertamento dei gravi motivi di cui all'art. 27, comma 8, della legge n. 392/1978, o se, piuttosto, l'efficacia debba operare sin dal momento della ricezione, da parte del locatore, della dichiarazione di recesso inoltrata dal conduttore.

Sul punto, i giudici di legittimità (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 3 novembre 2020, n. 24266; Cass. n. 954/1996, cit.) hanno avuto modo di osservare che, fatta eccezione del recesso convenzionalmente stipulato con il contratto di locazione contemplato nel comma 7, l'ipotesi prevista nel successivo capoverso è di derivazione diretta dal recesso unilaterale disciplinato dall'art. 1373 c.c. ed inquadra il recesso unilaterale non convenzionalmente convenuto come deroga eccezionale al principio secondo il quale tale rapporto può essere sciolto solo per concorde volontà delle parti.

La deroga è, tuttavia, subordinata a due condizioni, ossia la presenza di gravi motivi che investano la posizione del conduttore ed il preavviso anteriore di sei mesi; tale forma di recesso può, dunque, essere validamente esercitata solo in presenza di “gravi motivi”, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito (v., ex plurimis, Cass. n. 13909/2002, cit.); l'atto di recesso del conduttore, anche se condizionato da una giustificazione obiettiva, produce l'effetto di sciogliere il rapporto di locazione attraverso il meccanismo proprio degli atti unilaterali descritto dall'art. 1334 c.c. e, quindi, dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona cui è indirizzato (Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2015, n. 6895).

Ciò comporta che, nella l. n. 392/1978, è contenuto un principio di vincolatività della dichiarazione, la quale non può essere più revocata dopo la conoscenza da parte del destinatario, per cui, una volta espressa la volontà di recesso, il conduttore non può affidarne l'effetto ad elementi causali non contenuti nell'atto di preavviso, ed il giudice, chiamato a verificare la legittimità del recesso del conduttore, deve verificare che questo corrisponda ai motivi, che devono essere gravi, espressi nell'atto di preavviso.

Pertanto, l'onere, in capo al conduttore, di specificare i gravi motivi contestualmente alla dichiarazione de qua deve ritenersi insito nella facoltà di recesso, la cui comunicazione, in quanto trattasi di recesso “titolato”, non può prescindere - in ciò distinguendosi dal recesso ad nutum - dalla specificazione dei motivi, che valgono a dare, alla dichiarazione di recesso, la precisa collocazione nell'àmbito della fattispecie normativa, sicché tale specificazione inerisce al perfezionamento stesso della dichiarazione di recesso (Cass. n. 24266/2020, cit.; Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2012, n. 549; Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2008, n. 10677; Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2006, n. 7241; Cass. n. 16676/2002, cit.).

Da quanto sopra discende che il suddetto recesso del conduttore, attesa la sua natura di atto unilaterale recettizio, produce l'effetto, ex art. 1334 c.c., per il solo fatto che la relativa dichiarazione pervenga al domicilio del locatore, non occorrendo anche la mancata contestazione, da parte di quest'ultimo, circa l'esistenza o rilevanza dei motivi addotti, con l'ulteriore precisazione che l'eventuale contestazione del locatore, circa l'esistenza o la rilevanza dei “giusti motivi” invocati dal conduttore, non introduce un'azione costitutiva finalizzata ad una sentenza che dichiari sciolto il recedente dal contratto, ma introduce una mera azione di accertamento, il cui scopo è stabilire se esistessero, al momento del recesso, tali giusti motivi (Cass. n. 6895/2015, cit.; Cass. civ., sez. III, 9 luglio 2009, n. 16110; Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 1993, n. 2070).

Ovviamente - puntualizzano i magistrati del Palazzaccio - il dire che l'effetto che il suddetto recesso determina si produce, ai sensi dell'art. 1334 c.c., ossia mediante la manifestazione di volontà unilaterale di recesso da parte del conduttore, connotata dall'indicazione dei gravi motivi, non deve indurre confusione con la produzione degli effetti di tale manifestazione negoziale sul contratto.

Tali effetti, ossia la cessazione della locazione, se ricorrono i giusti motivi, o perché non contestati dal locatore o perché accertati a seguito di contestazione e lite, si determinano dal momento in cui scade il relativo termine, in quanto l'idoneità della volontà negoziale motivata a produrre è per legge differita.

Si ribadisce, tuttavia, che trattasi, in ogni caso, di recesso “titolato”, che non può prescindere dalla specificazione dei motivi, la quale inerisce al perfezionamento stesso della dichiarazione di recesso e risponde alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei motivi sul piano fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso medesimo.

Alla necessità dell'indicazione, nella dichiarazione di recesso, dei motivi posti a fondamento dello stesso dalla parte conduttrice non può non corrispondere l'onere, della parte locatrice, di una contestazione tempestiva e specifica degli stessi, e ciò anche in chiave di tendenziale contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti del contratto, in una “prospettiva di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici e di certezza delle situazioni giuridiche” (così Cass. n. 26623/2022, cit.).

Riferimenti

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Monegat, Quando il conduttore può far valere i gravi motivi per recedere, in Immob. & proprietà, 2017, 459;

Avigliano, Recesso anticipato del conduttore: comunicazione dei gravi motivi, in Ventiquattrore avvocato, 2015, fasc. 5, 23;

Voltan, Il recesso del conduttore per gravi motivi: prospettive e soluzioni operative, in Immob. & proprietà, 2014, 44;

Caputo, Il recesso del conduttore per gravi motivi in tempo di crisi, in Immob. & proprietà, 2013, fasc. 4, 245;

Scripelliti, Il recesso del conduttore nelle locazioni non abitative: il contratto ha forza di legge (art. 1372 c.c.) per entrambe le parti?, in Arch. loc. e cond., 2013, 778;

Scarpa, Il recesso del conduttore dal contratto di locazione, in Immob. & proprietà, 2012, fasc. 2, 112;

Scalettaris, A proposito del recesso del conduttore per gravi motivi, in Riv. giur. edil., 2012, I, 1111;

Carrato, I presupposti per il legittimo esercizio del conduttore di immobile commerciale, in Corr. giur., 2012, fasc. 4, 508;

Mileo, Tutela del locatore in caso di recesso anticipato del conduttore, in Immob. & proprietà, 2010, 111;

Izzo, Il recesso del conduttore nelle locazioni non abitative e le condizioni di validità ed efficacia, in Giust. civ., 2008, I, 1271.

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