Legittimo il rifiuto della prestazione lavorativa da parte del dipendente se il datore di lavoro viola i doveri di garanzia della sicurezza

14 Febbraio 2023

La Corte di Cassazione nel confermare la pronuncia di appello, affronta nuovamente il tema dell'eccezione di inadempimento svolta da parte del lavoratore o della lavoratrice.
Il caso

L'ordinanza in commento (Cass., sez. lav., 12 gennaio 2023, n. 770) conferma la sentenza della Corte d'Appello di Roma (sent. n. 2993/2019) che, nel riformare la pronuncia di primo grado, aveva annullato il licenziamento per giusta di una cassiera di supermercato, alla quale era stato contestato di aver operato in maniera negligente, avendo consentito a tre clienti di oltrepassare la barriera della cassa lasciando i prodotti nei carrelli senza pagare e omettendo di invitarli a depositare la merce sul nastro trasportatore.

In concreto, la corte capitolina accertava che la cassiera, al momento dei fatti, aveva contattato la guardia giurata in servizio segnalando la presenza di persone sospette alla cassa; che nel caso di specie i clienti alla cassa erano in tre e avevano preteso di indicare e pagare un quantitativo di merce palesemente inferiore a quella presente nei carrelli; che la guardia giurata non aveva ritenuto di intervenire a supporto della cassiera prima dell'arrivo dei carabinieri, ma aveva semplicemente invitato la caporeparto a recarsi in cassa per tranquillizzare la dipendente; che la caporeparto si era recata presso la cassa invitando la lavoratrice a continuare regolarmente il proprio lavoro senza timore; che i carabinieri al loro arrivo non erano entrati immediatamente nel supermercato ma, utilizzando un'uscita posteriore dove si trovava la guardia giurata, avevano controllato le telecamere di sorveglianza che riprendevano i tre uomini alla cassa e li avevano poi raggiunti nel parcheggio, dove procedevano al controllo della merce e degli scontrini.

Accertati questi fatti, i giudici di appello ritenevano che la cassiera fosse stata lasciata sola, per un periodo significativo, a fronteggiare tre persone sospette che avevano assunto un atteggiamento univocamente intimidatorio.

In tale univoco contesto il datore di lavoro, tenuto a proteggere i dipendenti, non poteva pretendere che la cassiera si ponesse da sola in contrasto con quei clienti, quando la stessa caporeparto e la guardia giurata avevano deciso di non intervenire e di attendere invece i carabinieri, il cui intervento avrebbe consentito, come poi avvenuto, di recuperare la merce non pagata.

Sulla base di tali premesse, pertanto, la Corte di appello riteneva che l'inadempimento contestato alla lavoratrice, sebbene esistente, non fosse meritevole di alcuna sanzione espulsiva in quanto privo del carattere di illiceità, cioè non rilevante dal punto di vista disciplinare.

Il principio di diritto enunciato dalla sentenza della Cassazione

La Corte di Cassazione nel confermare la pronuncia di appello, affronta nuovamente (a distanza di poco tempo dalla pronuncia del 18 ottobre 2022, n. 30543) il tema dell'eccezione di inadempimento svolta da parte del lavoratore o della lavoratrice.

Richiamando l'ormai consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il rifiuto della prestazione lavorativa del dipendente a fronte dell'inadempimento datoriale deve essere proporzionato e conforme a buona fede (Cass., sez. VI, 1° giugno 2018, n. 14138; Cass., sez. lav., 11 maggio 2018, n. 11408), anche alla luce di una concreta valutazione comparativa delle reciproche condotte da cui emerga il totale inadempimento del datore di lavoro o una condotta datoriale talmente grave da incidere in modo irrimediabile sulle esigenze vitali del dipendente (ex plurimis, Cass., sez. lav., 6 settembre 2022, n. 26199; Cass., sez. lav., 16 gennaio 2018, n. 836; Cass., sez. lav., 21 maggio 2015, n. 10468; Cass., sez. lav., 5 marzo 2015, n. 4474), l'ordinanza in esame si sofferma in particolare sulla violazione dell'obbligo di protezione dell'integrità psico-fisica del prestatore di lavoro prescritta dall'art. 2087 c.c.

A tal proposito, la pronuncia afferma che “con specifico riferimento alla violazione da parte del datore di lavoro dell'obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c., si è considerato legittimo il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione, conservando, al contempo, il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore (v. Cass. n. 28353/2021; Cass. n. 6631/2015), posto che è in gioco il diritto alla salute di rilievo costituzionale”.

Ne consegue che essendo stata omessa, nel caso di specie, l'adozione delle particolari misure di sicurezza (cd. "innominate") richieste dall'art. 2087 c.c. anche con riferimento a condizioni lavorative potenzialmente pericolose (derivando la pericolosità dalla movimentazione di somme di denaro, cfr. Cass., sez. lav., 18 novembre 2019, n. 29879; Cass., sez. lav., 5 gennaio 2016, n. 34), tanto da esporre la cassiera ad un concreto pericolo per la propria incolumità, il suo inadempimento deve considerarsi legittimo e giustificato, proprio nella prospettiva dell'art. 1460, secondo comma c.c.: il fatto contestato alla dipendente, pertanto, è privo di rilievo disciplinare.

Rifiuto della prestazione lavorativa e violazione dell'art. 2087 c.c. nella giurisprudenza di legittimità e di merito

Abbiamo detto che l'ordinanza in questione richiama un filone giurisprudenziale che può dirsi ormai dominante, tanto a livello di legittimità quanto di merito.

Secondo questo consolidato orientamento, infatti, la violazione del cogente obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c. da parte del datore di lavoro legittima i lavoratori a non eseguire la prestazione, eccependo l'inadempimento altrui (Cass., sez. lav., 15 ottobre 2021, n. 28353; Cass., sez. lav., 25 settembre 2018, n. 22684; Cass., sez. lav., 19 gennaio 2016, n. 836).

A fondamento di ciò si pone l'esigenza di protezione, di rilievo costituzionale, dei beni vitali presidiati dall'art. 2087 c.c., esigenza che richiede meccanismi di tutela delle situazioni soggettive lese –anche solo potenzialmente- in tutte le forme che l'ordinamento conosce.

Ne deriva pertanto, al fine di garantire l'effettività della tutela in ambito civile, l'ammissibilità nell'ordinamento giuridico italiano non solo dei rimedi giurisdizionali volti all'adempimento dell'obbligo di sicurezza o alla cessazione del comportamento lesivo o al risarcimento del danno subito, ma anche del potere di autotutela contrattuale rappresentato dall'eccezione di inadempimento, che si può in concreto sostanziare nel rifiuto della prestazione lavorativa allorché si svolga in un ambiente nocivo, soggetto al controllo dell'imprenditore (cfr. Cass., sez. lav., 15 ottobre 2021, n. 28353, cit.; Cass., sez. lav., 19 gennaio 2016, n. 836, cit.).

Quale corollario di questo importante strumento di autotutela riconosciuto a favore del lavoratore e della lavoratrice attualmente o potenzialmente lesi nel fondamentale diritto alla salute, si pone altresì il diritto alla retribuzione in costanza del rifiuto allo svolgimento della prestazione lavorativa, in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore" (Cass., sez. lav., 1° aprile 2015, n. 6631).

Si tratta di un orientamento ormai consolidato anche nella giurisprudenza di merito, che sul piano dei principi riconduce i doveri di protezione ex art. 2087 c.c. alla categoria degli obblighi datoriali “principali” (analogamente al pagamento della retribuzione e al versamento dei contributi previdenziali), la cui violazione configura un inadempimento di tale gravità, da legittimare la condotta reattiva del dipendente che rifiuti la prestazione richiesta (Corte d'Appello di Roma, sez. lav., 18 agosto 2022, n. 3043).

Nella prassi, si è stata pertanto riconosciuta la legittimità:

- del rifiuto a presentarsi a lavoro opposto dal dipendente in assenza di una visita medica di idoneità lavorativa da parte dal datore di lavoro, posto che “l'effettuazione della visita medica si colloca all' interno del fondamentale obbligo imprenditoriale di predisporre e attuare le misure necessarie a tutelare l' incolumità e la salute del prestatore di lavoro, secondo le previsioni della normativa specifica di prevenzione e dell'art. 2087 c.c.; sicché la sua omissione, integrando un inadempimento della parte datoriale di rilevante gravità, risulta tale da determinare una rottura dell'equilibrio sinallagmatico e da conferire, pertanto, al prestatore di lavoro una legittima facoltà di reazione (Trib. Milano, sez. lav., 4 luglio 2022, n. 1723, est. Lombardi, che ha annullato il relativo licenziamento per assenza ingiustificata);

- del rifiuto allo svolgimento della prestazione lavorativa del dipendente che abbia eccepito l'esistenza di un ambiente di lavoro nocivo, a causa di condizioni igieniche precarie (Corte d'Appello di Torino, sez. lav., 6 aprile 2022, n. 91, degrado dovuto a sporcizia e a mancanza di sanificazione dei locali aziendali, anche in questo caso con l'annullamento del licenziamento irrogato per grave insubordinazione).

In altri casi, i giudici di merito hanno trattato incidentalmente il tema nell'ambito di domande risarcitorie, ribadendo che il dovere di protezione prescritto dall'art. 2087 c.c. è fonte di obblighi positivi (e non solo di mera astensione) del datore di lavoro, “il quale è tenuto a predisporre un ambiente ed una organizzazione di lavoro idonei alla protezione del bene fondamentale della salute, funzionale alla stessa esigibilità della prestazione lavorativa, talché è possibile per il prestatore eccepirne l' inadempimento e rifiutare la prestazione pericolosa” (cfr. Trib. Milano, sez. lav., 30 agosto 2022, n. 1790, est. Capelli; conf. Trib. Bergamo, sez. lav., 7 novembre 2022, n. 480; analogamente, nella giurisprudenza amministrativa, cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 24 marzo 2022, n. 1030; Cons. Stato, sez. VI, 10 dicembre 2018, n. 6952).

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