Ordinanza di assegnazione del credito: limiti di sindacabilità con l'opposizione all'esecuzione
14 Febbraio 2023
Massima
Quando la cessione del credito avvenga per contratto e non per atto unilaterale, la notificazione dell'atto di cessione al debitore ceduto da parte del cessionario, nei rapporti tra essi è inidonea a dimostrare l'avvenuta cessione del contratto, se priva della sottoscrizione anche del cedente. Una volta che il terzo pignorato abbia reso una dichiarazione di quantità ritenuta positiva dal giudice dell'esecuzione, sia stata pronunciata l'ordinanza di assegnazione e questa non sia stata opposta, nella successiva procedura esecutiva iniziata dal creditore nei confronti del terzo pignorato, sulla base del titolo esecutivo rappresentato dall'ordinanza di assegnazione, è inibito al terzo pignorato far valere fatti modificativi od estintivi del proprio debito nei confronti del debitore principale, a meno che non siano sopravvenuti all'ordinanza di assegnazione. Il caso
Nel 2017 la società cooperativa Consorzio Operatori Edili (COE) iniziò l'esecuzione forzata, nelle forme dell'espropriazione presso terzi, nei confronti del proprio debitore ARPA FE s. coop. a r.l. In particolare, la società creditrice pignorò il credito vantato dalla debitrice nei confronti dell'Agenzia Regionale per la Prevenzione, l'Ambiente e l'Energia dell'Emilia-Romagna (ARPAE). Il giudice dell'esecuzione qualificò come positiva la dichiarazione di quantità compiuta dal terzo pignorato e assegnò il credito alla COE. L'ARPAE propose opposizione all'ordinanza di assegnazione eccependo l'insussistenza, e comunque l'inesigibilità, del credito oggetto dell'assegnazione, ma l'adito giudice dell'esecuzione del Tribunale di Reggio Emilia dichiarò inammissibile l'opposizione perché tardiva. Pertanto, la COE, sulla base dell'ordinanza di assegnazione iniziò una nuova esecuzione forzata nei confronti dell'ARPAE, notificandole il precetto. L'ARPAE propose opposizione ex art. 615 c.p.c., deducendo che: a) la COE aveva ceduto il proprio credito ad una società bulgara prima della notifica del precetto; la cessionaria, a sua volta, l'aveva ceduto ad altra società bulgara b) il credito oggetto di pignoramento scaturiva da un contratto di appalto di opera pubblica nel quale l'appaltatore (vale a dire il debitore esecutato nella procedura esecutiva a monte dell'ordinanza di assegnazione) non aveva prestato le garanzie di legge, il che rendeva inesigibile il suo credito verso l'amministrazione committente. Il Tribunale di Bologna rigettò l'opposizione sulla base di due rationes decidendi, e cioè: a) la cessione del credito non era provata, perché l'atto di cessione era sottoscritto dal solo cedente; b) le contestazioni sollevate dall'ARPAE circa l'esigibilità del credito oggetto di pignoramento dovevano essere fatte valere con l'opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza di assegnazione, e non con l'opposizione all'esecuzione avverso il precetto notificato sulla base di quell'ordinanza. La sentenza fu appellata dalla parte soccombente. La Corte d'Appello di Bologna accolse il gravame proposto dall'ARPAE e, con esso, l'opposizione all'esecuzione iniziata dalla COE. La Corte d'Appello ritenne che: a) prima della notifica del precetto all'ARPAE, la COE aveva ceduto il credito di cui all'ordinanza di assegnazione alla società bulgara; b) la cessione era stata ritualmente comunicata alla debitrice ceduta; c) era irrilevante la circostanza che il contratto di cessione del credito non risultasse sottoscritto dal cessionario. Quest'ultimo, infatti, aveva manifestato per facta concludentia la volontà di accettare la cessione notificando di propria iniziativa il suddetto contratto al debitore ceduto; d) era altresì irrilevante la circostanza che il titolo esecutivo non fosse stato consegnato dal cedente al cessionario, in quanto tale consegna non era essenziale per la conclusione del contratto di cessione; e) il credito oggetto di pignoramento (e cioè il corrispettivo dell'appalto dovuto dall'ARPAE al debitore esecutato) era divenuto inesigibile per fatti successivi alla dichiarazione di quantità, perché solo dopo tale dichiarazione l'appaltatore-creditore aveva violato l'obbligo di prestare garanzia fideiussoria, obbligo cui era subordinato il pagamento del corrispettivo. Correttamente, pertanto, l'ARPAE aveva sollevato tale eccezione nel giudizio di opposizione all'esecuzione iniziata sulla base dell'ordinanza di assegnazione. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione dalla COE con ricorso fondato su tre motivi (di cui, per quanto di interesse ai fini del presente commento, saranno analizzati il primo e il terzo) Col primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360, n. 3), c.p.c., la violazione degli artt. 1326, 1334 e 2697 c.c. Nella illustrazione del motivo è formulata una tesi giuridica così riassumibile: a) qualsiasi contratto è concluso nel momento in cui il proponente ha notizia dell'accettazione; b) nel caso di specie la Corte d'Appello ha ritenuto che il contratto di cessione del credito dalla COE (cedente) alla società bulgara (cessionaria) dovesse ritenersi concluso perché quest'ultima, notificando la cessione al debitore ceduto, aveva dimostrato con un comportamento concludente di accettare la proposta contrattuale; c) tale affermazione sarebbe tuttavia erronea in punto di diritto, giacché l'accettazione rivolta a persona diversa dal proponente non vale a provocare la conclusione del contratto. Aggiunge la ricorrente che l'onere di provare l'avvenuta conclusione del contratto di cessione del credito incombeva sull'ARPAE, e tale onere non era stato assolto. Col terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 553, 615 e 617 c.p.c. Il motivo investe la sentenza d'appello nella parte in cui ha ritenuto che legittimamente la ARPAE potesse far valere, con l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., la questione della inesigibilità del credito vantato dal debitore esecutato nei confronti del terzo pignorato ARPAE. Deduce la ricorrente che, quando l'esecuzione abbia luogo sulla base di un'ordinanza di assegnazione pronunciata all'esito del pignoramento di crediti, il terzo pignorato (che ha assunto la veste di debitore esecutato) può opporre al creditore procedente soltanto i fatti modificativi o estintivi sopravvenuti all'ordinanza di assegnazione. La questione
Le questioni giuridiche affrontate e risolte dal provvedimento in commento sono sostanzialmente due, alle quali corrispondono i due principi di diritto contestualmente affermati. In primo luogo – e a ciò sollecitata dal primo motivo di ricorso – la Cassazione ha chiarito quali siano i presupposti del perfezionamento della cessione di credito avvenuta tramite contratto, risolvendola tramite l'applicazione delle norme di diritto comune in materia di conclusione dei contratti. La seconda questione affrontata, innescata dalla proposizione del terzo motivo di ricorso, riguarda le modalità (e i rimedi) a disposizione del debitore per reagire all'esecuzione intrapresa a suo carico mediante un titolo esecutivo giudiziale (rappresentato, nella specie, dall'ordinanza di assegnazione del credito), allo scopo di negare l'esistenza del diritto di credito portato dal titolo esecutivo e, con esso, il diritto del creditore di procedere in executivis. Le soluzioni giuridiche
Il primo motivo di ricorso viene giudicato dalla Cassazione fondato. A tal proposito, la Corte rileva come il giudice di seconde cure abbia accertato in punto di fatto che la cessione del credito avvenne per contratto, e non per atto unilaterale del cedente. Ha, di conseguenza, fondato la propria decisione sull'assunto che il contratto di cessione si era concluso nel momento in cui il destinatario della proposta (la società bulgara) aveva comunicato la propria accettazione al terzo ceduto (ARPAE). L'errore di diritto è dunque evidente, giacché l'accettazione di qualsiasi proposta contrattuale va rivolta al proponente, e non a terzi. Anche il terzo motivo di ricorso presentato viene giudicato fondato. A giustificazione della propria decisione di accoglimento, la Suprema Corte chiarisce che quando sia pronunciata l'ordinanza di assegnazione, questa diventa la fonte dell'obbligazione del terzo pignorato nei confronti del creditore esecutante. Di conseguenza, il terzo pignorato (che per effetto dell'ordinanza di assegnazione assume la veste di debitore del creditore procedente) può proporre opposizione all'esecuzione soltanto se intenda opporre al creditore assegnatario fatti sopravvenuti, estintivi o impeditivi della pretesa creditoria, relativi ai suoi rapporti col creditore procedente (come, ad esempio, l'avvenuto pagamento del debito nelle mani di quest'ultimo: ex multis, Cass., 3 giugno 2015, n. 11493; Cass., 5 maggio 2017, n. 10912). Se, invece, il credito oggetto di pignoramento e di assegnazione divenga inesigibile o non dovuto per fatti attinenti al rapporto tra originario debitore esecutato e terzo pignorato, quest'ultimo dovrà ricorrere non all'opposizione all'esecuzione (legittimamente iniziata sulla base di un legittimo titolo, e cioè l'ordinanza di assegnazione), ma a un ordinario giudizio di cognizione, per fare accertare che il terzo pignorato non è più tenuto ad effettuare pagamenti al creditore assegnatario del credito (così, tra le più recenti, Cass., 21 aprile 2022, n. 12690). Conseguentemente, il provvedimento in commento ha disposto la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Bologna, in differente composizione, la quale tornerà ad esaminare l'appello proposto dalla ARPAE applicando il principio di diritto riportato nella Massima del presente commento. Osservazioni
Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso proposto, è interessante rilevare che ARPAE, con il proprio controricorso, aveva proceduto a formulare una obiezione, secondo la quale la cessione del credito si era perfezionata per atto unilaterale e non per contratto, e di conseguenza era inutile, ai fini dell'efficacia della cessione, la sottoscrizione del cessionario. L'obiezione non viene tuttavia condivisa dalla Suprema Corte, in quanto la Corte d'appello ha qualificato espressamente la fattispecie negoziale come contratto, senza che avverso tale statuizione, sia stata proposta impugnazione. Non è quindi possibile, in sede di legittimità, procedere ad una nuova qualificazione della fattispecie concreta nel senso invocato dalla ricorrente, e cioè reputando che la cessione avvenne per atto unilaterale, invece che per contratto. In relazione alla seconda questione giuridica esaminata, è ampiamente noto che, quando, come nel caso di specie, l'esecuzione sia avviata in forza di un titolo esecutivo giudiziale (quale appunto l'ordinanza di assegnazione del credito), la particolare modalità di formazione del titolo (all'interno o all'esito di un giudizio) si riflette in ciò, che il debitore che voglia contestare l'esistenza del diritto in esso portato è onerato di far valere i vizi inerenti all'esistenza del credito o alla validità del titolo all'interno del processo in cui l'atto si forma, e dunque tramite l'ordinario sistema di rimedi che l'ordinamento appresta per reagire avverso il provvedimento in questione. L'invalidità e l'ingiustizia del provvedimento, in altri termini, devono essere fatte valere tramite l'impugnazione del provvedimento stesso: in mancanza, in applicazione del generale principio di cui all'art. 161, 1°co., c.p.c., il vizio resterà sanato e non sarà più possibile farlo valere in sede esecutiva. Pertanto, laddove il convenuto-debitore intenda negare l'esistenza del diritto di credito del creditore-attore, contestando, ad esempio, la decisione data dal giudice di merito circa l'esistenza di fatti estintivi, impeditivi o modificativi di tale diritto, dovrà farlo spendendo specifici motivi di impugnazione del provvedimento: nel caso di specie, avrebbe dovuto provvedervi contestando l'ordinanza di assegnazione del credito. In mancanza, egli non potrà contestare l'esistenza del diritto di credito portato da un titolo esecutivo giudiziale con l'opposizione all'esecuzione, nell'ambito della quale faccia valere fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto di credito dedotti (ma ritenuti inesistenti) o deducibili nel procedimento in cui il titolo si è formato: il rimedio istituzionale è, in tal caso, rappresentato dall'impugnazione del provvedimento. L'opposizione all'esecuzione, quando l'azione esecutiva sia fondata su un titolo giudiziale, trova così un concreto spazio operativo solo per far valere in sede esecutiva fatti estintivi, impeditivi o modificativi che siano sopravvenuti rispetto al giudizio di merito. Tale principio è stato peraltro recentemente ribadito dalle Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno affermato che “nel caso di titolo esecutivo giudiziale, con l'opposizione non si possono addurre contestazioni su fatti anteriori alla sua formazione o alla sua definitività, deducibili esclusivamente coi mezzi di impugnazione previsti dall'ordinamento contro di quello; le contestazioni per fatti posteriori alla definitività o alla maturazione delle preclusioni non integrano un'impugnazione del titolo, ma l'articolazione di fatti di cui quello non ha legittimamente potuto tener conto e per la cui omessa considerazione non potrebbe mai considerarsi inficiato: ed in entrambi i casi non può tecnicamente impugnarsi un titolo per un vizio non suo proprio” (Cass., sez. un., 23 luglio 2019, n. 19889). Riferimenti
Sulle specifiche questioni si rinvia, oltre alla giurisprudenza citata nel testo, a:
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