La Suprema Corte, nell'annullare con rinvio la sentenza di condanna emessa dalla Corte d'Appello, ritiene che le doglianze formulate dal ricorrente in ordine alla sussistenza del nesso causale siano fondate.
Poichè è “causa” di un evento quell'antecedente senza il quale l'evento stesso non si sarebbe verificato, per effettuare il giudizio controfattuale, si rende necessario ricostruire con precisione la sequenza fattuale che ha condotto all'evento, chiedendosi poi se, ipotizzando come realizzata la condotta dovuta dall'agente, l'evento lesivo si sarebbe o meno evitato o posticipato (Cass. pen., sez. IV, 4 ottobre 2012, n. 43459).
A tal proposito la Corte specifica che in tema di responsabilità medica diviene indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo è possibile verificare se, laddove il sanitario avesse posto in essere la condotta dovuta, l'evento lesivo sarebbe stato o meno evitato o differito (Cass. pen., sez IV, 4 ottobre 2012 n. 43459).
Di estrema rilevanza è dunque la ricostruzione degli anelli determinanti della sequenza eziologica, necessari per stabilire se sussista o meno il nesso di condizionamento tra la condotta del medico e l'evento lesivo. Infatti, solamente conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici la scaturigine e il decorso della malattia, è possibile analizzare la condotta colposa addebitata al sanitario al fine di effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche o delle massime di esperienza che si attagliano al caso concreto.
Occorre tuttavia tenere ben distinto il profilo della ricostruzione della sequenza eziologica che, rerum natura, ha portato alla verificazione dell'evento, da quello del giudizio controfattuale.
Il primo profilo inerisce alla ‘'causalità materiale'', mentre il secondo alla ‘'causalità giuridica''.
Se risulta incertezza sull'effettivo snodarsi, sul piano naturalistico, della catena causale, non vi è strumento argomentativo che possa trasformare tale incertezza in imputazione causale; mentre, ove il dubbio asserisca al giudizio controfattuale, il giudice si troverà di fronte al concetto di probabilità. Il giudizio controfattuale è infatti per definizione un giudizio ipotetico e tale caratteristica è connaturale a un determinato tasso di probabilismo.
A tal proposito la Corte aggiunge che: «un'adeguata analisi del concetto di giudizio controfattuale non può prescindere dalla disamina della crisi che ha progressivamente investito il modello causale: si è infatti rilevata la sempre più frequente presenza di trame causali oscure, a fronte della quali si registra un chiaro deficit dei paradigmi conoscitivi di matrice scientista.
Si è constatato come la causalità di impronta deterministica soffra di una crisi profonda generata dall'impossibilità di spiegare non monoliticamente gli eventi: dunque il carattere indomabile delle serie azioni causali ha messo a nudo i limiti della scienza e la contraddittorietà delle sue valutazioni. La scienza, infatti, non è in grado di conoscere le interazioni tra i diversi fattori eziologici, sicché viene impossibile isolare, nella rete causale multipla, le condizioni necessarie all'evento. Paradigmatica, al riguardo, è la fenomenologia che si presenta nel settore della responsabilità professionale medica».
Tutto quanto appena illustrato pone in rilievo come, allo stato attuale delle conoscenze, la medicina costituisca il regno del ragionamento incerto.
Mentre infatti nel contesto delle sequenze eziologiche di carattere lineare è possibile - sulla base di un parametro nomologico di elevata affidabilità – isolare un ben preciso fattore da porre in correlazione causale con l'evento morte, in molti altri contesti, i collaudati schemi deterministici (monocausali) di interpretazione della malattia, sono stati sostituiti da un paradigma imperniato sulla causazione multipla e reticolare.
In questo quadro, la complessità della ricostruzione eziologica è da ricercare nella sua circolarità.
Oggetto della fattispecie concreta in esame è il meccanismo della cancerogenesi, la cui circolarità dei fattori eziologici dà luogo a un fenomeno la cui complessità è destinata ad accrescersi perché le resistenze individuali dipendono a loro volta dalle condizioni generali dell'individuo dalla sua storia personale dalla sua conformazione genetica e via dicendo. Di qui la natura essenzialmente probabilistica dei tumori e l'impossibilità di formulare predizione individuali.
L'epidemiologia dei tumori ha infatti da tempo rinunciato alla tradizionale concezione aristotelica fondata su cause necessarie e sufficienti sulla ricerca di lesioni anatomiche univoche e caratteristiche per ogni malattia e su una rigida tassonomia delle cause e delle malattie.
È in questo ordine di idee che lo studio delle malattie croniche è approdato l'enucleazione di un modello causale probabilistico e multifattoriale.
Occorre dunque prendere atto della mancanza di leggi di copertura che siano connotate da una regolarità tale da consentire di istituire una correlazione tra le concause e l'evento che permette di affermare che, ove ricorra un dato plesso eziologico, l'accadimento lesivo conseguirà con elevata probabilità. Il modello deterministico viene così sostituito da reti di causazione multipla.
Dunque, laddove interazioni causali diventino complesse e assumano una fisionomia reticolare, la scienza si dimostra spesso incapace di decriptarle.
La Corte evidenzia così il punto focale della problematica in disamina: nell'ambito della causalità sistemica si registra un interagire di fattori in un contesto all'interno del quale è certo che un determinato fattore abbia arrecato un contributo eziologico talora di rilevante portata, ma è assai incerto se, in assenza di esso, l'evento si sarebbe verificato o meno. In questo orizzonte, la ricostruzione delle sequenze causali si risolve a talora in una relazione di mera possibilità implicativa fra l'antecedente e il conseguente.
In relazione specificamente al caso dell'omessa diagnosi precoce di un tumore, si sostiene che, poiché la sopravvivenza si riduce in funzione del progredire della patologia, esista nesso di causalità tra la mancata tempestiva diagnosi della neoplasia e l'evoluzione del tumore. È però evidente come tale correlazione non possa essere istituita in termini deterministici, esistendo innumerevoli casi di tumori diagnosticati e trattati adeguatamente a uno stato iniziale che, ciononostante, conducono a morte il soggetto in tempi quanto mai rapidi. Da un lato non è sostenibile che il ritardo diagnostico terapeutico non apporti alcun contributo eziologico nel processo patologico, in quanto non vi è dubbio che ove la diagnosi del tumore e le conseguenti terapie medico chirurgiche intervengano tempestivamente, si evita di lasciar trascorrere un lasso di tempo durante il quale la patologia ha modo di progredire e, in ipotesi, di mestatatizzare.
La Corte precisa però che il giudice deve adeguatamente motivare la conclusione sulla possibile esistenza di fattori alternativi di spiegazioni dell'evento e non può contrapporre ai dati di fatto accertati mere congetture per ipotizzare tali spiegazioni alternative (Cass. pen., sez. IV, 2 marzo 2005. Herreros). Le Sezioni Unite hanno ribadito che il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di altra probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sulla base dell'analisi delle connotazioni del fatto storico e delle peculiarità del caso concreto (Cass. pen., sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343 Rv. 261103).
Nel caso in esame, dalla motivazione del provvedimento impugnato emerge che anche se la diagnosi fosse stata tempestiva la probabilità di sopravvivenza a 5 anni non avrebbe superato il 25%: da ciò si evince come nel 75% delle probabilità, anche se la diagnosi e la terapia fossero state tempestive, la persona offesa sarebbe morta lo stesso. Non è dunque possibile formulare in termini di alta probabilità logica o credibilità razionale il giudizio contro fattuale.
A ciò si aggiunga che la Corte d'appello sembra avere ignorato l'effettiva portata delle conclusioni della perizia espletata: il perito aveva infatti concluso nel senso che non è possibile stabilire un nesso causale con un livello di probabilità prossimo alla certezza tra il ritardo diagnostico di circa 9 mesi e il decesso della paziente, che invece va più che verosimilmente attribuito all'aggressività intrinseca della neoplasia.
La Corte d'appello avrebbe dunque dovuto confrontarsi con tali conclusioni delle indagini per Italia che invece ha completamente ignorato. Ciò costituisce pertanto un vizio della sentenza impugnata che non può non imporre un pronunciamento rescindente.