Aumento del capitale sociale in presenza di perdite

Federico Piccione
15 Febbraio 2023

Le norme che dettano il c.d. "circuito di allarme" in presenza di perdite hanno carattere inderogabile o vi è un margine per seguire strade alternative rispetto a quelle codicistiche? Passando in rassegna le elaborazioni giurisprudenziali, dottrinali e notarili succedutesi nel tempo, il contributo si propone di valutare la legittimità di una deliberazione di aumento del capitale sociale non preceduta dalla riduzione del capitale in misura corrispondente alla perdita accertata, esaminando le diverse fattispecie ipotizzabili a seconda dell'entità della perdita rispetto al valore nominale del capitale.
Introduzione

Dopo un periodo di sostanziale oblio al quale era stato consegnato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, il tema dell'aumento di capitale in presenza di perdite ha ritrovato dignità di trattazione grazie alla massima del Consiglio Notarile di Milano n. 122/2011 (cfr. Consiglio Notarile di Milano, massima n. 122 del 18 ottobre 2011 (Aumento di capitale in presenza di perdite), in www.consiglionotarilemilano.it), che ha affermato - con le precisazioni di cui infra - la legittimità di siffatta operazione.

Nello stesso solco concettuale si sono iscritte le elaborazioni notarili sviluppatesi nel contesto pandemico (sul tema, cfr. Consiglio Notarile di Milano, massima n. 196 del 23 febbraio 2021 (Sospensione della disciplina in tema di riduzione obbligatoria del capitale a copertura di perdite, nel periodo dell'emergenza Covid-19), sostitutiva della massima n. 191 del 16 giugno 2020 (Sospensione della disciplina in tema di riduzione obbligatoria del capitale a copertura di perdite, nel periodo dell'emergenza Covid-19), in www.consiglionotarilemilano.it), che hanno ribadito la convergenza degli operatori giuridici verso l'ammissibilità dell'aumento di capitale al ricorrere di perdite, che il presente contributo si propone di analizzare distinguendo a seconda che le perdite siano:

(i) inferiori al terzo del capitale sociale;

(ii) superiori al terzo del capitale sociale, ma non tali da ingenerare l'obbligo di riduzione ai sensi degli artt. 2446, comma 2 e 2447 c.c. (per le S.p.A.) e 2482-bis, comma 4 e 2482-ter c.c. (per le S.r.l.);

(iii) superiorial terzo del capitale sociale e tali da ingenerare l'obbligo di riduzione ai sensi delle predette disposizioni.

Perdite inferiori al terzo del capitale sociale

Le norme codicistiche sopra richiamate concorrono a formare un "circuito di allarme" che si attiva a tutela del c.d. principio di effettività del capitale sociale laddove la perdita registrata sia (almeno) pari ad un terzo del capitale sociale (per una rassegna degli interessi presidiati dalle norme che vigilano sull'esistenza del capitale sociale (e la relativa bibliografia), cfr. A. Busani - G.O. Mannella, Juventus F.C. e "dintorni": l'aumento del capitale sociale in presenza di perdite, in Soc., 2011, 11, 1291).

Qualora, invece, la perdita sia inferiore al terzo del capitale sociale, il sistema non prevede particolari conseguenze (salva la non distribuibilità di eventuali utili di esercizio sino a concorrenza delle perdite ex artt. 2433, comma 3, c.c., per le S.p.A., o 2478-bis, comma 5, c.c., per le S.r.l.) alcun obbligo informativo a favore dei terzi (i quali, comunque, sono adeguatamente resi edotti della situazione patrimoniale societaria sia attraverso le risultanze del bilancio di esercizio sia attraverso l'indicazione del capitale "esistente" contenuta negli atti e nella corrispondenza della società ex art. 2250, comma 2, c.c.).

L'assenza di una disciplina specifica dettata per la fattispecie di perdite inferiori al terzo del capitale sociale - a differenza di quanto previsto dall'apparato normativo approntato in caso di perdite pari o superiori a tale soglia - porta a desumere come il sistema mostri di ritenere fisiologico il disallineamento tra capitale reale e capitale nominale che sia contenuto entro detto limite.

Conseguentemente, in presenza di perdite entro il terzo, la società potrebbe adottare tutte le decisioni dalla stessa ritenute opportune, tra le quali il Consiglio Notarile di Milano - in senso conforme rispetto all'orientamento maggioritario, che ha raggiunto lo status di "cognizione definitivamente acquisita" (espressione di A. Busani - G.O. Mannella, cit., 1294. L'orientamento maggioritario è rappresentato (ex multis): (i)in giurisprudenza, da Cass., 13 gennaio 2006, n. 543, in Riv. not., 2006, 1075; Trib. Roma, 25 novembre 2008, (per quanto consta) inedita; e (ii) in dottrina, da M. Atlante, La tutela del socio e la riduzione del capitale nella S.p.A., in Riv. not., 1974, 1239;N. Atlante, Società di capitali: aumento a pagamento del capitale in presenza di perdite inferiori al terzo, in www.notariato.it; F. Fenghi, La riduzione del capitale, Milano, 1974, 74; L. Genghini - P. Simonetti, Le società di capitali e le cooperative, Padova, 2012, II, 651; C. Montagnani, Profili attuali della riduzione del capitale sociale, in Riv. dir. civ., 1993, 38; B. Quatraro - R. Israel - S. D'Amora - G. Quatraro, Trattato teorico-pratico delle operazioni sul capitale, Milano, 2001, 431; V. Salafia, Riduzione per perdite inferiori al terzo, in Soc., 1989, 289; G.A.M. Trimarchi, Le riduzioni del capitale sociale, Milano, 2010, 251. Per completezza, si segnala anche un orientamento minoritario che - argomentando principalmente in forza di una sorta di immanenza del principio di effettività del capitale sociale nel nostro sistema - ha negato l'ammissibilità di una delibera di aumento di capitale in presenza di perdite inferiori al terzo. Sul tema, cfr.: (i) in giurisprudenza, Trib. Udine, 1° febbraio 1993, in Soc., 1993, 1075; Trib. Verona, 22 novembre 1988, in Soc., 1989, 289; e (ii) in dottrina, C.A. Busi, Riduzione del capitale nelle S.p.A. e nelle S.r.l., Milano, 2010, 298; F. Platania, sub art. 2438, in G. Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, Milano, 2006, 449) - fa rientrare l'aumento a titolo oneroso del capitale sociale, deliberabile senza la necessità di una previa copertura delle perdite esistenti e di un previo appuramento dell'esatto ammontare delle stesse (sul tema, cfr. Consiglio Notarile di Milano, cit., secondo cui "le società di capitali possono legittimamente assumere qualsiasi deliberazione di aumento a pagamento del capitale sociale, pur in presenza di perdite inferiori a un terzo, in qualsiasi momento (anche dopo più di un esercizio dal momento in cui esse sono state rilevate) e di qualsiasi importo che sia deciso dall'assemblea. L'effetto dell'esecuzione dell'aumento, ovviamente, sarà di incrementare il capitale sociale e il patrimonio netto, lasciando intatte le perdite, quale posta negativa all'interno del patrimonio netto". Sulla legittimità (e l'opportunità) di un aumento di capitale in presenza di perdite entro il terzo, cfr. altresì A. Busani - G.O. Mannella, cit., 1294, secondo i quali tale operazione "potrebbe rivelarsi salutare per la società stessa: l'aumento di capitale permette infatti alla società di ridurre, seppur in parte, l'entità della perdita conseguita e comunque la dota di nuovi mezzi patrimoniali, con indubbio vantaggio per gli stessi creditori. L'unica conseguenza del mancato ripianamento resta interna alla società, poiché rimane vigente il divieto di distribuire utili ai soci: ciò che evidentemente può 'disturbare' il socio-investitore, ma non il socio-imprenditore e nemmeno, ovviamente, i terzi interessati alla solidità patrimoniale della società").

Perdite superiori al terzo del capitale sociale, senza obbligo di riduzione

Laddove la perdita sia superiore al terzo del capitale sociale, ma non tale da comportare un obbligo di riduzione, gli artt. 2446 e 2482-bis c.c. obbligano gli amministratori a convocare senza indugio l'assemblea perché la stessa adotti gli "opportuni provvedimenti".

La tesi attualmente maggioritaria ritiene che tra gli "opportuni provvedimenti" rientri (anche) l'aumento a titolo oneroso del capitale sociale (l'orientamento maggioritario è rappresentato (ex multis): (i) in giurisprudenza, da App. Napoli, 5 dicembre 1989, in Gazz. Not., 1989, 219; Trib. Roma, 10 settembre 1984, in Soc., 1985, 606; App. Bologna, 3 settembre 1971, in Vita not., 1973, 458; (ii) in dottrina, da N. Abriani, La riduzione del capitale sociale nelle S.p.A. e nelle S.r.l.. Profili applicativi, in Riv. dir. impr., 2009, 195; R. Barabino, Riduzione del capitale per perdite e deliberazioni d'aumento, in Giur. Comm., 1974, II, 673; U. Belviso, Le modificazioni dell'atto costitutivo nelle S.p.A., in P. Rescigno (diretto da), Trattato di diritto privato, Torino, 1985, XVII, 137; N. Di Mauro, La riduzione del capitale per perdite in dottrina e giurisprudenza, in Riv. not., 1990, II, 1109; A. Forte - G. Imparato, Aumenti e riduzioni del capitale, Milano, 1998, 213; F. Fenghi, cit., 74; G. Grippo, Modificazioni dell'atto costitutivo, recesso e variazioni del capitale sociale, in Giur. Comm., 1975, I, 123; F. Guerrera, sub artt. 2446-2447, in G. Niccolini - A. Stagno D'Alcontres (a cura di), Società di capitali. Commentario, Napoli, 2004, 1206; G. Laurini, La società a responsabilità limitata post riforme, Padova, 2014, 78; C. Montagnani, cit., 39; R. Nobili - M.S. Spolidoro, Riduzione di capitale, in G.E. Colombo - G.B. Portale (diretto da), Trattato delle società per azioni, Torino, 1993, 323; M. Speranzin, sub art. 2438, in F. D'Alessandro (diretto da), Commentario romano al nuovo diritto delle società, Padova, 2011, 832; G.A.M. Trimarchi, cit., 251; G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Commentario Schlesinger, Milano, 2010, II, 1675; e (iii) nella prassi notarile, da Consiglio Nazionale del Notariato, Quesito di Impresa n. 302-2014/I, Ripianamento perdite nelle S.p.A. mediante utilizzazione di riserve da rivalutazione, in CNN Notizie del 19 novembre 2015. Per completezza, si segnala anche un orientamento minoritario espressosi nel senso dell'impossibilità di qualificare l'aumento di capitale quale "opportuno provvedimento", in quanto tale qualificazione si risolverebbe in un meccanismo elusivo rispetto all'applicazione delle misure di cui agli artt. 2446 e 2482-bis c.c.. Detto orientamento è rappresentato (ex multis): (i) in giurisprudenza, da Trib. Ancona, 13 gennaio 2009, in Vita not., 2009, 961; App. Trieste, 13 maggio 1993, in Soc., 1993, 1075; Trib. Milano, 22 settembre 1986, in Soc., 1987, 162; Trib. Vicenza, 28 marzo 1985, in Dir. fall., 1985, II, 808; (ii) in dottrina, da C.A. Busi, cit., 328; F. Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2005, 457; F. Platania, cit., 208; e (iii) nella prassi notarile, da Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, massime H.G.19 (Aumento di capitale in presenza di perdite rilevanti ai sensi di legge) e I.G.30 (Aumento di capitale in presenza di perdite rilevanti ai sensi di legge)), sulla scorta (principalmente) delle seguenti argomentazioni, ben sintetizzate - e condivise - dal Consiglio Notarile di Milano nella massima n. 122/2011:

(i) in primo luogo, la mancata tipizzazione degli "opportuni provvedimenti" da parte della normativa di riferimento.

L'assenza di un'elencazione tassativa lascia quindi all'assemblea ogni libera iniziativa in merito alla scelta dei provvedimenti da adottare, tra i quali può essere ricompreso l'aumento a pagamento del capitale sociale, che - rispetto a fattispecie ammesse quali "opportuni provvedimenti" (come i versamenti a fondo perduto o le rinunzie a finanziamenti soci) - ha il pregio di essere più tempestivamente conoscibile da parte dei terzi (secondo il Consiglio Notarile di Milano, "siffatte tecniche di intervento [i versamenti a fondo perduto o le rinunzie a finanziamenti soci, ndr] sono infatti conoscibili dai creditori e dai terzi solo dopo la chiusura dell'esercizio, mediante la lettura del bilancio. Qualora l'assemblea procedesse all'aumento di capitale, invece, i terzi verrebbero subito a conoscenza sia della situazione di perdite superiore al terzo, sia della misura di rafforzamento patrimoniale adottata dalla società". Sul tema, cfr. altresì A. Busani - G.O. Mannella, cit., 1297, i quali, in merito "all'interesse, interno ed esterno alla società, a una corretta informazione circa la situazione patrimoniale della società stessa", evidenziano che l'aumento a titolo oneroso del capitale sociale "avrebbe la pubblicità derivante dalla iscrizione nel Registro delle Imprese del verbale assembleare (anzi, da queste ultime considerazioni appare assai evidente come un formale deliberazione di aumento del capitale sociale si renda assolutamente preferibile rispetto ai versamenti a fondo perduto o a similari apporti di netto, i quali lasciano davvero all'oscuro i terzi circa l'entità del ripianamento delle perdite con essi ottenuto"), oltre ad essere volto al rafforzamento patrimoniale della società (secondo A. Busani - G.O. Mannella, cit., 1296-1297, "se è vero che con l'espressione 'opportuni provvedimenti' si intende il riferimento a tutte quelle operazioni gestorie o a tutte quelle manovre sul patrimonio sociale […] idonee […] a determinare un aumento dell'attivo ovvero una riduzione del passivo tali da riportare la perdita al di sotto del terzo del capitale sociale, allora, a maggior ragione, dovrebbe ammettersi una manovra inerente il capitale nominale (quale il suo aumento) che abbia i medesimi effetti sul patrimonio sociale, e ciò in quanto una simile manovra sul capitale permetterebbe alla società di uscire dal perimetro dell'art. 2446 c.c., allorché l'aumento di capitale faccia scendere il rapporto del capitale nominale con la perdita al di sotto della 'fatidica' soglia del terzo");

(ii) in secondo luogo, la mancata previsione di un obbligo di adozione - nell'immediato - di "opportuni provvedimenti" che, a norma di legge, possono essere assunti (anche) nell'esercizio successivo a quello in cui le perdite sono state accertate.

Secondo il Consiglio Notarile di Milano, dal momento che l'ordinamento consente il permanere di una situazione di perdite superiori al terzo per tutto il c.d. "periodo di grazia", "non vi sono ragioni per impedire, all'inizio di tale periodo, un rafforzamento patrimoniale della società mediante un aumento di capitale sociale di qualsiasi importo";

(iii) in terzo luogo, la mancata previsione di un onere di preventiva riduzione del capitale (per un importo pari alle perdite eventualmente sussistenti) quale condizione di validità/efficacia di un aumento di capitale deliberato in pendenza di perdite (secondo il Consiglio Notarile di Milano, la legge non dispone in tale senso né "nelle disposizioni dettate in tema di riduzione per perdite" né "nelle norme che pongono le 'condizioni' per l'operazione di aumento di capitale").

Più in generale (su un piano funzionale), l'interpretazione sostenuta dall'orientamento maggioritario - oltre ad essere supportata dalle argomentazioni suesposte - è volta a soddisfare (o, comunque, non si pone in contrasto con) interessi meritevoli di tutela rispetto ai soci (dal momento che l'aumento di capitale senza la previa riduzione consente - se seguito da tutti i soci in base al proprio diritto di opzione - di mantenere inalterate le partecipazioni preesistenti) (secondo il Consiglio Notarile di Milano, tale circostanza "potrebbe essere coerente sia con gli accordi di investimento dei soci (magari in via non proporzionale), sia con la disponibilità di terzi ad effettuare nuovi conferimenti"), ai creditori sociali (i quali beneficiano dell'apporto di nuovo capitale di rischio) e ai terzi in generale (i quali, come visto supra, hanno adeguata e tempestiva informazione tanto della sussistenza delle perdite, quanto degli "opportuni provvedimenti" assunti in via facoltativa dalla società).

A fini di completezza, occorre precisare come un'operazione di aumento di capitale senza la previa riduzione dello stesso a ripianamento delle perdite maturate pregiudichi indubbiamente l'interesse dei soci alla distribuzione degli utili; tuttavia, la dottrina ha avuto cura di affermare la necessità di dare prevalenza all'interesse della società al reperimento di nuove risorse rispetto all'interesse dei soci alla percezione dei dividendi (e al mantenimento della propria percentuale di partecipazione al capitale sociale) (sul tema, cfr. A. Busani - G.O. Mannella, cit., 1297-1298, secondo i quali "questo conflitto, tutto interno della società, tra gli interessi dei soci, non può di certo mettere in dubbio la legittimità in sé dell'aumento: […] dovrebbe certamente darsi prevalenza all'interesse della società rispetto all'interesse dei singoli soci, i quali peraltro trovano tutela, rispetto alla loro diluizione, nel diritto di opzione ai medesimi spettante in sede di esecuzione della deliberazione di aumento del capitale sociale").

Posta, quindi, la legittimità della delibera di aumento a titolo oneroso del capitale sociale quale "opportuno provvedimento", si segnala come l'opinione prevalente: (i) ne richieda l'immediata sottoscrizione (sul tema, cfr. C.A. Busi, cit., 329; A. Forte - G. Imparato, cit., 214), col temperamento dato dalla fissazione di un termine per l'esercizio del diritto di opzione a tutela dei soci assenti (nonché, come segnalato da A. Busani - G.O. Mannella, cit., 1298, a tutela dei soci "presenti che abbisognino di uno spatium deliberandi per decidere se seguire o meno la deliberazione di aumento"); e (ii) ne ammetta la deliberazione non solo nel contesto dell'assemblea convocata per gli "opportuni provvedimenti", ma anche in un'assemblea posteriore ad essa (e anteriore all'assemblea di approvazione del bilancio dell'esercizio successivo a quello in cui la perdita è stata rilevata) (sul tema, cfr. Consiglio Notarile di Milano, cit., secondo cui "niente esclude che i soci maturino solo dopo la prima assemblea, anche alla luce di nuove opportunità inizialmente non disponibili, decisioni che bene avrebbero potuto essere adottate già nella prima assemblea; né le disposizioni normative si oppongono […] a che i provvedimenti opportuni inizialmente adottabili possano essere presi in un momento successivo nell'arco temporale concesso in assenza di obblighi di intervento sul capitale"), dal momento che "se si tratta di provvedimenti opportuni, essi sono evidentemente legittimi in qualsiasi contesto essi vengano adottati" (così A. Busani - G.O. Mannella, cit., 1298).

Perdite superiori al terzo del capitale sociale, con obbligo di riduzione

La perdita superiore al terzo del capitale sociale, invece, determina un obbligo di riduzione laddove: (a) entro l'esercizio successivo, la perdita "portata a nuovo" non risulti diminuita a meno di un terzo (ex artt. 2446, c. 2 e 2482-bis, c. 4, c.c.); o (b) le perdite, oltre ad essere superiori al terzo, siano tali da intaccare il minimo legale (ex artt. 2447 e 2482-ter c.c.).

Secondo il Consiglio Notarile di Milano (massima n. 122/2011), in entrambe le circostanze sarebbe legittima una delibera di aumento a titolo oneroso del capitale sociale senza la previa riduzione del capitale (in senso conforme, cfr.: (i) in giurisprudenza, Trib. Roma, 10 settembre 1984, in Soc., 1985, 606; e (ii) in dottrina, N. Abriani, cit., 195 e (in misura più dubitativa), G. Giannelli, Le operazioni sul capitale, in C. Ibba - G. Marasà (diretto da), Trattato delle società a responsabilità limitata, Padova, 2009, 335; R. Nobili - M.S. Spolidoro, cit., 390. L'orientamento espresso dal Consiglio Notarile di Milano nella massima n. 122/2011 è difforme rispetto a quella che, sino al 2011, era l'opinione prevalente, che affermava l'inderogabilità del disposto codicistico e, pertanto, l'obbligatorietà della riduzione del capitale. Tale opinione era rappresentata: (i)in giurisprudenza, da App. Milano, 31 gennaio 2003, in Giur. It., 2003, 1178; Trib. Roma, 17 marzo 2001, in Foro It., 2001, I, 748; Trib. Roma, 7 marzo 2001, in Dir. fall., 2002, II, 795; Trib. Napoli, 10 dicembre 1998, in Foro nap., 1999, 50; e (ii) in dottrina, da R. Barabino, cit., 676; R. Benassi, sub art. 2438, in A. Maffei Alberti (a cura di), Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2007, 888; G.A.M. Trimarchi, cit., 255), a condizione che detto aumento: (i) sia di misura tale da ricondurre le perdite entro il terzo del capitale; (ii) abbia un congruo termine finale di sottoscrizione (segnatamente - anche in linea con quanto affermato nella propria massima n. 38 del 19 novembre 2004 (Azzeramento e ricostituzione del capitale sociale in mancanza di contestuale esecuzione dell'aumento), in www.consiglionotarilemilano.it - il Consiglio Notarile di Milano afferma che il termine finale di sottoscrizione dell'aumento di capitale non deve eccedere il tempo necessario per il realizzarsi delle condizioni, di natura sostanziale e procedimentale, che l'esecuzione dell'aumento richiede); e (iii) sia inscindibile.

Segnatamente, il Consiglio Notarile di Milano ritiene sufficienti tali condizioni per rendere legittima la delibera di aumento del capitale sociale dal momento che:

(i) da un punto di vista letterale, il disposto delle suddette disposizioni - non fissando un obbligo inderogabile di riduzione del capitale sociale - non preclude aprioristicamente che l'eliminazione della passività avvenga attraverso un aumento a titolo oneroso del capitale sociale (sul tema, cfr. A. Busani - G.O. Mannella, cit., 1300, secondo i quali "il tenore letterale della norma non andrebbe inteso in senso assoluto (e cioè come implicante 'sempre e comunque' una riduzione del capitale sociale a copertura delle perdite), ma andrebbe relativizzato a seconda delle situazioni che di fatto possono verificarsi". La rilevanza non decisiva del tenore letterale delle norme in questione è stata affermata anche dal Consiglio Notarile di Milano che, nella massima n. 122/2011, ricorda "l'orientamento interpretativo secondo il quale la società può deliberare operazioni di fusione o scissione con altre società partecipanti, al cui esito la o le società risultanti non si trovino in situazioni di perdite superiori al terzo");

(ii) da un punto di vista sistematico, occorre rammentare che il fine ultimo di tali norme è quello di permettere alla società di ricondurre la perdita entro il terzo, così uscendo dal "circuito di allarme" e mantenendo un adeguato rapporto proporzionale tra capitale e perdite (oltre al rispetto del minimo legale). Pertanto, laddove la società riesca a perseguire tale fine operando sul capitale sociale, la ratio delle citate disposizioni codicistiche risulterebbe rispettata (sul tema, cfr. A. Busani - G.O. Mannella, cit., 1300, secondo i quali "se la società riesca a ricondurre la perdita entro il terzo, operando sul capitale o comunque eliminando le passività […] essa con ciò uscirebbe dal circuito d'allarme e rientrerebbe in una situazione che, seppur in perdita, viene considerata dal legislatore come irrilevante; cosicché nulla impedisce che la cura della perdita patologica avvenga […] attraverso una delibera di aumento oneroso del capitale in misura sufficiente allo scopo, e dunque attraverso una delibera che riconduca la perdita entro il terzo del nuovo capitale");

(iii) da un punto di vista funzionale, il Consiglio Notarile di Milano ha avuto cura di affermare - anche attraverso esemplificazioni numeriche - la "sostanziale equivalenza funzionale" tra (a) l'intervento sul capitale sociale secondo le modalità di legge (i.e. riduzione e successivo aumento) e (b) l'aumento a titolo oneroso del capitale sociale senza la previa riduzione (alle condizioni di cui alla massima in questione) (cfr. Consiglio Notarile di Milano, massima n. 122/2011, § 3.4).

Inoltre, pare opportuno sottolineare come il ricorso (rectius, la possibilità di ricorrere) all'aumento di capitale senza la previa riduzione del medesimo risulti adeguato anche nell'ottica di scongiurare sia condotte abusive a danno di una parte della compagine sociale (secondo il Consiglio Notarile di Milano, "la possibilità di disporre di una tecnica di intervento sul capitale, che non impone necessariamente la riduzione del capitale a copertura delle perdite (o che comunque possa essere ad essa affiancata) rende più difficili gli abusi, sia in un senso che nell'altro, dovendosi in ogni caso giustificare la congruenza dell'operazione con i valori del patrimonio sociale e con l'interesse della società e dell'intera compagine sociale") sia condotte elusive (secondo il Consiglio Notarile di Milano, "è ben più improbabile che la tecnica di ricapitalizzazione qui sostenuta si presti ad essere utilizzata per elusioni o 'aggiramenti' delle norme, posto che essa impone sempre e in ogni caso un impegno economico superiore rispetto sia all'aumento previa riduzione, sia alla tecnica dei versamenti a fondo perduto in misura necessaria e sufficiente per 'rabboccare' il patrimonio netto affinché non diminuisca al disotto dei due terzi del capitale sociale").

In conclusione

L'attuale orientamento giurisprudenziale, dottrinale e - soprattutto - notarile sembra rispondere ad un'impostazione piuttosto pragmatica, che privilegia - in luogo di un'interpretazione strettamente letterale delle disposizioni codicistiche in tema di aumento di capitale in presenza di perdite - una lettura maggiormente sostanzialista, in forza della quale, nella misura in cui l'aumento di capitale si traduce in una manovra di rafforzamento patrimoniale della società, è possibile - nei limiti e secondo i canoni passati in rassegna - "tralignare" dallo stretto dettato codicistico (come evidenziato da due Autori, ciò anche al fine di rendere maggiormente appetibile "sia l'investimento di nuovi soci in occasione della stessa operazione di ricapitalizzazione, i quali, è ovvio, tanto più sono stimolati a partecipare quanto più a essi non si richieda di concorrere anche al ripianamento delle perdite pregresse; […] sia l'ingresso in società di nuovi soci "a valle" dell'operazione di ricapitalizzazione (e cioè ove essa sia completata per intero dai "vecchi" soci), mediante il versamento di nuovo capitale di rischio, i quali troverebbero ragioni di maggior convincimento da uno scenario di idonea capitalizzazione piuttosto che da una situazione di deficit" (così A. Busani - G.O. Mannella, cit., 1292)).

Saranno soltanto le prossime elaborazioni concettuali a confermare (o a smentire) se tale orientamento maggiormente "sostanzialista" prevarrà rispetto ad un'adesione letterale alla norma di legge o se, invece, a quest'ultima sarà accordata prevalenza in tema di aumento di capitale in presenza di perdite.

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