Opposizione del socio della fallita all'omologa del concordato fallimentare

Chiara Ravina
15 Febbraio 2023

L'ordinanza della Cassazione in commento affronta il tema della legittimazione del socio della fallita a presentare opposizione all'omologa del concordato fallimentare, in una fattispecie in cui, in sede di opposizione, il socio aveva denunciato, in particolare, l'abuso dello strumento concordatario e la mancanza di causa del concordato per la notevole sproporzione tra valore dell'attivo acquisito e valore degli impegni assunti dalla proponente .
Le massime

La legittimazione dell'azionista della società fallita a proporre opposizione all'omologazione del concordato fallimentare a norma dell'art. 129 l. fall. presuppone la prospettazione, da parte del medesimo, di una concreta incidenza negativa che la soluzione concordataria offerta, rispetto al fallimento, determina sul suo interesse sostanziale a realizzare, attraverso la liquidazione, il valore della partecipazione.

La qualità di socio configura una “situazione giuridica” e il mantenimento del valore della partecipazione sociale configura un “risultato utile” che – ove effettivamente sussistente – il socio della società fallita può conseguire solo evitando il trasferimento di tutto l'attivo alle condizioni indicate nella proposta di concordato fallimentare e, quindi, mediante l'opposizione all'omologazione di quel concordato.

Il caso

L'ordinanza della Cassazione oggetto di commento affronta il tema della legittimazione del socio della fallita a presentare opposizione all'omologa del concordato fallimentare, in una fattispecie in cui, in sede di opposizione, il socio aveva denunciato, in particolare, l'abuso dello strumento concordatario e la mancanza di causa del concordato per la notevole sproporzione tra valore dell'attivo acquisito e valore degli impegni assunti dalla proponente (c.d. concordato predatorio).

Le questioni giuridiche trattate dall'ordinanza in commento scaturiscono dalla vicenda processuale che si ripercorre qui di seguito.

Diversi anni dopo la dichiarazione di fallimento della Siciltrading S.p.A., un terzo, la Morgan Stanely & co. International P.l.c., proponeva un concordato fallimentare che prevedeva, tra l'altro, il soddisfacimento dei creditori chirografari nella misura del 111% (di cui l'eccedenza dell'11% a parziale soddisfazione degli interessi maturati nelle more della procedura – a fronte dell'acquisizione dell'intero attivo della società fallita.

Sagest S.p.A., azionista della società fallita, si opponeva all'omologazione del concordato sul presupposto che la notevole sproporzione tra il valore dell'attivo acquisito dall'assuntore ed il valore degli impegni da questi assunti nei confronti del ceto creditorio, con conseguente pregiudizio al valore della propria partecipazione sociale.

Il Tribunale respingeva l'opposizione e omologava il concordato. La decisione veniva confermata dalla Corte d'appello di Palermo in sede di reclamo, la quale affermava che la socia non aveva alcuna legittimazione ad opporsi all'omologa del concordato fallimentare. A supporto richiamava la sentenza della Cass. civ. n. 22045/2016 che aveva statuito il seguente principio di diritto: “L'azionista non è legittimato a proporre opposizione, ai sensi dell'art. 129 l.fall., all'omologazione del concordato fallimentare…a meno che non prospetti la concreta incidenza negativa che la soluzione offerta, rispetto al fallimento, determina sul suo interesse sostanziale a realizzare, attraverso la liquidazione, il valore della partecipazione”. In particolare, secondo i giudici di secondo grado, tale interesse sostanziale non si configurava nel caso di specie, in quanto il “mantenimento del valore della partecipazione azionaria configura un interesse mediato” da intendersi come “interesse di mero fatto”.

La Sagest S.p.A. ricorreva allora in Cassazione.

Nel ricorso, essa sosteneva che, in sede di reclamo, la proponente il concordato fallimentare aveva eccepito la carenza, in capo alla socia, dell'interesse a reclamare il decreto di omologa del concordato ex art. 131 l.fall., mentre la Corte d'Appello - erroneamente - aveva incentrato tutta la decisione sull'asserita carenza di interesse e legittimazione ad opporsi al concordato fallimentare ex art. 129, comma 2, l.fall.

La ricorrente lamentava la violazione di molteplici principi di diritto processuale civile e precisamente:

(i) l'art. 112 c.p.c. (corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato) vista la diversa eccezione sollevata dalla proponente rispetto al contenuto della decisione resa dalla Corte;

(ii) l'art. 101, comma 2, c.p.c. (principio del contraddittorio), in quanto la mancanza di interesse e di legittimazione a reclamare erano stati posti a fondamento della decisione della Corte d'Appello con un rilievo d'ufficio senza eccezione di parte e senza provocare il contradditorio sul punto;

(iii) il giudicato interno: la questione dell'interesse ad opporsi all'omologazione era stata sollevata, senza successo, dalla proponente il concordato nel procedimento avanti il Tribunale e non era stata oggetto di reclamo incidentale da parte della proponente medesima. Sul tema del difetto a opporsi all'omologa si era quindi formato il giudicato e non era più possibile discuterne avanti la Corte d'Appello.

La Cassazione accoglieva i motivi sollevati dalla ricorrente osservando che, benché l'interesse ad opporsi all'omologa (art. 129, comma 2, l.fall.) e l'interesse/legittimazione a reclamare (art. 131 l.fall.) siano riferibili entrambi all'ambito generale dell'interesse ad agire, spetta alla parte indicare nei suoi esatti termini l'eccezione che intende sollevare. In questo senso, non era in discussione che, avanti la Corte d'Appello, la Morgan Stanley aveva eccepito la mancanza dell'interesse della Sagest a proporre reclamo ai sensi dell'art. 131 l. fall., senza insistere sull'eccezione del difetto di interesse ad opporsi all'omologa del concordato fallimentare da parte del socio della fallita, su cui avrebbe dovuto svolgere un reclamo incidentale che invece non è stato mai proposto.

Sul punto la Cassazione richiama l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (tra cui recentemente Cass. n. 20320/2021) in base al quale, se un'eccezione di merito è stata respinta in primo grado in modo espresso o attraverso una decisione incompatibile che ne sottintende una valutazione di infondatezza, e se la parte comunque vittoriosa intende far valere la medesima eccezione anche nel giudizio di impugnazione, è onere della parte stessa proporre gravame incidentale sul punto, non essendo possibile il rilievo d'ufficio, né la mera riproposizione dell'eccezione (al contrario è sufficiente la mera riproposizione se l'eccezione non è stata oggetto di alcun esame, né 'diretto', né 'indiretto').

Con particolare riguardo al motivo di ricorso in cassazione relativo alla violazione e falsa applicazione dell'art. 129 l. fall. per aver escluso la Corte d'appello, in capo a Sagest, la qualifica di ”interessato”, legittimato ad opporsi all'omologazione, la Cassazione afferma il principio per cui l'interesse del socio alla conservazione del valore della propria partecipazione sociale configura un interesse giuridico sostanziale e non di mero fatto. Sicché il socio della fallita deve ritenersi legittimato ad opporsi all'omologazione del concordato fallimentare sul presupposto di una notevole sproporzione tra l'attivo assunto dal proponente ed il valore degli impegni assunti dal proponente medesimo per il soddisfacimento del passivo.

Le questioni giuridiche e la soluzione offerta dalla pronuncia in commento
La pronuncia in commento tratta varie questioni giuridiche. Quella, a parere di chi scrive, di maggior interesse è relativa alla legittimazione del socio della società fallita - quale soggetto “interessato” a mente dell'art. 129, comma 2, l. fall. - ad opporsi all'omologazione di un concordato fallimentare della società partecipata ritenuto “predatorio” (i.e. rilevante sproporzione tra l'attivo assunto e l'impegno concordatario dell'assuntore). Più precisamente, poiché l'art. 129, comma 2, l. fall. dispone che le opposizioni possono essere presentate “anche da qualsiasi altro interessato” (ovverosia da soggetti diversi dai creditori, destinatari della proposta) si tratta di stabilire se, ed a quali condizioni, il socio di una società di capitali fallita possa dirsi “interessato” a contrastare l'omologazione del concordato. Questo tema non è nuovo alla giurisprudenza. Ed infatti la Cassazione ha ritenuto nella specie opportuno soffermarsi sulla questione (nonostante l'accoglimento dei motivi relativi alle eccezioni processuali fosse ampiamente sufficiente per cassare con rinvio la sentenza della Corte di Appello) proprio per “correggere” l'errore di lettura che la Corte di Appello di Palermo ha fatto dell'arresto della Cass. n. 22045/2016 che aveva trattato la tematica in questione. Ed infatti, la Corte di appello di Palermo ha escluso la legittimazione del socio della fallita ad opporsi al concordato ritenuto predatorio sulla base del suddetto precedente, relativo, però, a ben vedere, ad una fattispecie radicalmente diversa, in cui il socio si era opposto all'omologazione di una proposta concordataria, che offriva il pagamento del 20% ai creditori chirografari, per denunciare la violazione di norme di procedura dettate a tutela dei creditori privilegiati e non della sua posizione di socio (i.e. diritto di voto ed obbligo del proponente di presentare una relazione giurata sul valore dei beni oggetto del privilegio, in presenza di una proposta di pagamento dilazionata, ancorché integrale, di quei crediti). In tale contesto, la Cassazione aveva escluso la legittimazione all'opposizione del socio all'omologa, in quanto il rispetto delle norme di procedura a tutela del ceto creditorio possono configurare un interesse di “mero fatto” e non già un interesse giuridico sostanziale rilevante ex art. 129, comma 4, l. fall. in capo al socio medesimo. Il principio di diritto ivi affermato era in sintesi il seguente: - “la mera posizione di socio della fallita non è sufficiente per dimostrare la qualità di soggetto “interessato” ad opporsi all'omologazione e la valutazione dell'interesse cui allude l'art. 129 l. fall. […] implica un accertamento in concreto;- l'interesse giuridico richiede sempre l'accertamento di una situazione giuridica e la prospettazione dell'esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice.Al riguardo, la Corte di appello di Palermo, consapevole della sostanziale differenza tra la fattispecie de qua e quella di cui all'arresto del 2016, erroneamente afferma, per tenere ferma la propria dichiarazione in ossequio a tale precedente, che il “mantenimento del valore della partecipazione configura un interesse mediato, qualificabile come interesse “di mero fatto”, inidoneo a sostanziare la legittimazione ad opporsi al concordato. A fronte di quanto sopra, la Cassazione ritiene quindi doveroso correggere tale errore di lettura del precedente citato ed affermare che l'interesse del socio a mantenere il valore della propria partecipazione sociale non è affatto un interesse di “mero fatto”, posto che la qualità di socio configura indubitabilmente una “situazione giuridica” e la conservazione del valore economico della partecipazione sociale è un “risultato utile” che – laddove sussistente in concreto (tema di merito che esula dal sindacato del giudice di legittimità) – il socio della società fallita può conseguire sol evitando il trasferimento di tutto l'attivo alle condizioni indicate nella proposta di concordato fallimentare, e quindi mediante l'opposizione all'omologazione.
Osservazioni

La pronuncia in commento si pone nel solco dell'indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, tra cui il precedente ivi espressamente citato (Cass. 22045/2016), secondo cui il socio della società fallita è legittimato ad opporsi all'omologazione del concordato fallimentare quando allega un proprio interesse attuale e specifico ad evitare la liquidazione fallimentare (ex multis Cass. 11 novembre 2020, n. 25318; Cass., Sez. Un., 28 giugno 2018 n. 17186; Cass. 31 ottobre 2016, n. 22045; Cass. 23 maggio 1990, n. 4669; App. Genova 28 giugno 2017; App. Roma 24 maggio 2016; Trib. Pordenone 24 febbraio 2011).

Il profilo di particolare interesse della sentenza in commento non è dato dal principio affermato in astratto, principio - lo ribadiamo – rinvenibile in numerosi arresti giurisprudenziali, ma dalla fattispecie concreta nella quale tale principio si innesta, ovverosia quella del concordato c.d. predatorio. Ed infatti con la pronuncia in commento la Cassazione sancisce espressamente che l'interesse giuridico del terzo che legittima l'opposizione all'omologazione del concordato fallimentare ai sensi dell'art. 129, comma 2, l. fall. si configura, in capo al socio, laddove questi lamenti la natura c.d. “predatoria” del concordato fallimentare e il conseguente pregiudizio che l'omologa del concordato comporterebbe per il valore della propria partecipazione sociale.

La questione della legittimazione del socio della società fallita ad opporsi all'omologazione del concordato fallimentare c.d. predatorio è affrontata, implicitamente, dalla giurisprudenza di legittimità e di merito che si è occupata di declinare i presupposti di fatto perché un concordato possa qualificarsi come “predatorio”.

Al riguardo, numerose sono le sentenze che, nel pronunciarsi nel merito sulla natura predatoria o meno della specifica proposta di concordato, hanno implicitamente ammesso la legittimazione del socio/società fallita ad opporsi all'omologazione del concordato fallimentare per tutelare il valore della propria partecipazione sociale (cfr. ex multis Cass. 22 marzo 2003, n. 6904; Cass. 22 febbraio 2012, n. 2674; Appello Venezia 6 giugno 2022, n. 1609). Più precisamente, nelle fattispecie trattate da tali pronunce, la legittimazione del socio / società fallita ad opporsi all'omologazione del concordato fallimentare non pare essere stata oggetto di discussione, in quanto non contestata dalle parti, né tantomeno rilevata d'ufficio dal giudice nei gradi di merito.

Considerato che l'eventuale carenza di legittimazione attiva può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio e rilevata d'ufficio dal giudice, la mancata contestazione della stessa porta a ritenere che, implicitamente, l'organo giudicante l'abbia considerata sussistente.

La pronuncia in commento (unitamente ad altro precedente di legittimità: Cass. 11 novembre 2020, n. 25318, secondo cui il fallito ha un interesse “presunto ex lege, sia morale che patrimoniale all'esercizio di tutti i controlli sulla legittimità del processo concorsuale che comunque lo riguardi”) si caratterizza, invece, per aver espressamente affrontato la tematica della legittimazione del socio/sussistenza di un suo interesse qualificato ad opporsi all'omologa del concordato fallimentare sul presupposto della ritenuta natura predatoria del concordato medesimo.

La sentenza non entra, invece, nel merito della questione – trattandosi di un ambito che esula dai limiti del giudizio di legittimità – se, nel caso di specie, il concordato potesse effettivamente qualificarsi come “predatorio”.

Tale questione, su cui, per completezza, svolgiamo brevi cenni, non essendo trattata dalla sentenza in commento, è stata oggetto di recenti pronunce sia di merito che di legittimità, le quali, in sostanza, hanno ammesso, in via di principio, la possibilità di trasferire all'assuntore un attivo superiore rispetto al passivo; e ciò sul presupposto che il concordato con assuntore rappresenta una forma di investimento che, come tale, deve essere legittimamente remunerata (Cass. 22 febbraio 2012, n. 2674; Cass. 22 marzo 2010, n. 6904; Appello Venezia, ordinanza 6 giugno 2022 n. 1629).

Affinché tale divario possa qualificarsi come legittimo e non integri un “abuso del diritto” è necessario che tale divario si collochi nell'alveo della “ragionevolezza” e dunque “non sia particolarmente consistente e sia di per sé intrinseco a oscillazioni di valore determinate da fisiologici margini di ragionevole disputabilità di singole porzioni patrimoniali ovvero dal sopraggiungere di fattori esterni straordinari non prevedibili secondo le caratteristiche originarie dei beni oggetto della proposta di rilievo” (così

Cass. 11 novembre 2020, n. 25318

, in motivazione, con riferimento ad una fattispecie in cui il passivo ammontava a Euro 240mila e l'attivo a Euro 526mila a seguito della rivalutazione della stima dei valori immobiliari). Fermo restando che la valutazione sulla ragionevolezza della “consistenza” del divario deve essere effettuata sulla base dei valori “al tempo della proposta” considerati in un contesto liquidatorio e non di libero mercato (così

Cass. 29 luglio 2011, n. 16738

; Appello Venezia, ordinanza 6 giugno 2022 n. 1629).

Al fine di valutare la sussistenza o meno del requisito della “ragionevolezza” nel divario tra attivo e passivo, la giurisprudenza fa, in particolare, riferimento ai criteri applicati in sede di vendita forzata, sia fallimentare (art. 108 l. fall.) sia ordinaria (art. 586 c.p.c.) che richiamano il concetto di “prezzo notevolmente inferiore a quello giusto tenuto conto delle condizioni di mercato” (così Cass. 22 febbraio 2012, n. 2674: “Le norme che permettono di assicurare la menzionata proporzionalità vanno individuate indubbiamente per l'esecuzione individuale nell'art. 586 c.p.c. - dopo la modifica intervenuta nel 1991 - e, per quella concorsuale, nell'art. 108 l. fall., le quali, consentendo la sospensione della vendita allorquando il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, "alla stregua di una valutazione necessariamente combinata - mediante la comparazione del prezzo in concreto realizzato con l'aggiudicazione e quello che, in assenza di condizioni di interferenza illegittima nella sua formazione, sarebbe stato conseguito nel processo liquidatorio così come concretamente adottato e normativamente disciplinato" (Cass. n. 23799/2007; Cass. n. 14634/2009).

I suddetti criteri (i.e. il legittimo guadagno dell'assuntore a fronte dell'operazione di investimento e il rispetto del criterio di proporzionalità di cui all'art. 108 l. fall. e 586 c.p.c.) devono essere ulteriormente integrati dai seguenti principi “ancillari”:

(i) nella valutazione circa il possibile abuso dello strumento concordatario va bilanciato l'interesse della società fallita con quello dei creditori a veder soddisfatto il credito per intero (o comunque per una percentuale superiore a quella ottenibile dalla liquidazione, e in tempi brevi (così Cass. 22 febbraio 2012, n. 2674: “Ai fini del giudizio di proporzione tra il sacrificio richiesto al debitore e la necessità di soddisfare i creditori dovrebbe tenersi conto anche del loro interesse alla sollecita definizione della procedura, elemento che se comunque non rileva a fronte di una manifesta sproporzione può essere invece un criterio decisivo a favore dell'ammissibilità del concordato nelle situazioni di dubbio in ordine ai valori in gioco”; nello stesso senso, App. Venezia, ordinanza 6 giugno 2022, n. 1629: “L'interesse della debitrice a non perdere un'eccedenza di valore patrimoniale, dev'essere bilanciata con l'interesse “di regola preminente”, dei creditori concorsuali a ricevere il pagamento integrale [nella fattispecie ndr] in tempi ragionevoli”);

(ii) laddove il sopravanzo di attivo rispetto al passivo non sia rappresentato da cassa, ma da entrate conseguibili solo in futuro, le stesse sono aleatorie e non immediate (per esempio, derivanti da vendita di immobili ovvero di partecipazioni societarie), sicché la differenza tra attivo e passivo non è certa, bensì è comunque soggetta alle oscillazioni per variazione dei prezzi di mercato/eventi sopravvenuti straordinari; il cui rischio ricade indubbiamente sull'assuntore e, come tale, deve essere remunerato (Appello Venezia, ordinanza 6 giugno 2022 n. 1629: “[…] la presentazione di una domanda attua un'operazione di investimento ed ha una natura fisiologicamente speculativa….il potenziale sopravanzo dipende dalla vendita di immobili….e nella proposta il rischio di tale operazione di liquidazione ricade unicamente sull'assuntore….nel fallimento ricade sulla masse dei creditori”);

(iii) l'operazione concordataria ha l'effetto di spostare dai creditori alla società proponente (assuntore) l'alea rispetto alla realizzazione dell'attivo (liquidazione dei beni, valore della partecipazione ecc.): l'esito favorevole o dannoso per la proponente non è sottratto alle oscillazioni del mercato e a fattori esterni straordinari, qualificandosi come vero e proprio rischio di impresa, tanto quanto quello relativo all'onere di soddisfazione dei creditori (Appello Venezia, ordinanza 6 giugno 2022 n. 1629).

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