La pronuncia in commento si pone nel solco dell'indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, tra cui il precedente ivi espressamente citato (Cass. 22045/2016), secondo cui il socio della società fallita è legittimato ad opporsi all'omologazione del concordato fallimentare quando allega un proprio interesse attuale e specifico ad evitare la liquidazione fallimentare (ex multis Cass. 11 novembre 2020, n. 25318; Cass., Sez. Un., 28 giugno 2018 n. 17186; Cass. 31 ottobre 2016, n. 22045; Cass. 23 maggio 1990, n. 4669; App. Genova 28 giugno 2017; App. Roma 24 maggio 2016; Trib. Pordenone 24 febbraio 2011).
Il profilo di particolare interesse della sentenza in commento non è dato dal principio affermato in astratto, principio - lo ribadiamo – rinvenibile in numerosi arresti giurisprudenziali, ma dalla fattispecie concreta nella quale tale principio si innesta, ovverosia quella del concordato c.d. predatorio. Ed infatti con la pronuncia in commento la Cassazione sancisce espressamente che l'interesse giuridico del terzo che legittima l'opposizione all'omologazione del concordato fallimentare ai sensi dell'art. 129, comma 2, l. fall. si configura, in capo al socio, laddove questi lamenti la natura c.d. “predatoria” del concordato fallimentare e il conseguente pregiudizio che l'omologa del concordato comporterebbe per il valore della propria partecipazione sociale.
La questione della legittimazione del socio della società fallita ad opporsi all'omologazione del concordato fallimentare c.d. predatorio è affrontata, implicitamente, dalla giurisprudenza di legittimità e di merito che si è occupata di declinare i presupposti di fatto perché un concordato possa qualificarsi come “predatorio”.
Al riguardo, numerose sono le sentenze che, nel pronunciarsi nel merito sulla natura predatoria o meno della specifica proposta di concordato, hanno implicitamente ammesso la legittimazione del socio/società fallita ad opporsi all'omologazione del concordato fallimentare per tutelare il valore della propria partecipazione sociale (cfr. ex multis Cass. 22 marzo 2003, n. 6904; Cass. 22 febbraio 2012, n. 2674; Appello Venezia 6 giugno 2022, n. 1609). Più precisamente, nelle fattispecie trattate da tali pronunce, la legittimazione del socio / società fallita ad opporsi all'omologazione del concordato fallimentare non pare essere stata oggetto di discussione, in quanto non contestata dalle parti, né tantomeno rilevata d'ufficio dal giudice nei gradi di merito.
Considerato che l'eventuale carenza di legittimazione attiva può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio e rilevata d'ufficio dal giudice, la mancata contestazione della stessa porta a ritenere che, implicitamente, l'organo giudicante l'abbia considerata sussistente.
La pronuncia in commento (unitamente ad altro precedente di legittimità: Cass. 11 novembre 2020, n. 25318, secondo cui il fallito ha un interesse “presunto ex lege, sia morale che patrimoniale all'esercizio di tutti i controlli sulla legittimità del processo concorsuale che comunque lo riguardi”) si caratterizza, invece, per aver espressamente affrontato la tematica della legittimazione del socio/sussistenza di un suo interesse qualificato ad opporsi all'omologa del concordato fallimentare sul presupposto della ritenuta natura predatoria del concordato medesimo.
La sentenza non entra, invece, nel merito della questione – trattandosi di un ambito che esula dai limiti del giudizio di legittimità – se, nel caso di specie, il concordato potesse effettivamente qualificarsi come “predatorio”.
Tale questione, su cui, per completezza, svolgiamo brevi cenni, non essendo trattata dalla sentenza in commento, è stata oggetto di recenti pronunce sia di merito che di legittimità, le quali, in sostanza, hanno ammesso, in via di principio, la possibilità di trasferire all'assuntore un attivo superiore rispetto al passivo; e ciò sul presupposto che il concordato con assuntore rappresenta una forma di investimento che, come tale, deve essere legittimamente remunerata (Cass. 22 febbraio 2012, n. 2674; Cass. 22 marzo 2010, n. 6904; Appello Venezia, ordinanza 6 giugno 2022 n. 1629).
Affinché tale divario possa qualificarsi come legittimo e non integri un “abuso del diritto” è necessario che tale divario si collochi nell'alveo della “ragionevolezza” e dunque “non sia particolarmente consistente e sia di per sé intrinseco a oscillazioni di valore determinate da fisiologici margini di ragionevole disputabilità di singole porzioni patrimoniali ovvero dal sopraggiungere di fattori esterni straordinari non prevedibili secondo le caratteristiche originarie dei beni oggetto della proposta di rilievo” (così Cass. 11 novembre 2020, n. 25318
, in motivazione, con riferimento ad una fattispecie in cui il passivo ammontava a Euro 240mila e l'attivo a Euro 526mila a seguito della rivalutazione della stima dei valori immobiliari). Fermo restando che la valutazione sulla ragionevolezza della “consistenza” del divario deve essere effettuata sulla base dei valori “al tempo della proposta” considerati in un contesto liquidatorio e non di libero mercato (così Cass. 29 luglio 2011, n. 16738
; Appello Venezia, ordinanza 6 giugno 2022 n. 1629).
Al fine di valutare la sussistenza o meno del requisito della “ragionevolezza” nel divario tra attivo e passivo, la giurisprudenza fa, in particolare, riferimento ai criteri applicati in sede di vendita forzata, sia fallimentare (art. 108 l. fall.) sia ordinaria (art. 586 c.p.c.) che richiamano il concetto di “prezzo notevolmente inferiore a quello giusto tenuto conto delle condizioni di mercato” (così Cass. 22 febbraio 2012, n. 2674: “Le norme che permettono di assicurare la menzionata proporzionalità vanno individuate indubbiamente per l'esecuzione individuale nell'art. 586 c.p.c. - dopo la modifica intervenuta nel 1991 - e, per quella concorsuale, nell'art. 108 l. fall., le quali, consentendo la sospensione della vendita allorquando il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, "alla stregua di una valutazione necessariamente combinata - mediante la comparazione del prezzo in concreto realizzato con l'aggiudicazione e quello che, in assenza di condizioni di interferenza illegittima nella sua formazione, sarebbe stato conseguito nel processo liquidatorio così come concretamente adottato e normativamente disciplinato" (Cass. n. 23799/2007; Cass. n. 14634/2009).
I suddetti criteri (i.e. il legittimo guadagno dell'assuntore a fronte dell'operazione di investimento e il rispetto del criterio di proporzionalità di cui all'art. 108 l. fall. e 586 c.p.c.) devono essere ulteriormente integrati dai seguenti principi “ancillari”:
(i) nella valutazione circa il possibile abuso dello strumento concordatario va bilanciato l'interesse della società fallita con quello dei creditori a veder soddisfatto il credito per intero (o comunque per una percentuale superiore a quella ottenibile dalla liquidazione, e in tempi brevi (così Cass. 22 febbraio 2012, n. 2674: “Ai fini del giudizio di proporzione tra il sacrificio richiesto al debitore e la necessità di soddisfare i creditori dovrebbe tenersi conto anche del loro interesse alla sollecita definizione della procedura, elemento che se comunque non rileva a fronte di una manifesta sproporzione può essere invece un criterio decisivo a favore dell'ammissibilità del concordato nelle situazioni di dubbio in ordine ai valori in gioco”; nello stesso senso, App. Venezia, ordinanza 6 giugno 2022, n. 1629: “L'interesse della debitrice a non perdere un'eccedenza di valore patrimoniale, dev'essere bilanciata con l'interesse “di regola preminente”, dei creditori concorsuali a ricevere il pagamento integrale [nella fattispecie ndr] in tempi ragionevoli”);
(ii) laddove il sopravanzo di attivo rispetto al passivo non sia rappresentato da cassa, ma da entrate conseguibili solo in futuro, le stesse sono aleatorie e non immediate (per esempio, derivanti da vendita di immobili ovvero di partecipazioni societarie), sicché la differenza tra attivo e passivo non è certa, bensì è comunque soggetta alle oscillazioni per variazione dei prezzi di mercato/eventi sopravvenuti straordinari; il cui rischio ricade indubbiamente sull'assuntore e, come tale, deve essere remunerato (Appello Venezia, ordinanza 6 giugno 2022 n. 1629: “[…] la presentazione di una domanda attua un'operazione di investimento ed ha una natura fisiologicamente speculativa….il potenziale sopravanzo dipende dalla vendita di immobili….e nella proposta il rischio di tale operazione di liquidazione ricade unicamente sull'assuntore….nel fallimento ricade sulla masse dei creditori”);
(iii) l'operazione concordataria ha l'effetto di spostare dai creditori alla società proponente (assuntore) l'alea rispetto alla realizzazione dell'attivo (liquidazione dei beni, valore della partecipazione ecc.): l'esito favorevole o dannoso per la proponente non è sottratto alle oscillazioni del mercato e a fattori esterni straordinari, qualificandosi come vero e proprio rischio di impresa, tanto quanto quello relativo all'onere di soddisfazione dei creditori (Appello Venezia, ordinanza 6 giugno 2022 n. 1629).