È discriminazione indiretta considerare nel periodo di comporto le assenze causate dalle patologie riconducibili alla disabilità

Francesco Meiffret
16 Febbraio 2023

La sentenza annotata rafforza il filone giurisprudenziale che ritiene che debbano essere sempre scomputate dal periodo di comporto le assenze provocate da patologie riconducibili alla disabilità del lavoratore.
Massima

Costituisce una forma di discriminazione indiretta considerare nel calcolo del superamento del periodo di comporto le assenze che derivino direttamente dalla patologia causata dall'handicap accertato al lavoratore. Il portatore di handicap aggiunge ai normali periodi di malattia che subisce per cause diverse dall'handicap, quelle direttamente collegate a quest'ultimo. Le clausole dei contratti collettivi che non prevedono lo scomputo delle assenze derivanti dall'handicap sono disposizioni apparentemente neutre che, tuttavia, discriminano i lavoratori disabili per via delle loro condizioni di salute.

Il caso

Con ricorso ex art. 1 comma 51 l. n. 92/2012, la ricorrente presentava opposizione avverso l'ordinanza conclusiva della prima fase del cd rito Fornero con la quale il Tribunale aveva sancito la legittimità del licenziamento giustificato sul superamento del periodo di comporto.

Nell'opposizione la ricorrente ripresentava le doglianze respinte nella prima fase. In primo luogo, rilevava che buona parte delle assenze considerate nel calcolo per il superamento del periodo di comporto fossero da considerarsi casualmente riferibili alle patologie derivanti dell'handicap a lei accertato e noto all'azienda in quanto assunta come quota riserva invalidi ex art. 10 comma 4 l. n. 68/1999.

Di conseguenza eccepiva che il contenuto dell'art. 46 del CCNL federpanificatori, applicato al proprio contratto di lavoro individuale, costituisse una forma di discriminazione indiretta in quanto non escludeva dal calcolo del comporto per sommatoria le assenze cagionate da patologie eziologicamente riferibili alla disabilità.

In via subordinata la ricorrente eccepiva l'illegittimità del licenziamento in quanto le assenze per malattia, computate ai fini del superamento del comporto, sarebbero state riconducibili all'adibizione della lavoratrice a mansioni incompatibili con lo stato di salute della stessa e, quindi, in violazione con l'art. 2087 c.c. e 32 Cost.

Le questioni

1) Le assenze del lavoratore determinate o connesse alla condizione di disabilità devono essere escluse dal calcolo per verificare il superamento o meno del periodo di comporto?

2) Che cosa si intende per disabilità e per malattia?

La soluzione

La Giudice del Tribunale di Parma accoglie la domanda principale del ricorso ritenendo che sia discriminatorio il licenziamento ordinando, quindi, la reintegrazione della lavoratrice. Nel comporto, infatti, parte datoriale ha incluso le assenze per malattia della ricorrente riconducibili alle patologie che giustificano il suo stato di invalidità. Tale nesso tra le assenze computate nel periodo di comporto e disabilità è stato accertato dalla CTU disposta durante il giudizio.

La Giudice ritiene che applicare indistintamente la disciplina del comporto a tutti i lavoratori e senza particolari accorgimenti nei confronti dei soggetti disabili , costituisca una forma di discriminazione indiretta. Nella motivazione parte dal presupposto che, in attuazione della direttiva 2000/78/CE, l'art. 2 del d.lgs. n. 216/ 2003 preveda due forme di discriminazione: quella diretta e quella indiretta.

L'art. 2 lett. a) del d.lgs. 216/2003 precisa che la discriminazione diretta si ravvisa qualora per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o orientamento sessuale, una persona sia trattata meno favorevolmente di quanto sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga.

Nella successiva lett. b) è stabilito che per discriminazione indiretta si intende una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri, ma possono mettere le persone che professano una determinata religione o convincimento personale, le persone portatrici di handicap le e persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto alle altre.

La Giudice ritiene che il caso di specie rientri nella seconda ipotesi, cioè di discriminazione indiretta poiché un lavoratore disabile è esposto al rischio ulteriore di assenze dovute a malattie causate dalla sua disabilità. Ne consegue che per cause ad esso non imputabili, il lavoratore disabile è sottoposto ad un maggiore rischio di accumulare giorni di assenza per malattia e, quindi, di superare il cd periodo di comporto (cfr. Corte di Giustizia UE 18 gennaio 2018, causa C-270/16; Corte App. Roma, sez. lav. sent. 26 maggio 2021, n. 2194; Trib. Palermo, sez. lav. sent. 01 aprile 2022, n. 1078).

Sulla base di tale presupposto costituisce discriminazione indiretta la mancata sottrazione dal calcolo del comporto dei giorni di malattia ascrivibili all'handicap del lavoratore con conseguente nullità del licenziamento impugnato (cfr. ex plurmis, Cass. 25 luglio 2019, n. 20204; Corte App. Genova, sez. lav., 21 luglio 2021, n. 211; Trib. Mantova, sez. lav. 22 settembre 2021, n. 126).

Una norma apparentemente neutra come quella che disciplina ll cd periodo di comporto può, come viene rilevato nella sentenza, comportare una violazione del principio di parità di trattamento stabilito dall'art. 3 Cost. La suddetta ipotesi si verifica quando una disposizione considera in maniera uniforme situazioni invero eterogenee. Un caso è appunto applicare le medesime condizioni in relazione all'istituto del periodo di comporto ad un lavoratore non invalido e ad uno affetto, invece, da disabilità.

Nelle motivazioni della sentenza la Giudice evidenzia come le assenze del disabile non debbano essere aprioristicamente escluse dal calcolo del comporto. Richiamandosi alla sentenza del Tribunale di Lodi, pronunciata il 12 settembre 2022 n. 19, rammenta come malattia e disabilità siano concetti differenti.

La prima costituisce una difficoltà funzionale del lavoratore, di carattere permanente, o quanto meno di lunga durata, che pregiudica o rende più difficile lo svolgimento di un'attività lavorativa. Per tale ipotesi il Legislatore prevede che il datore di lavoro debba adottare accorgimenti al fine di agevolare il disabile nell'esecuzione della prestazione.

La malattia, invece, è uno stato morboso temporaneo che impedisce completamente lo svolgimento dell'attività lavorativa per un determinato periodo di tempo.

Puntualmente la Giudice rileva come vi possano anche essere lavoratori affetti da disabilità gravi, come ad esempio coloro che sono affetti da cecità, che tuttavia non sono sottoposti ad un rischio di maggiori assenze per malattia rispetto ad un lavoratore normodotato.

Osservazioni

La sentenza brevemente annotata rafforza il filone giurisprudenziale che ritiene che debbano essere sempre scomputate dal periodo di comporto le assenze provocate da patologie riconducibili alla disabilità del lavoratore.

La sezione lavoro del Tribunale di Milano appartiene a tale orientamento. Ad esempio, nell'ordinanza emessa in data 2 maggio 2022, il Tribunale di Milano afferma che l'inclusione delle assenze connesse alla disabilità accertata del lavoratore costituisca discriminazione indiretta in quanto comportamento apparentemente neutro che, tuttavia, pone le persone portatrici di handicap in una situazione di particolare svantaggio rispetto alle altre persone normodotate.

Conforme alla sentenza in commento, e con una portata addirittura estensiva, è l'ordinanza del 21 marzo 2021 pronunciata dal Giudice del Lavoro del Tribunale di Verona. In tale caso il Giudicante ha ritenuto discriminatoria la norma del CCNL che include nel calcolo del periodo di comporto le assenze derivanti dalla disabilità per la quale è stata accertata un'invalidità seppur non grave ai sensi dell'art. 3 comma 3 l. 104/1992.

Tale filone è conforme alla giurisprudenza della Corte di Giustizia (da ultimo C. Giust. Sent. 18 Gennaio 2018, causa C-270/16, si veda anche Corte di Giustizia, 11 aprile 2013 cause riunite C335/11 e C337/11).

L'altro orientamento ritiene, invece, che lo scomputo delle assenze dovute alla disabilità sia lesivo del diritto alla libertà d'impresa che nella suddetta ipotesi si manifesta nell'interesse del datore ad ottenere la prestazione dal lavoratore. Se il datore di lavoro ha già adottato una serie di accomodamenti finalizzati ad agevolare l'attività lavorativa del prestatore affetto da handicap, come l'adibizione a mansioni idonee al suo stato di salute, anche nelle modalità orarie di svolgimento, ed un luogo di lavoro anch'esso predisposto per far fronte alla sua disabilità, è irragionevole ritenere che dal calcolo del periodo di comporto debbano essere escluse le assenze derivanti alla disabilità (Corte d'Appello di Palermo, sez. lav., 14 Febbraio 2022, n. 111).

Secondo tale orientamento, una volta appurato che il datore di lavoro ha adottato ragionevoli accomodamenti in relazione allo stato di disabilità del lavoratore, escludere dal calcolo del periodo di comporto le assenze derivanti dalla disabilità comporterebbe un'eccessiva compromissione della possibilità di recedere dal contratto a danno del datore di lavoro.

Il filone giurisprudenziale che ritiene non discriminatorio calcolare nel computo del periodo di comporto anche le assenze derivanti dalla disabilità, evidenzia che spetterebbe comunque al lavoratore fornire la prova che le assenze siano state provocate da patologie che trovano causa nella disabilità. Tale onere può essere peraltro agevolmente assolto producendo certificati medici che, in base al D.M. 18 aprile 2012, attestino che l'assenza è causata ad uno stato patologico derivante da una disabilità accertata (cfr. Trib. Bologna, sez. lav., sent. 19 maggio 2022, n. 230).

In sintesi tale secondo filone sostiene che, una volta dimostrato che il datore ha adottato precauzioni idonee per tutelare il lavoratore disabile, sia legittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto nel quale sia stato calcolato anche il periodo di assenze collegate alla disabilità.

Inoltre, sempre fermo restando la possibilità del datore di risolvere il contratto di lavoro qualora dimostri di aver adottato tutti i ragionevoli accomodamenti necessari, spetta al lavoratore dimostrare che le assenze sono state causate da problematiche di salute riconducibili all'accertata disabilità che deve essere comunicata tempestivamente al datore di lavoro (Corte d'Appello di Torino, sent. 3 novembre 2021 n. 604).

Conclusioni

I due orientamenti descritti rispondono a due esigenze diverse. Quello della sentenza in commento, e di matrice eurocomunitaria, ritiene come interesse principale da tutelare il diritto del lavoratore disabile a mantenere il posto di lavoro concedendo a quest'ultimo una tutela rafforzata in caso di assenze derivanti dalla sua disabilità. Il secondo, più attento alle esigenze organizzative e produttive, rileva che la libertà d'iniziativa economica non può essere eccessivamente compressa.

La soluzione al contrasto dovrà per forza avvenire tramite una pronuncia nomofilattica della Cassazione.

A parere di chi scrive il primo orientamento, maggiormente garantista nei confronti dei lavoratori disabili con le opportune limitazioni precisate nella sentenza in commento, sarà quello accolto dalla Suprema Corte.

Il primo motivo è il “cd primato del diritto comunitario su quello nazionale”. Tale principio è stato ancora recentemente affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 16 marzo 2022, n. 67 che nell'undicesimo “considerato in diritto” afferma espressamente che anche le sentenze di carattere interpretativo della Corte di Giustizia debbano essere direttamente applicate in quanto sono notoriamente accreditate di efficacia normativa e spiegano i propri effetti anche a qualsiasi altro caso che debba essere deciso in applicazione della medesima disposizione di legge”.

Non convince nemmeno la deduzione che sia necessaria la conoscenza del datore di lavoro dello stato di disabilità.

Trattasi di una tutela, per così dire, di natura oggettiva per la semplice esistenza della disabilità. Per questo motivo non rileva l'elemento psicologico e la conoscenza della disabilità. Sul punto è evidentemente possibile effettuare un parallelismo con la tutela rafforzata della maternità.

Per quanto riguarda l'obbligo di comunicazione non si nega che i principi generali di lealtà e di buona fede imporrebbero al lavoratore di comunicare sia lo stato di disabilità e sia quali assenze siano eziologicamente riferibili a quest'ultima. Tuttavia, sempre rimanendo nell'ambito dell'istituto del periodo di comporto, la stessa giurisprudenza ha sempre escluso che, in assenza di un obbligo stabilito dalla contrattazione collettiva, il datore di lavoro debba preavvisare il lavoratore dell'imminente scadenza del periodo di comporto.

Su questo profilo chi scrive ritiene che sia corretto porre a carico del lavoratore l'onere di indicare nel certificato di assenza che si tratti di mancata presentazione sul luogo di lavoro per problematiche di salute derivanti dalla disabilità. In base al criterio di vicinanza della prova tale obbligo è facilmente eseguibile da parte del lavoratore. il datore di lavoro, infatti, sino all'impugnazione giudiziale, non può sapere quali siano le assenze derivanti dalla disabilità e quali no. Si tratta di un obbligo derivante dal principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto che dovrebbe essere posto a carico del lavoratore anche nell'ottica del cd “economia processuale”.

Dall'altra parte,a prescindere da un obbligo stabilito dalla contrattazione collettiva, in base ai principi di correttezza, lealtà e buona fede nell'esecuzione del contratto andrebbe censurato il comportamento del datore che non comunica l'imminenza della fine del periodo di comporto al proprio dipendente.

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