La trattazione della causa è disciplinata dagli artt. 320 e 321, comma 1, c.p.c. I citati articoli prevedono disposizioni specifiche in ordine a due delle sotto fasi, l'altra è quella di istruzione, della trattazione in senso ampio, ovvero: la trattazione in senso stretto e la rimessione in decisione.
I primi tre commi dell'art. 320 c.p.c. sono rivolti all'interrogato libero e al tentativo di conciliazione.
Le parti, salva la possibilità di farsi rappresentare da un procuratore speciale o generale con potere di conciliare e transigere ai sensi dell'art. 185, comma 1, c.p.c., sono tenute a presentarsi personalmente in udienza. Il giudice interroga liberamente le parti proprio al fine di tentare la conciliazione ma può trarre dalle loro risposte, dalla loro mancata comparizione e dal loro contegno degli argomenti di prova, come previsto ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c.
Nel caso in cui la conciliazione non riesca, l'art. 320, comma 2, c.p.c. impone che: «il giudice di pace invita le parti a precisare definitivamente i fatti che ciascuna pone a fondamento delle domande, difese ed eccezioni, a produrre i documenti e a richiedere i mezzi di prova da assumere».
Il comma quarto, invece, tratta del rinvio della prima udienza. Il rinvio può essere compiuto solo una volta e deve dipendere dalla necessità di disporre l'assunzione di nuovi mezzi di prova o la produzione di nuovi documenti e che questa derivi dall'attività svolta durante la prima udienza.
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Anche nel caso in cui il giudice disponga il rinvio ai sensi dell'art. 320 c.p.c., alcune attività devono essere compiute durante la prima udienza di trattazione. Tra queste attività, ad esempio, rientrano la proposizione della domanda riconvenzionale, la possibilità di chiamare un terzo da parte del convenuto e la proposizione dell'eccezione di incompetenza.
L'operatività delle decadenze non può essere impedita in quanto le preclusioni non sono disponibili da parte del giudice di pace. Conformemente alla non disponibilità delle preclusioni può citarsi la sentenza Cass. civ., sez. II, 6 settembre 2017, n.20840, secondo la quale: «Nel procedimento davanti al giudice di pace non è configurabile una distinzione tra udienza di prima comparizione e prima udienza di trattazione, per cui deve ritenersi che le parti, all'udienza di cui all'art. 320 c.p.c., possano ancora allegare fatti nuovi e proporre nuove domande od eccezioni, in considerazione del fatto che esse sono ammesse a costituirsi fino a detta udienza. Il rito è, tuttavia, caratterizzato dal regime di preclusioni che assiste il procedimento dinanzi al tribunale, le cui disposizioni sono applicabili in mancanza di diversa disciplina, con la conseguenza che, dopo la prima udienza, in cui il giudice invita le parti a "precisare definitivamente i fatti", non è più possibile proporre nuove domande o eccezioni ed allegare a fondamento di esse nuovi fatti costitutivi, modificativi, impeditivi o estintivi, né tale preclusione è disponibile dal giudice di pace mediante un rinvio della prima udienza, per consentire tali attività oramai precluse, né, parimenti, l'omissione, da parte del medesimo giudice, del formale invito impedisce la verificazione della preclusione».
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L'eventualità in cui sia proposta querela di falso avverso una scrittura privata o un atto pubblico prodotto nel giudizio di fronte al giudice di pace è disciplinata ai sensi dell'art. 313 c.p.c. Nel caso di proposizione di querela di falso, data la propria incompetenza funzionale, il giudice di pace, purché riconosca la conformità della querela di falso proposta ai requisiti previsti ex artt. 221 e 222 c.p.c. e la rilevanza del documento ai fini della decisione, sospende il giudizio e rimette le parti di fronte al tribunale per la decisione della stessa.
Avverso la sospensione disposta ai sensi dell'art. 313 c.p.c. non può essere proposto regolamento di competenza. Il controllo di legittimità compiuto dal giudice di pace è, infatti, limitato al mero controllo dell'effettiva proposizione della querela di falso e al non abusività della sospensione, i controlli in ordine alle questioni procedurali e processuali relativi alla querela spettano, invece, al tribunale.
L'art. 321, comma 1, c.p.c. tratta della rimessione in decisione.
L'articolo prevede che il giudice di pace, nel momento in cui la causa risulti matura per la decisione, inviti le parti a precisare le conclusioni e a discutere la causa. Non è prevista la fissazione di un'udienza specifica per la precisazione delle conclusioni ma la mancanza dell'invito a precisare le conclusioni alla stessa udienza o in una successiva comporta nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa delle parti.
Nel caso in cui il giudice di pace rilevi la non maturità della causa ma voglia pronunciarsi su questioni relative all'istruzione della causa procede ai sensi del comma 1 art. 279 c.p.c. Provvede, quindi, con ordinanza e questo avviene anche nei casi in cui il giudice si pronunci solo su questioni relative alla competenza.
L'art. 321, comma 2, c.p.c. prevede che la sentenza debba essere depositata entro 15 giorni dalla discussione della causa. Bisogna considerare, però, le particolari esigenze di celerità imposte per il procedimento di fronte al giudice di pace. Queste permettono l'applicazione dell'art. 281-sexies ed è consentita anche la pronuncia immediatamente dopo la fine della discussione della causa.
Giova ricordare che, ex art. 311 c.p.c., per quanto non disposto diversamente si applicano le norme previste per il procedimento di fronte al tribunale. Allora, in casi di particolare complessità delle controversie, il giudice potrebbe disporre la precisazione delle conclusioni ex art. 189 c.p.c., disporre lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ai sensi dell'art. 190 c.p.c. e depositare la sentenza entro trenta giorni dal termine per il deposito delle memorie di replica. Si può procedere, nel caso in cui almeno una delle parti lo chieda, anche ex art. 281-sexies c.p.c., ovvero disponendo il solo scambio delle comparse conclusionali e fissando, entro trenta giorni dal termine previsto per il deposito delle stesse, udienza di discussione orale.
Il giudice di pace oltre che secondo diritto decide secondo equità. La decisione secondo equità è presa quando il valore della domanda sia minore a 1.100 € e non abbia ad oggetto diritti indisponibili o relativi a rapporti contrattuali conclusi secondo le modalità previste ex art. 1342 c.c.
Le sentenze del giudice di pace, sia pronunciate secondo diritto che secondo equità, devono essere sempre motivate.