Giudizio dinnanzi al giudice di pace

Alessandro Rossi
17 Febbraio 2023

Il procedimento di fronte al giudice di pace è stato modificato dal d.lgs. n. 149/2022. Le innovazioni all'istituto sono contenute nell'art. 3, comma 24, dalla lett. a) sino alla lett. f) del citato provvedimento. Il contributo segnala le novità più significative apportate a questo particolare rito.
Inquadramento

Il giudice di pace, il cui relativo ufficio è stato istituito dalla l. n. 374/1991, è, ai sensi dell'art. 1, comma 2 della citata legge, un magistrato onorario appartenente all'ordine giudiziario che, ex comma 1 del citato articolo, «esercita la giurisdizione in materia civile e penale e la funzione conciliativa in materia civile secondo le norme della presente legge». Al momento della sua istituzione, la ripartizione della competenza, nell'ambito della giurisdizione civile, aveva luogo tra il tribunale, in funzione di giudice monocratico e collegiale, il giudice di pace e il pretore, ad oggi soppresso tramite d.lgs. n. 51/1998.

Il giudice di pace, proprio in quanto magistrato onorario, è assoggettato alle stesse disposizioni del magistrato togato benché la sua carica sia temporanea, come disposto ai sensi dell'art. 10 l. n. 374/1991.

Diversamente dal conciliatore - il quale era, anch'esso, un giudice onorario che poteva decidere cause di modesta entità in via equitativa e esercitava la funzione conciliativa, anche se non avesse compiuto studi qualificati poiché non necessari - il giudice di pace deve essere in possesso di alcuni requisiti tecnici, oltre agli altri previsti ai sensi dell'art. 5 della l.n. 374/1991 (quali, ad esempio, il possesso della cittadinanza italiana, avere l'esercizio dei diritti civili e politici, ecc.).

Tra i vari requisiti previsti dal comma 1 ve ne è uno che riguarda anche il requisito occupazionale del candidato giudice di pace. Egli, come disposto dalla lettera g), deve «aver cessato, o impegnarsi a cessare prima dell'assunzione delle funzioni di giudice di pace, l'esercizio di qualsiasi attività lavorativa dipendente, pubblica o privata». In relazione alla professione forense, però, l'art. 8-bis della l. n. 374/1991 prevede che questa possa essere esercitata, purché ciò non avvenga di fronte all'ufficio del giudice di pace di propria appartenenza e non può prestare la propria opera neanche nei successivi gradi per procedimenti che si sono svolti di fronte ad esso. Al precedente art. 8, invece, sono previste le funzioni incompatibili con l'esercizio delle funzioni di giudice di pace.

Alle lett. d) e h) del comma 1 dell'art. 5 della citata legge sono, rispettivamente, imposti i seguenti requisiti: il conseguimento della laurea in giurisprudenza e «avere superato l'esame di abilitazione all'esercizio della professione forense».

Al comma 2 del citato articolo sono previsti dei requisiti alternativi a quello sub h). È disposto, infatti, che l'ufficio di giudice di pace possa essere assunto da chi, benché non abbia superato l'esame di abilitazione alla professione forense, abbia esercitato funzioni giudiziarie, notarili, insegnato materie giuridiche all'università o abbia esercitato funzioni dirigenziali nelle cancellerie o negli uffici giudiziari. Può esercitare la funzione di giudice di pace anche chi abbia svolto lo stage presso gli uffici giudiziari con esito positivo, ai sensi del comma 2-bis dell'art. 5.

L'incarico di giudice di pace è temporaneo, come previsto ai sensi dell'art. 7 l. n. 374/1991. Questo è conferito per quattro anni ed è possibile la conferma sino a due volte. Ogni conferma avviene per una durata di quattro anni.

Il giudice di pace esercita sia funzioni contenziose che non contenziose. Relativamente alle funzioni non contenziose, l'art. 322 c.p.c. tratta della funzione conciliativa del giudice di pace. L'articolo citato prescrive un procedimento preventivo che è volto ad evitare l'avvio del contenzioso. L'istanza è proposta verbalmente al giudice territorialmente competente e il processo verbale di conciliazione è titolo esecutivo se la materia rientra nella competenza del giudice di pace. Fuori da quest'ultimo caso ha, invece, solo valore di scrittura privata.

Se la conciliazione non riesce per mancata presentazione di una delle parti, il giudice di pace, pur se la conciliazione sia relativa ad una materia civile che rientri nella sua competenza giurisdizionale, non può definire la lite in via contenziosa se prima non è presentata la relativa domanda giudiziale.

(Per una completa e più approfondita trattazione della figura del giudice di pace si rinvia a L. Di Cola, Giudice di pace, su IUS Processo civile (ius.giuffrefl.it).

Competenza

Al momento dell'entrata in vigore della l. n. 374/1991, la competenza del giudice civile si divideva tra il tribunale, il giudice di pace e il pretore. Oggi, a seguito dell'entrata in vigore d.lgs. n. 51/1998 e alla conseguente soppressione dell'ufficio del pretore, la competenza si riparte tra il tribunale e il giudice di pace. Le regole di competenza sono previste ai sensi dell'art. 7 c.p.c.

L'art. 7 c.p.c., difatti, disciplina le regole di competenza del giudice di pace con riguardo alla competenza per valore e per materia. Le regole di individuazione del giudice territorialmente competente, e quindi relative alla competenza per territorio, sono disciplinate ex artt. 18 e ss. c.p.c.

Ai sensi dei commi 1 e 2 dell'art. 7 c.p.c. la competenza è individuata tramite un criterio ibrido tra quello del valore e quello della materia.

Ai sensi del comma 1 è prevista la competenza del giudice di pace per le controversie relative a beni mobili, purché queste abbiano un valore massimo di 5.000 € e non sia prevista la competenza di un altro giudice.

In evidenza

In passato esisteva contrasto in ordine alla possibilità o meno per il giudice di pace di risolvere controversie relative a rapporti riguardanti beni immobili.

La tesi contraria valorizzava il criterio della competenza per materia del giudice ordinario per le controversie relative a beni immobili, in quanto al giudice di pace sono affidate solo quelle relative a beni mobili, ancorché nel limite di 5.000 €. L'assunto avrebbe giustificato, quindi, l'attrazione delle controversie avente ad oggetto rapporti riguardanti beni immobili alla competenza del tribunale.

La Cassazione, però, sembra aver fatto propria la tesi a favore della devoluzione delle citate controversie al giudice di pace. Esempio paradigmatico è dato dalla sentenza Cass. civ., sez. un., 10 ottobre 2011, n. 21582, secondo la quale: «È competente il giudice di pace (nei limiti della sua competenza per valore) in ordine alle controversie aventi ad oggetto pretese che abbiano la loro fonte in un rapporto, giuridico o di fatto, riguardante un bene immobile, salvo che la questione proprietaria non sia stata oggetto di una esplicita richiesta di accertamento incidentale di una delle parti e sempre che tale richiesta non appaia, ictu oculi, alla luce delle evidenze probatorie, infondata e strumentale - siccome formulata in violazione dei principi di lealtà processuale - allo spostamento di competenza dal giudice di prossimità al giudice togato».

Ai sensi del comma 2, invece, è stabilita la competenza del giudice di pace per le controversie che abbiano ad oggetto il risarcimento danni derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, purché il valore massimo della controversia non superi i 20.000 €.

Il giudice di pace è competente per materia, come disposto dal comma 3 dell'articolo in esame, qualunque ne sia il valore nei casi in cui si tratti di: «apposizione di termini e osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi» (n. 1 comma 3), «per le cause relative alla misura ed alle modalità d'uso dei servizi di condominio di case» (n. 2 comma 3), «per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità» (n. 3 comma 3) e «per le cause relative agli interessi o accessori da ritardato paga-mento di prestazioni previdenziali o assistenziali» (n. 3-bis comma 3).

Oltre alle materie elencate, il giudice di pace è competente, ai sensi dell'art. 6 d.lgs. n.150/2011, anche per l'opposizione alle sanzioni amministrative, purché di valore pecuniario inferiore a 15.493 €. Inoltre, il giudice di pace, sempre ai sensi del d.lgs. n. 150/2011, è competente per l'impugnazione dei provvedimenti in materia di registro dei protesti e per l'impugnazione del decreto prefettizio di espulsione dei cittadini che non sono membri dell'UE.

La competenza del giudice di pace, quindi, è limitata alla tutela di cognizione e, conseguentemente, non si estende alla materia esecutiva (salve le ipotesi con natura di incidente di cognizione relative alle opposizioni esecutive, previste ex artt. 615 e 619 c.p.c.), a quella cautelare (salvo le fattispecie di istruzione preventiva ex art. 693, comma 1, c.p.c.) e alla volontaria giurisdizione (salvo quanto disposto dagli artt. 752, comma 2 e 745 c.p.c.).

Relativamente alla tutela esecutiva, però, la situazione è destinata al mutare. Dal 31 ottobre del 2021, difatti, entrerà in vigore il nuovo art. 15-bis c.p.c., introdotto dal d.lgs. n. 116/2017, che prevede la competenza del giudice di pace relativamente all'esecuzione forzata su cose mobili.

Svolgimento del processo di fronte al giudice di pace. Introduzione

Il procedimento di fronte al giudice di pace è regolato, in prima battuta, dall' art. 311 c.p.c.

L'art. 311 c.p.c. impone l'applicazione delle norme previste per il procedimento di fronte al tribunale per quanto non disposto nel titolo II del libro II (“Del procedimento davanti al giudice di pace”) salvo ciò che è sottoposto a disposizioni specifiche. Norme apposite sono dettate per quanto riguarda la domanda (l'art. 316 c.p.c. è relativo alla forma, l'art. 318 c.p.c. al contenuto), la rappresentanza (art. 317 c.p.c.) e la querela di falso (art. 313 c.p.c.).

Il giudizio di fronte al giudice di pace è introdotto, ai sensi dell'art. 316.1 c.p.c., tramite citazione a comparire ad udienza fissa.

Anche di fronte al giudice di pace la parte deve avvalersi del patrocinio di un avvocato, salvo che la stessa possa stare in giudizio personalmente. Quest'ultima eventualità è ammessa, ai sensi dell'art. 82.1 c.p.c., quando il valore della causa sia inferiore a 1.110 €.

La domanda può essere presentata, secondo quanto disposto ex comma 2 dell'art. 316 c.p.c., anche oralmente, venendo raccolta a verbale. Non sono previsti limiti di valore alla possibilità di proporre la domanda in forma orale potendo, quindi, verificarsi una situazione nella quale la parte proponga la domanda in via orale e stia in giudizio personalmente.

In evidenza

Nel caso in cui la parte proponga domanda in forma orale per una controversia di valore superiore 1.100 € e a questa sussegua costituzione persole della stessa, si incorre in un vizio della costituzione che comporta nullità rilevabile d'ufficio. Così dispone la sentenza Cass. civ. sez. III, 19 luglio 2001, n. 9844, secondo la quale: «Poiché la verifica d'ufficio della regolare costituzione delle parti è prevista dall'art. 182 c.p.c. e dalle norme che impongono al giudice di dichiarare la contumacia della parte non costituita personalmente, la violazione dell'art. 82 c.p.c., che si realizza nel procedimento innanzi al giudice di pace allorché la parte stia in giudizio personalmente senza che ne ricorrano i presupposti, dà luogo a una nullità rilevabile d'ufficio».

Nel caso in cui, invece, ci sia la mancata sottoscrizione del processo verbale con cui si è proposta domanda in forma orale da parte del cancelliere, il vizio in cui si incorre è di semplice irregolarità. In maniera conforme a questo orientamento si esprime la sentenza Cass. civ., sez. III, 21 aprile 1998, n. 4033, secondo la quale: «La mancata sottoscrizione da parte del cancelliere del processo verbale della domanda proposta oralmente davanti al giudice di pace a norma dell'art. 316 c.p.c. non comporta l'inesistenza o la nullità dell'atto, ma una semplice irregolarità, non vertendosi in un'ipotesi di mancanza di un requisito di forma indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell'atto (vocatio in jus), una volta che questo sia stato conseguito con la notifica del verbale alla controparte».

Ai sensi dell'art 318, comma 1, c.p.c., la domanda, sia che venga proposta oralmente o tramite citazione a comparire ad udienza fissa, deve contenere: l'indicazione del giudice e delle parti, l'esposizione dei fatti e l'indicazione dell'oggetto. Non è necessario inserire - come, invece, è imposto nel caso di proposizione della domanda di fronte al tribunale, ai sensi dell'art. 163, comma 3, n.7 c.p.c. - l'avvertimento rivolto al convenuto e relativo alle decadenze in cui potrebbe incorrere nel caso di costituzione non tempestiva.

La carenza degli elementi essenziali della domanda previsti dall'art. 318.1 c.p.c. non comporta sempre il vizio di nullità della stessa. Data la possibilità di integrare i fatti o di allegarne di nuovi nei termini previsti dall'art. 320 c.p.c., la nullità della domanda si concretizza solamente nel caso in cui sia impossibile, per la mancata o incompleta esposizione dei fatti, l'instaurazione del contraddittorio.

Ai sensi dell'art. 318, comma 2, c.p.c., il termine che deve decorrere tra la notificazione e la prima udienza è quello previsto dall'art. 163-bis ridotto della metà. L'assegnazione di un termine minore di quello previsto, unito alla mancata costituzione del convenuto, comporta la nullità dell'atto di citazione, come previsto ai sensi dell'art. 164 c.p.c.

Le parti, come disposto dall'art. 319 c.p.c., possono validamente costituirsi alla prima udienza di trattazione. Il convenuto, inoltre, non è onerato del deposito della comparsa di costituzione al fine della propria costituzione in giudizio.

In evidenza

Per la tesi affermativa del mancato onere di depositare la comparsa di costituzione e risposta in capo al convenuto si può citare Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2006, la cui massima è: «Nel procedimento avanti al giudice di pace, l'art. 319 c.p.c. consente alle parti di costituirsi in cancelleria o in udienza, garantendo loro libertà di forme, sicché ben può il convenuto considerarsi esonerato dall'onere di presentare la comparsa di costituzione; peraltro, non distinguendo tra udienza di prima comparizione e udienza di prima trattazione, l'art. 320 c.p.c. concentra nella prima udienza tutta l'attività processuale delle parti (quali la precisazione dei fatti, la produzione dei documenti e le richieste istruttorie), consentendo (ai sensi del comma 4) il rinvio a successiva udienza solamente quando, in relazione all'attività svolta, risultino necessarie ulteriori produzioni o richieste di prove. Ne consegue che all'udienza che venga tenuta successivamente alla prima rimane precluso al convenuto proporre domanda riconvenzionale, né, ove rimasto contumace alla prima udienza e costituitosi solo a quest'ultima, gli è consentito svolgere attività difensiva diversa dalla mera contestazione delle pretese avversarie e delle prove addotte a sostegno delle medesime, come pure gli è precluso di chiamare un terzo in causa. Le suindicate preclusioni processuali non sono derogabili nemmeno da parte del giudice di pace, che non può rinviare la prima udienza al fine di consentire alle parti l'espletamento di attività precluse, trovando tale sistema fondamento e ragione nell'esigenza di garantire la celerità e la concentrazione dei procedimenti civili, a tutela non solo dell'interesse del singolo ma anche di quello della collettività».

(Per la trattazione delle condizioni di procedibilità della causa nel caso di proposizione della domanda di fronte al giudice di pace si rinvia a L. Di Cola, Giudice di pace, su IUS Processo ciivle (ius.giuffrefl.it).

Trattazione della causa e decisione

La trattazione della causa è disciplinata dagli artt. 320 e 321, comma 1, c.p.c. I citati articoli prevedono disposizioni specifiche in ordine a due delle sotto fasi, l'altra è quella di istruzione, della trattazione in senso ampio, ovvero: la trattazione in senso stretto e la rimessione in decisione.

I primi tre commi dell'art. 320 c.p.c. sono rivolti all'interrogato libero e al tentativo di conciliazione.

Le parti, salva la possibilità di farsi rappresentare da un procuratore speciale o generale con potere di conciliare e transigere ai sensi dell'art. 185, comma 1, c.p.c., sono tenute a presentarsi personalmente in udienza. Il giudice interroga liberamente le parti proprio al fine di tentare la conciliazione ma può trarre dalle loro risposte, dalla loro mancata comparizione e dal loro contegno degli argomenti di prova, come previsto ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c.

Nel caso in cui la conciliazione non riesca, l'art. 320, comma 2, c.p.c. impone che: «il giudice di pace invita le parti a precisare definitivamente i fatti che ciascuna pone a fondamento delle domande, difese ed eccezioni, a produrre i documenti e a richiedere i mezzi di prova da assumere».

Il comma quarto, invece, tratta del rinvio della prima udienza. Il rinvio può essere compiuto solo una volta e deve dipendere dalla necessità di disporre l'assunzione di nuovi mezzi di prova o la produzione di nuovi documenti e che questa derivi dall'attività svolta durante la prima udienza.

In evidenza

Anche nel caso in cui il giudice disponga il rinvio ai sensi dell'art. 320 c.p.c., alcune attività devono essere compiute durante la prima udienza di trattazione. Tra queste attività, ad esempio, rientrano la proposizione della domanda riconvenzionale, la possibilità di chiamare un terzo da parte del convenuto e la proposizione dell'eccezione di incompetenza.

L'operatività delle decadenze non può essere impedita in quanto le preclusioni non sono disponibili da parte del giudice di pace. Conformemente alla non disponibilità delle preclusioni può citarsi la sentenza Cass. civ., sez. II, 6 settembre 2017, n.20840, secondo la quale: «Nel procedimento davanti al giudice di pace non è configurabile una distinzione tra udienza di prima comparizione e prima udienza di trattazione, per cui deve ritenersi che le parti, all'udienza di cui all'art. 320 c.p.c., possano ancora allegare fatti nuovi e proporre nuove domande od eccezioni, in considerazione del fatto che esse sono ammesse a costituirsi fino a detta udienza. Il rito è, tuttavia, caratterizzato dal regime di preclusioni che assiste il procedimento dinanzi al tribunale, le cui disposizioni sono applicabili in mancanza di diversa disciplina, con la conseguenza che, dopo la prima udienza, in cui il giudice invita le parti a "precisare definitivamente i fatti", non è più possibile proporre nuove domande o eccezioni ed allegare a fondamento di esse nuovi fatti costitutivi, modificativi, impeditivi o estintivi, né tale preclusione è disponibile dal giudice di pace mediante un rinvio della prima udienza, per consentire tali attività oramai precluse, né, parimenti, l'omissione, da parte del medesimo giudice, del formale invito impedisce la verificazione della preclusione».

L'eventualità in cui sia proposta querela di falso avverso una scrittura privata o un atto pubblico prodotto nel giudizio di fronte al giudice di pace è disciplinata ai sensi dell'art. 313 c.p.c. Nel caso di proposizione di querela di falso, data la propria incompetenza funzionale, il giudice di pace, purché riconosca la conformità della querela di falso proposta ai requisiti previsti ex artt. 221 e 222 c.p.c. e la rilevanza del documento ai fini della decisione, sospende il giudizio e rimette le parti di fronte al tribunale per la decisione della stessa.

Avverso la sospensione disposta ai sensi dell'art. 313 c.p.c. non può essere proposto regolamento di competenza. Il controllo di legittimità compiuto dal giudice di pace è, infatti, limitato al mero controllo dell'effettiva proposizione della querela di falso e al non abusività della sospensione, i controlli in ordine alle questioni procedurali e processuali relativi alla querela spettano, invece, al tribunale.

L'art. 321, comma 1, c.p.c. tratta della rimessione in decisione.

L'articolo prevede che il giudice di pace, nel momento in cui la causa risulti matura per la decisione, inviti le parti a precisare le conclusioni e a discutere la causa. Non è prevista la fissazione di un'udienza specifica per la precisazione delle conclusioni ma la mancanza dell'invito a precisare le conclusioni alla stessa udienza o in una successiva comporta nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa delle parti.

Nel caso in cui il giudice di pace rilevi la non maturità della causa ma voglia pronunciarsi su questioni relative all'istruzione della causa procede ai sensi del comma 1 art. 279 c.p.c. Provvede, quindi, con ordinanza e questo avviene anche nei casi in cui il giudice si pronunci solo su questioni relative alla competenza.

L'art. 321, comma 2, c.p.c. prevede che la sentenza debba essere depositata entro 15 giorni dalla discussione della causa. Bisogna considerare, però, le particolari esigenze di celerità imposte per il procedimento di fronte al giudice di pace. Queste permettono l'applicazione dell'art. 281-sexies ed è consentita anche la pronuncia immediatamente dopo la fine della discussione della causa.

Giova ricordare che, ex art. 311 c.p.c., per quanto non disposto diversamente si applicano le norme previste per il procedimento di fronte al tribunale. Allora, in casi di particolare complessità delle controversie, il giudice potrebbe disporre la precisazione delle conclusioni ex art. 189 c.p.c., disporre lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ai sensi dell'art. 190 c.p.c. e depositare la sentenza entro trenta giorni dal termine per il deposito delle memorie di replica. Si può procedere, nel caso in cui almeno una delle parti lo chieda, anche ex art. 281-sexies c.p.c., ovvero disponendo il solo scambio delle comparse conclusionali e fissando, entro trenta giorni dal termine previsto per il deposito delle stesse, udienza di discussione orale.

Il giudice di pace oltre che secondo diritto decide secondo equità. La decisione secondo equità è presa quando il valore della domanda sia minore a 1.100 € e non abbia ad oggetto diritti indisponibili o relativi a rapporti contrattuali conclusi secondo le modalità previste ex art. 1342 c.c.

Le sentenze del giudice di pace, sia pronunciate secondo diritto che secondo equità, devono essere sempre motivate.

Mezzi di impugnazione

Il regime di impugnabilità delle pronunce del giudice di pace è dato dal combinato di alcune norme.

Le pronunce del giudice di pace rese secondo diritto sono sottoposte al regime impugnatorio dato dal combinato disposto degli artt. 46 e 341 c.p.c. Ai sensi dell'art. 46 c.p.c. le ordinanze adottate dal giudice di pace per decidere in ordine alla competenza non possono essere oggetto di regolamento di competenza mentre, invece, ai sensi dell'art. 341 c.p.c. è previsto che per l'appello avverso le pronunce del giudice di pace sia competente il tribunale.

Per quanto riguarda le pronunce rese secondo equità, queste sono impugnabili tramite appello ma solo per «violazione delle norme sul procedimento, per violazione delle norme costituzionali e comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia», secondo quanto previsto ai sensi del comma 3 art. 339 c.p.c.

La riforma ad opera del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149

Il procedimento di fronte al giudice di pace è stato fatto oggetto di modifica ai sensi del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149. Le innovazioni all'istituto sono contenute ai sensi dell'art. 3, comma 24, dalla lett. a) sino alla lett. f) del citato provvedimento. In questo paragrafo si segnalano le novità più significative apportate a questo particolare rito.

Per quanto riguarda l'art. 316 c.p.c., ai sensi dell'art. 3, comma 24, lett. a), n. 1 è statuito che «al primo comma, le parole “mediante citazione a comparire a udienza fissa” sono sostituite dalle parole “nelle forme del procedimento semplificato di cognizione, in quanto compatibili”» Ai sensi del n. 2, invece, è previsto che «al secondo comma, secondo periodo, le parole “con citazione a comparire a udienza fissa” sono sostituite dalle parole “unitamente al decreto di cui all'art. 318”».

Con tale intervento viene modificata la forma introduttiva del giudizio di fronte al giudice di pace. Ora lo stesso sarà proposto con ricorso ai sensi dei nuovi artt. 281-decies c.p.c. e seguenti.

L'istanza orale di proposizione della domanda direttamente di fronte al giudice di pace, invece, sarà sempre notificata alla controparte e tale attività non avverrà più mediante citazione a comparire ad udienza fissa ma tramite la notifica del decreto ex art. 318 c.p.c.

L'art. 318 c.p.c., che disciplina il contenuto della domanda, è stato oggetto di modifica ai sensi dell'art. 3, comma 24, lett. c). Lo stesso, ai sensi del comma 1, dispone ora che «La domanda si propone con ricorso, sottoscritto a norma dell'art. 125, che deve contenere, oltre all'indicazione del giudice e delle parti, l'esposizione dei fatti e l'indicazione del suo oggetto».

La costituzione dell'attore e del convenuto, disciplinata ai sensi dell'art. 319 c.p.c., è ora regolata secondo il nuovo assetto consegnato dall'art. 3, comma 24, lett. d). Lo stesso modifica l'art. 319 c.p.c. statuendo che «all'art. 319, il primo comma e' sostituito dal seguente: “L'attore si costituisce depositando il ricorso notificato o il processo verbale di cui all'art. 316 unitamente al decreto di cui all'art. 318 e con la relazione della notificazione e, quando occorre, la procura. Il convenuto si costituisce a norma dei commi terzo e quarto dell'art. 281-undecies mediante deposito della comparsa di risposta e, quando occorre, la procura”». La grande novità in materia è data dalla necessità del deposito del decreto, unitamente al processo verbale, in caso di proposizione della domanda direttamente di fronte al giudice, ai fini della valida costituzione dell'attore. Il convenuto, invece, si dovrà costituire attraverso il deposito della comparsa di costituzione e risposta secondo la disciplina prevista ai sensi dell'art. 281-undecies, ovvero secondo le regole dettate per il procedimento semplificato di cognizione.

Infine, è necessario dar conto delle modifiche relative alla decisione della controversia. Ai sensi dell'art. 3, comma 24, lett. f), infatti, è disposto che «all'articolo 321, le parole “invita le parti a precisare le conclusioni e a discutere la causa.” sono sostituite dalle parole “procede ai sensi dell'art. 281-sexies”». Lo svolgimento della decisione, quindi, ora è speculare rispetto a quello previsto per il l giudizio di fronte al giudice monocratico, pur sempre tenute in considerazione le modifiche apportate in materia ai sensi dell'art. 3, comma 19, lett. b), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149.

Riferimenti
  • Mandrioli, Carratta, Diritto Processuale Civile, Vol. I e II, Torino, 2017;
  • Scarpa, Subcommento agli articoli 311,313,316,317,318,319,320,321 e 322 del Codice di Procedura Civile, in De Jure.
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