Non si applica il termine dilatorio di 60 giorni se la verifica è a carico di un terzo

Francesco Brandi
21 Febbraio 2023

Legittimo l'accertamento emesso prima di sessanta giorni dall'ispezione presso il commercialista o presso un cliente del contribuente. In questi casi, infatti, il pvc rappresenta semplicemente un atto istruttorio esterno rispetto al procedimento accertativo che lo riguarda. Lo ha stabilito la Cassazione che, con l'ordinanza 4726 del 15 febbraio 2023, ha respinto il ricorso di una società che lamentava il mancato rispetto del termine dilatorio dall'accesso presso il professionista e presso un cliente.

Contraddittorio in caso di verifiche e accessi. In tema di verifiche fiscali, la regola in base alla quale l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento, decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica, determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l'illegittimità dell'atto impositivo emesso ante tempus, si applica anche nel caso di accessi brevi finalizzati all'acquisizione di documentazione, sia perché la disposizione di cui all'art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 non prevede alcuna distinzione in ordine alla durata dell'accesso, in esito al quale comunque deve essere redatto un verbale di chiusura delle operazioni, sia perché, anche in caso di accesso breve, si verifica l'intromissione autoritativa dell'amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente, che deve essere controbilanciata dalle garanzie di cui al citato art. 12 (cfr. Cass. 15624/2014, 28312/2017, 3060/2018, 5999/2018, 30026/2018 e, da ultimo, 2243/2021).

In altri termini la garanzia del termine dilatorio si applica anche agli accessi cd. istantanei, ossia quelli volti alla sola acquisizione della documentazione posta a fondamento dell'accertamento, ed a tutti i tipi di verbali che concludano le operazioni di accesso, sicché, anche in dette ipotesi, è illegittimo, ove non ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l'atto impositivo emesso ante tempus (cfr. Cass. 19363/2020).

Il principio vale qualunque sia il contenuto del verbale di chiusura delle operazioni, che pure non è qualificato formalmente come “Pvc”, ma è un atto che si limita a descrivere le attività compiute durante l'accesso, anche se «breve».

Caso concreto. Col proprio ricorso in Cassazione la contribuente denunciava, tra l'altro, violazione dell'art. 12, comma 7 della legge 212/2000 per avere la CTR considerato legittimo l'avviso di accertamento nonostante il mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni dalla notifica del pvc per la presentazione di osservazioni.

Nel rigettare la doglianza la Cassazione ha affermato espressamente che «in materia di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il termine dilatorio di cui all'art. 12, co. 7, l. n. 212/2000 decorre da tutte le possibili tipologie di verbali di accesso, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, purché le operazioni concluse costituiscano esercizio di attività ispettiva svolta dall' Amministrazione nei confronti del contribuente sottoposto a verifica e destinatario dell'accertamento, non applicandosi il medesimo termine con riferimento ad un p.v.c. redatto a conclusione dell'accesso presso una terza società che integri, rispetto al contribuente, un atto istruttorio esterno rispetto al procedimento accertativo che l'ha attinto direttamente».

Infatti, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l'amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini delle imposte non armonizzate, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cosiddette a tavolino. Infatti, secondo consolidata giurisprudenza, le garanzie previste dall'art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000, operano esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l'attività imprenditoriale o professionale del contribuente (cfr. Cass. 34586/2021 e 18854/2020).

Il nocciolo della questione è che la garanzia non ha i suoi effetti quando l'ispezione è avvenuta presso un terzo: in questo caso l'accertamento si ritiene fatto a tavolino.

Né è valida la tesi della difesa, in relazione ai rilievi IVA, che lamentava la mancata attivazione del contraddittorio prima dell'emissione dell'atto impositivo. E infatti, la pretesa violazione del contraddittorio preventivo, nel caso di accertamenti cd. “a tavolino”, richiede, ai fini della relativa declaratoria di nullità dell'atto impositivo, la prova di "resistenza" (cioè delle ragioni plausibili per cui era necessario un confronto preventivo con il fisco), necessaria quando la normativa interna non sanzioni tale violazione con questa forma di invalidità (cfr. Cass. 18413/2021 e 11685/2021). I giudici di legittimità hanno infatti definitivamente confermato la validità dell'atto impositivo.

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