Il fido di fatto

Fabio Fiorucci
22 Febbraio 2023

La figura del c.d. affidamento di fatto - ossia la pattuizione di un'apertura di credito per facta concludentia e non in forma scritta - non ha ancora trovato un definitivo inquadramento giurisprudenziale. La configurabilità di un fido di fatto deve rapportarsi con le previsioni recate dal primo e terzo comma dell'art. 117 TUB, che impongono l'onere di forma scritta per la conclusione dei contratti bancari a pena di nullità. Il contributo offre una rassegna di orientamenti giurisprudenziali maturati intorno al c.d. affidamento di fatto.
Il fido di fatto

L'esistenza di un c.d. fido di fatto - ossia la pattuizione di un'apertura di credito per facta concludentia e non in forma scritta – è invocato dalla clientela bancaria al fine di riconoscere natura ripristinatoria e non solutoria a rimesse contabilmente registrate come extra-fido (o in mancanza di fido), così escludendosi che le stesse possano essere “coperte” dalla prescrizione decennale.

Secondo una parte significativa della giurisprudenza (ex multis App. Milano 24.7.2018; Trib. Cremona 22.10.2018; Trib. Firenze 29.11.2018; Trib. Padova 9.11.2018; App. Bari 3.8.2020; Trib. Torino 8.1.2021; Trib. Napoli Nord 10.9.2021; Trib. Torino 20.10.2021; Trib. Pistoia 30.3.2021 n. 298), anche in difetto di una espressa pattuizione scritta si deve ritenere sussistente tra le parti un contratto di apertura di credito (c.d. fido “di fatto”) in presenza di taluni indici sintomatici, ad esempio allorché il correntista abbia a lungo operato costantemente con saldo passivo, comportamento che non avrebbe evidentemente potuto tenere in assenza del consenso della banca, specie laddove non risulti che quest'ultima abbia mai intimato rientri né assunto qualunque altra iniziativa nei confronti del cliente (ad es. segnalazioni negative in Centrale dei rischi).

In sostanza, in casi del genere la banca mostra di voler considerare il conto in questione non già propriamente scoperto, ma semplicemente passivo; e ciò sull'implicito ma univoco presupposto del riconoscimento di un affidamento in linea di puro fatto. In definitiva, nell'affidamento di fatto la passività è consapevolmente gestita dalla banca, non involontariamente subita.

Per la giurisprudenza, dunque, la pattuizione relativa alla “trasformazione” del conto corrente in apertura di credito può realizzarsi anche per facta concludentia. L'affidamento di fatto, peraltro, pare avere conseguito un suo ‘riconoscimento' normativo (in senso lato), considerato che gli “scoperti senza affidamento” sono stati portati dalla Banca d'Italia ad autonoma categoria di rilevanza usuraria, laddove precedentemente rientravano nella categoria dell'apertura di credito (il mancato rientro delle aperture di credito scadute o revocate ricade infatti nella categoria “scoperti senza affidamento”).

Fido di fatto e forma scritta dei contratti bancari

Occorre evidenziare che l'ammissibilità di un affidamento di fatto deve necessariamente rapportarsi con l'art. 117, commi 1 e 3, TUB che impongono l'onere di forma scritta per la conclusione dei contratti bancari a pena di nullità.

Al riguardo, è rilevato in giurisprudenza (Trib. Torino 2.7.2015, 11.3.2015 e 31.10.2014; Trib. Massa 21.12.2017; App. Bari 3.8.2020; Trib. Ascoli Piceno 21.1.2021; Trib. Torino 8.1.2021; Trib. Firenze 22.6.2022) che non sussiste a carico del cliente alcuna preclusione sul piano della validità e conseguentemente su quello della prova. Sul piano della validità, la nullità del contratto bancario amorfo – come in generale le nullità previste dalle norme di trasparenza del testo unico bancario – è nullità c.d. unilaterale (o ‘di protezione'), ossia soltanto il cliente può farla valere (o il giudice se ad esso favorevole): così prevede l'art. 127, comma 2, TUB. Se il cliente preferisce chiedere l'esecuzione del contratto bancario ancorché amorfo o in ogni caso non ne eccepisce la nullità ex art. 117 TUB, il giudice non può rilevarla d'ufficio in deroga alla generale rilevabilità ex art. 1421 c.c. della nullità contrattuale. Il testo attualmente vigente dell'art. 127 TUB è, incidentalmente, ancora più chiaro, consentendo bensì la rilevabilità da parte del giudice di una nullità prevista dalle norme di trasparenza, ma soltanto alla condizione che essa operi «a vantaggio del cliente», secondo il modello delle c.d. nullità “di protezione” (App. Perugia 2.11.2022 n. 580: l'esistenza del contratto di apertura di credito non deve essere necessariamente provato con la forma scritta, anche tenuto conto che le nullità in materia sono ‘di protezione' e possono essere fatte valere solo dal cliente (art. 127, comma 2, TUB)).

Il piano probatorio è strettamente consequenziale. Se il cliente può chiedere l'esecuzione del contratto bancario amorfo, senza farne valere la nullità, non è evidentemente possibile negargli la possibilità di prova, applicando il limite previsto dall'art. 2725 c.c. per il contratto formale. La questione può essere esaminata anche dall'angolazione del giudice, ma le conclusioni non mutano: se il giudice, in mancanza di eccezione, non può rilevare la mancanza di forma scritta per dichiarare la nullità del contratto, non può neppure rilevarla per applicare in danno del cliente un limite probatorio previsto per il solo caso dei contratti formali (Trib. Torino 2.7.2015, 11.3.2015 e 31.10.2014; Trib. Massa 21.12.2017; Trib. Firenze 21.4.2022 n. 1160).

In argomento, può essere utile ricordare che, secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., nn. 898/2018 e 1653/2018), il requisito della forma ex art. 1325 n. 4 c.c. va inteso, relativamente ai contratti bancari (e finanziari), non in senso strutturale, ma “funzionale”, avuto riguardo alla finalità propria della normativa, ossia l'interesse del cliente.

Indizi sintomatici dell'esistenza di un fido di fatto

Tanto premesso, l'esistenza di un c.d. affidamento di fatto – circostanza in cui la banca, come detto, mostra di voler considerare il conto non già propriamente scoperto ma passivo, e ciò sull'implicito presupposto del riconoscimento di un affidamento in linea di puro fatto – è stata riscontrata dalla giurisprudenza alla presenza di plurimi indizi sintomatici del seguente tenore (Trib. Torino 11.3.2015; Trib. Massa 21.12.2017; Trib. Teramo 8.2.2017; Trib. Taranto 6.3.2018; Trib. Ascoli Piceno 21.1.2021; Trib. Pistoia 30.3.2021 n. 29861):

– sistematica, non occasionale e tollerata operatività con “saldo passivo” del correntista: «via via che il tempo passa, senza solleciti di rientro provenienti dalla banca, la situazione tende a consolidarsi, il rapporto obbligatorio acquista crescente stabilità» (Dolmetta);

- mancato avvio azioni di recupero dell'esposizione debitoria: «neppure consta che la banca abbia mai intimato il rientro o rifiutato l'esecuzione di ordini sul saldo debitore, diffidato l'attrice dal fare ulteriori atti dispositivi sul c/c a debito» (così Trib. Torino 2.7.2015; conf. Trib. Bergamo 3.8.2016; App. Torino 23.2.2012 e 3.5.2013).

– estratti conto in cui sono riportati tassi differenziati (evidentemente entro ed extra-fido) (App. Milano 4.7.2018; Trib. Firenze 22.6.2022; App. Perugia 2.11.2022 n. 580); applicazione al c/c delle condizioni economiche (misura dei tassi d'interesse) previste negli e/c per lo “scoperto nei limiti del fido” e l'apertura di credito o, ancora, l'espresso riconoscimento negli e/c e negli scalari di uno “scoperto nei limiti del fido” e di una “apertura di credito fiduciaria”; pagamento di assegni con saldo del conto in passivo (App. Milano 5.1.2023 n. 15);

– addebito di spese di istruttoria fido/apertura di credito, revisione di pratica fido;

– applicazione della commissione di massimo scoperto (remunerazione per l'utilizzazione di somme di denaro extra-fido) (Trib. Bergamo 3.8.2016; App. Milano 4.7.2018); al riguardo, possono essere valorizzati anche gli atti giudiziari difensivi di controparte, laddove sostengano la legittima applicazione della commissione di massimo scoperto (o non contestino la circostanza dell'affidamento del conto corrente) (App. Milano 5.1.2023 n. 15);

– invio lettera di revoca dell'affidamento poi disattesa dal successivo comportamento della banca, che ha seguitato a tollerare (e gestire) l'operatività del correntista con saldo passivo (Trib. Bergamo 3.8.2016).

Ai fini della dimostrazione della sussistenza e dell'entità dei fidi accordati ed utilizzati “di fatto” sono state, infine, opportunamente valorizzate le risultanze della Centrale dei Rischi di Banca d'Italia (accordato/utilizzato), che possono assumere valenza di prova privilegiata di natura confessoria dell'esistenza di un affidamento di fatto (Trib. Firenze 29.11.2018; Trib. Milano 29.11.2017; Trib. Massa 21.12.2017; Trib. Torino 8.1.2021; Trib. Firenze 22.6.2022).

Di particolare interesse, al riguardo, quanto stabilito da App. Torino 26 luglio 2017, che ha ritenuto esistente l'affidamento di fatto valorizzando la segnalazione operata da parte della banca alla Centrale dei Rischi, con individuazione specifica dell'importo dell'affidamento concesso al correntista, ove si precisava l'“accordato”, diverso da quello in concreto “utilizzato”; la Corte ha ritenuto che l'attestazione della banca implicasse il riconoscimento dell'esistenza effettiva della messa a disposizione del credito a favore della società per l'importo specificamente indicato e a partire dal periodo a cui la stessa indicazione si riferiva «con modalità simili alla confessione stragiudiziale rivolta ad un terzo, ex art. 2735 c.c., riguardo al fatto dell'affidamento concretamente accordato».

Non è inutile ricordare che, secondo le Istruzioni di Banca d'Italia in materia di Centrale dei rischi (Cap. I, Sez. 1, § 3), gli intermediari «possono utilizzare le informazioni acquisite dalla Centrale dei rischi per fini di difesa processuale, sempre che il giudizio riguardi il rapporto di credito intrattenuto con la clientela». Essendo, quella che rileva, la valenza documentale delle risultanze della Centrale dei rischi di Bankitalia, nulla osta alla loro proficua utilizzazione anche da parte della clientela bancaria.

Il dibattito giurisprudenziale

Occorre segnalare che in altre pronunce è invece affermata una lettura maggiormente rigorosa del requisito della forma scritta, escludendosi la configurabilità del fido di fatto, sul presupposto, in primo luogo, che a) i contratti bancari, ex art. 117, comma 1, TUB, devono rivestire la forma scritta ad substantiam, ivi compreso quello di apertura di credito (pur con l'eccezione di cui alla delibera del CICR del 4 marzo 2003), e che, comunque, b) quelli sopra indicati non appaiono indici presuntivi e sintomatici idonei a delineare un affidamento di fatto (Trib. Reggio Emilia 5.4.2019; Trib. Napoli Nord 26.8.2020; Trib. Napoli 4.1.2021; App. Torino 15.2.2021; Trib. Napoli 22.2.2021; Trib. Reggio Calabria 1.9.2021; App. Venezia 13.10.2022 n. 192).

La problematica configurabilità di un'apertura di credito ‘di fatto' è attestata anche dalla Cassazione, secondo cui un'apertura di credito non è evincibile dalla mera tolleranza di una situazione di scoperto da parte della banca; l'apertura di credito vive nella realtà sociale come contratto stipulato in forma scritta (Cass. n. 10776/2022: l'inerzia della banca di fronte ai ripetuti sconfinamenti non può essere intesa come implicita autorizzazione all'innalzamento del limite dell'apertura di credito, costituendo piuttosto un atteggiamento di mera tolleranza, in attesa del corretto adempimento da parte del correntista; Cass. n. 3487/1998: il fatto che una banca abbia talvolta consentito il superamento del limite del fido, in relazione ad importi accreditati ma non ancora effettivamente incassati ed acquisiti, di per sé non integra una manifestazione di volontà idonea a sostituire le clausole pattuite fra le parti, con difformi “ clausole d'uso”, ben potendo costituire espressione di tolleranza ed esplicazione di una facoltà discrezionale di volta in volta esercitata dalla banca secondo le circostanze del caso concreto; Cass. n. 12497/1992, Cass. n. 5819/1987).

Menzione a parte merita una recente decisione della Cassazione, secondo cui l'accertamento di un fido di fatto non è sufficiente ai fini della qualificazione delle rimesse come ripristinatorie o solutorie, ma occorre invece accertare la stipula, sia pure per facta concludentia, di un vero e proprio contratto di apertura di credito, non essendo sufficienti gli sconfinamenti avvenuti per mera tolleranza. A ciò va anche aggiunto che l'accertamento della sussistenza dell'apertura di credito comporta anche la definizione del limite della stessa, oltre il quale la rimessa ha comunque carattere solutorio (Cass. n. 19844/2022).

In altri termini, il tema dello sconfinamento, che si protrae nel tempo, senza che di fatto la banca abbia avviato iniziative di rientro nel corso del tempo, denota semplicemente la mancanza di interesse di quest'ultima a ricevere nell'immediato la prestazione dovuta e di tollerare - se non di favorire - la persistenza attuale e il protrarsi futuro del debito da sconfino del cliente: l'esistenza di scoperti di conto, anche ripetuti e cospicui, non è univocamente interpretabile come conseguente ad un'apertura di credito a favore della cliente, ben potendo trattarsi di mera tolleranza da parte della banca (App. Torino 15.2.2021; App. Milano 30.8.2017).

Ammontare del fido di fatto

Riguardo all'individuazione dell'ammontare del fido di fatto, in presenza di un affidamento di fatto il limite massimo è stato individuato nello stesso massimo scoperto di fatto consentito dalla banca (prima dell'adozione da parte di quest'ultima di qualsivoglia iniziativa di rientro), sicché ogni rimessa intervenuta nel corso di un tale rapporto ha funzione meramente ripristinatoria della provvista (App. Torino 3.5.2013; Trib. Ascoli Piceno 19.9.2016: se la banca eccepisce la prescrizione delle operazioni avvenute extrafido, deve provare il limite di detto affidamento, dovendo in caso contrario, assumersi che l'affidamento sia illimitato ovvero concesso dalla banca 'di fatto' per l'importo pari alla scopertura; Trib. Bergamo 3.8.2016; Trib. Torino 5.1.2017; Trib. Cremona 22.10.2018; App. Bari 3.8.2020).

L'esistenza e l'entità dei fidi accordati ed utilizzati può altresì trovare conferma nelle risultanze della Centrale Rischi (accordato/utilizzato) (App. Torino 26.7.2017; Trib. Massa 21.12.2017; Trib. Milano 29.11.2017; Trib. Torino 5.1.2017). In particolare, App. Torino 26.7.2017 ha ritenuto il conto corrente affidato, per l'importo riconosciuto dalla banca stessa nella comunicazione alla Centrale dei rischi, nei limiti del “tetto” che si afferma “accordato”, mentre gli sconfinamenti effettuati e segnalati oltre detto limite sono stati considerati extra fido, coperti quindi da rimesse solutorie.

Può essere utile ricordare che, secondo quanto stabilito da Bankitalia (Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi: Cap. II, Sez. II): l'accordato rappresenta il credito che gli organi competenti dell'intermediario segnalante hanno deciso di concedere al cliente; l'accordato operativo rappresenta l'ammontare del fido utilizzabile dal cliente «in quanto riveniente da un contratto perfetto ed efficace»; l'utilizzato rappresenta l'ammontare del credito erogato al cliente alla data di riferimento della segnalazione.

È escluso che la mancata predeterminazione iniziale dei limiti di affidamento implichi l'insussistenza dell'affidamento stesso, non essendo la predeterminazione dell'ammontare del fido un elemento essenziale del contratto di apertura di credito in conto corrente (cfr. art. 1842 c.c.: «L'apertura di credito bancario è il contratto col quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell'altra parte una somma di danaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato») (App. Torino 3.5.2013; Trib. Bergamo 3.8.2016; App. Torino 15.2.2021).

Secondo la Cassazione, infatti, in tema di contratti bancari, perché vi sia apertura di credito in conto corrente, non rileva il mero fatto della situazione di scoperto di conto, con una pluralità di adempimenti agli ordini trasmessi, bensì la pattuizione – generalmente formale, ma pur sempre realizzabile per facta concludentia – di un obbligo della banca di eseguire operazioni di credito bancario passive. Poiché tale obbligo può emergere dallo stesso contegno della banca nella gestione del conto, ne discende che la predeterminazione del limite massimo della somma accreditabile non costituisce elemento essenziale della causa del contratto di apertura di credito in conto corrente (Cass. n. 26133/2013). Perché vi sia apertura di credito in c/c è dunque sufficiente la pattuizione di un obbligo della banca di eseguire operazioni di credito bancario passive (Cass. n. 26133/2013; Trib. Bergamo 3.8.2016).

Possono dunque esistere aperture di credito senza un predeterminato limite di importo (tali tipicamente sono quelle di fatto, non formalizzate per iscritto). Sulla base di questi presupposti, se è provato l'affidamento di fatto ma non è dimostrato l'importo dello stesso, l'affidamento deve ritenersi illimitato, e pertanto tutti i versamenti ripristinatori; in altri termini, tutte le rimesse devono intendersi prima facie eseguite a riduzione dell'utilizzato e contenute nei limiti del fido, dunque ripristinatorie, salvo appunto specifica prova (da parte della banca) di un predeterminato limite di fido (Trib. Torino 11.3.2015; Trib. Milano 11.1.2017; Trib. Teramo 8.2.2017; Trib. Pavia 22.12.2016 e 7.2.2018. Contra App. Torino 11.1.2018)

Considerazioni conclusive

È diffuso il convincimento giurisprudenziale secondo cui, anche in difetto di una espressa pattuizione scritta, si deve ritenere sussistente tra le parti un contratto di apertura di credito (c.d. fido “di fatto”), per quanto non manchino prese di posizione di opposto tenore. Ai fini della prova indiretta della concessione di fatto dell'affidamento in c/c sono abitualmente valorizzate circostanze del seguente tenore: a) la stabilità, non occasionalità, dell'esposizione a debito (pluriennale); b) l'entità del saldo debitore; c) l'assenza di tracce sensibili di un rientro del cliente; anzi si registra una tendenza esattamente contraria, visto che la somma utilizzata cresce col tempo, per effetto di nuovi ripetuti atti di utilizzo; d) l'espresso riconoscimento negli e/c e negli scalari di uno “scoperto nei limiti del fido” e di una “APC fiduciaria”; e) l'applicazione al c/c delle condizioni economiche (misura dei tassi d'interesse) previste negli e/c per lo “scoperto nei limiti del fido” e l'apertura di credito.

Riguardo all'individuazione dell'ammontare del fido di fatto, in presenza di un affidamento di fatto il limite massimo è stato individuato nello stesso massimo scoperto di fatto consentito dalla banca, sicché ogni rimessa intervenuta nel corso di un tale rapporto ha funzione meramente ripristinatoria della provvista. L'esistenza e l'entità dei fidi accordati ed utilizzati può altresì trovare conferma nelle risultanze della Centrale Rischi (accordato/utilizzato).

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