Il diniego di rinnovo, ai sensi delle lett. c) e d) del comma 1 dell'art. 29 della l. n. 392/1978 - che attengono a situazioni obbiettive riguardanti solo l'immobile locato - può essere intimato in vista dell'esecuzione, sullo stesso, di opere consistenti in demolizione ai fini della ricostruzione, nell'integrale ristrutturazione o nel completo restauro; il diritto del locatore a riottenere la disponibilità del bene si configura qualora egli intenda eseguire un intervento sulla base di un programma pluriennale di attuazione o ristrutturare l'immobile al fine di rendere la superficie dei locali adibiti alla vendita conforme a quanto previsto dall'art. 12 della l. n. 426/1971.
Al riguardo, si è avuto modo di evidenziare il particolare momento in cui la l. n. 392/1978 è stata discussa e approvata, che vedeva, all'esame del Parlamento, anche il provvedimento sull'edilizia residenziale, e registrava un certo invecchiamento del patrimonio edilizio esistente e la ricerca di strumenti per sollecitare i proprietari ad interventi conservativi su di esso, per cui il buon funzionamento di taluni similari istituti della normativa vincolistica hanno sollecitato il legislatore a valorizzare una tale finalità; in questa prospettiva, in tema di determinazione dell'equo canone degli immobili adibiti a uso di abitazione, è stato stabilito l'azzeramento del coefficiente della vetustà (che indica proprio l'invecchiamento dell'immobile) in caso di interventi di integrale ristrutturazione o di completo restauro (art. 20); inoltre, questi, o altri, interventi sono stati posti a base della facoltà del locatore di recedere dai contratti in corso (sia con riferimento agli immobili destinati ad uso di abitazione ex art. 59, che a quelli non abitativi), oppure - per quel che qui interessa - per denegare il rinnovo del contratto alla prima scadenza.
Ai fini del diniego di rinnovo, rilevano i lavori edilizi concernenti la sola unità immobiliare locata, e non necessariamente l'intero edificio in cui esso si trova situato, come è ben possibile che vi sia un'indipendenza funzionale del singolo immobile locato dall'edificio di cui fa parte.
Ciò è reso evidente, innanzitutto, dalla lettera della legge, che usa la dizione “immobile” e non quella di “edificio”, termini che il legislatore del 1978 mostra, peraltro, di adoperare in un ben preciso significato, tant'è che, a proposito dell'analoga situazione (sia pure di diritto transitorio) disciplinata dall'art. 59, n. 3), della l. n. 392/1978, parla di “immobile locato [...] compreso in un edificio gravemente danneggiato”.
Inoltre, anche l'integrale ristrutturazione o il completo restauro del singolo immobile possono essere impediti dalla permanenza in esso del conduttore (per alcune applicazioni dei suesposti principi, v. Cass. civ., sez. III, 22 marzo 1995, n. 3266; Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 1991, n. 296; Cass. civ., sez. III, 17 maggio 1985, n. 3018; Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1984, n. 4740; Cass. civ., sez. III, 21 luglio 1983, n. 5021).
Si osserva, altresì, che il conduttore non può paralizzare l'avversa azione sull'assunto che gli aggettivi “completo” e “integrale” - riferiti, rispettivamente, al restauro ed alla ristrutturazione - dovrebbero necessariamente coinvolgere l'intero edificio per essere apprezzabili ai fini che qui interessano; del pari, il locatore non può esercitare la facoltà di diniego di rinnovo se i lavori, pur investendo in maniera più o meno massiccia l'edificio in cui l'immobile locato si trova, non coinvolgano necessariamente quest'ultimo.
Né è richiesto, ai fini del diniego di rinnovo, che la permanenza del conduttore all'interno di un immobile non interessato alle opere edilizie, comporti un disagio per il locatore: e cioè l'intervento edilizio deve riguardare l'immobile oggetto del contratto, a nulla rilevando che i progettati lavori interessino altre parti dell'edificio in cui detto immobile è situato, o che per la loro esecuzione il locatore abbia a subire un aggravio di spesa in conseguenza della permanenza del conduttore nello stesso, venendo quest'ultima situazione in rilievo solo nella diversa ipotesi, prevista dalla lett. d) del medesimo art. 29 (Cass. civ., sez. III, 14 maggio 1984, n. 2929).
Orbene, ai fini della differenziazione delle tipologie dei vari interventi edilizi, con particolare riguardo alla distinzione tra ristrutturazione e restauro, da un lato, e manutenzione, dall'altro, è stato attribuito primario rilievo a quanto stabilito dall'art. 31 della l. n. 457/1978, che, nelle definizioni degli interventi edilizi, ha carattere di norma generale e fondamentale in considerazione della sua collocazione tra le “norme generali per il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente”, nonché del disposto dell'ultimo comma dello stesso articolo per il quale le definizioni in questione prevalgono “sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi” (fattispecie concrete sono state esaminate da Cass. civ., sez. III, 14 giugno 1988, n. 4033; Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 1985, n. 4849; Cass. n. 3018/1985, cit.; Cass. civ., sez. III, 11 dicembre 1984, n. 6508; Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 1984, n. 403; Cass. n. 5021/1983, cit.).
Compete, comunque, al giudice la qualificazione delle opere giustificative del diniego: come osservato dalla Suprema Corte, l'art. 29, lett. c), prevede l'intenzione del locatore di effettuare lavori di un certo rilievo, specificati nell'integrale ristrutturazione, nel completo restauro, ecc., sicché, allorché l'attore agisca sul presupposto di dover eseguire degli interventi edilizi, il thema della lite viene ad incentrarsi sulla loro idoneità ad essere attratti in una delle suddette categorie, legittimanti il diniego, senza che la qualificazione che la parte ne abbia dato, in ipotesi in maniera errata, escluda il potere del giudice di inquadrarli nell'esatta categoria e pronunciare, di conseguenza, sulla domanda (Cass. n. 4740/1984, cit.).
Né la legittimità del diniego di rinnovo rimane influenzata dalla sussunzione delle opere edilizie che il locatore intende realizzare, nella disdetta motivata, in una categoria giuridica inappropriata (Pret. Benevento 20 marzo 1990).
A ben vedere, il successivo art. 31 della l. n. 392/1978 non menziona, tra i vari interventi di recupero dell'esistente patrimonio immobiliare, la demolizione e successiva ricostruzione dell'edificio: infatti, ai sensi dell'art. 29, lett. c), la ricostruzione dell'edificio, previa demolizione, comporta la cessazione dell'oggetto del rapporto, generato dal contratto di locazione, che è sostituito da un bene diverso, ancorché riproduca la struttura di quello demolito (Cass. civ., sez. III, 19 ottobre 1982, n. 5452).
Secondo la magistratura di vertice (Cass. civ., sez. III, 29 novembre 1990, n. 11496), tenuto conto della ratio legis, volta a consentire al locatore di un immobile urbano destinato ad uso diverso da quello di abitazione una diversa utilizzazione o un migliore godimento dell'immobile, il recesso di cui all'art. 29, lett. c), trova applicazione anche se il locatore di un terreno inedificato, sul quale il conduttore abbia costruito un immobile, intenda costruire un nuovo immobile previa demolizione di quello esistente, ferma restando l'applicazione della disciplina, tuttora vigente, sui miglioramenti e sulle addizioni dettata dagli artt. 1592 e 1593 c.c.
Nel distinguere, poi, gli interventi di integrale ristrutturazione e completo restauro, i giudici di legittimità (Cass. n. 5452/1982, cit.), inizialmente, hanno stabilito che l'integrale ristrutturazione comporta, come risultato, la modificazione della struttura dell'edificio, che viene ad assumere un diverso modo d'essere e, perciò, il sorgere di un quid novi; il completo restauro, in particolare, comporta il ripristino dell'edificio nel suo modo di essere originario, attraverso il quasi integrale rifacimento delle parti distrutte o deteriorate e l'eliminazione di aggiunzioni sovrapposte.
In seguito, si è chiarito che rientrano, nella nozione di integrale ristrutturazione - distinta dalla manutenzione straordinaria, avente finalità solo conservative - gli interventi che comportano, come risultato, la modificazione della struttura dell'immobile, che viene a costituire “un'entità ontologicamente o qualitativamente diversa da quella precedente” (così Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1987, n. 5058).
E si è aggiunto (da parte di Cass. civ., sez. III, 12 agosto 1988, n. 4934) che il completo restauro consiste in un intervento caratterizzato da un insieme sistematico di opere, tra loro coordinate ed effettuate in una visione di compiutezza su una pluralità di parti dell'immobile, sì da conferire a questo, pur nel rispetto dei suoi elementi tipologici, formali e strutturali, una nuova identità, o comunque un quid novi che, appunto, presenti l'immobile come ontologicamente e qualitativamente diverso da quello precedente.
Il concetto di quid novi, che connota anche i lavori di ricostruzione, attesa la maggiore estensione dell'intervento in questa ipotesi attuato, comporta l'assimilazione delle diverse fattispecie prese in considerazione dal legislatore: infatti, nelle differenti ipotesi della ristrutturazione, della ricostruzione e del restauro, rileva la diversità ontologica o qualitativa tra il prima ed il dopo, graduata in dipendenza del tipo dei lavori: così il restauro mira a riportare a nuovo l'immobile, mentre le prime due ipotesi realizzano, oggettivamente, un qualcosa di diverso (nel modo di essere per la ristrutturazione, e nella sua entità in ipotesi di ricostruzione previa demolizione).
Ne consegue che il completo restauro comprende i lavori diretti a realizzare la conservazione e la funzionalità dell'immobile nel rispetto degli elementi tipologici e strutturali di esso, quali il consolidamento, il ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi, l'inserimento di impianti richiesti dalle esigenze di uso e l'eliminazione di elementi estranei alla fisionomia architettonica dell'edificio (Cass. n. 3018/1985, cit.).
L'integrale ristrutturazione può implicare, oltre che il rifacimento o rafforzamento degli elementi essenziali dell'immobile, anche i casi di modificazione e trasformazione, che lo interessino nella sua totalità e si traducano nella realizzazione, dal punto di vista qualitativo, di un'entità del tutto diversa da quella preesistente (Cass. n. 3266/1995, cit.; Cass. civ., sez. III, 9 maggio 1986, n. 3098).
È da escludere, comunque, che ristrutturazione e restauro presuppongano la demolizione, anche parziale, dell'immobile: invero, il legislatore ha parlato di demolizione in contrapposto alla ricostruzione, separando nettamente gli altri due concetti di ristrutturazione e di restauro che - se pur ammettono possibilità di demolizione parziale - non la presuppongono, avendo per loro fine la conservazione dell'esistente (Pret. Savona 29 settembre 1979); ad ogni buon conto, non sembra necessario che si agisca sulle strutture fondamentali della cosa locata (Cass. n. 3266/1995, cit.; Cass. n. 4934/1988, cit.).
Stante che l'integrale ristrutturazione ed il completo restauro richiedono la modificazione ontologica o qualitativa del bene locato, la Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 29 novembre 1995, n. 12397) ha qualificato come riparazioni straordinarie le opere consistenti in “rifacimento globale di pavimentazioni, intonaci, servizi igienici, infissi e rifacimento copertura”, dovendosi escludere che tale attività edilizia, pur sempre di natura conservativa ancorché consistente e migliorativa, abbia arrecato modificazioni alla struttura dell'immobile così da far assumere a questo una nuova identità, un diverso modo di essere, ponendosi come un quid novi; situazione che si sarebbe verificata, ad esempio, se i lavori avessero determinato, con l'abbattimento delle tramezzature o l'inserimento di ulteriori elementi, una diversa distribuzione dei locali interni o l'aggiunta di uno o più vani.
Anche tali interventi devono presentare, peraltro, una loro sistematicità e compiutezza, sicché è da escludere, ad esempio, che possa farsi rientrare, nella fattispecie prevista dalla legge, la mera unificazione di locali contigui (Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1985, n. 4581); parimenti, si è escluso (secondo Cass. civ., sez. III, 25 gennaio 1991, n. 758) che l'integrale ristrutturazione ed il completo restauro possano consistere nella costruzione di un bagno, nell'installazione di un impianto di riscaldamento e di un citofono.
Riguardo ai lavori di manutenzione, la dottrina ha osservato che quest'ultima, sia ordinaria sia straordinaria, è attività intesa alla conservazione dell'edificio, per impedirne il deterioramento o per riparare un deterioramento verificatosi; e la distinzione tra manutenzione ordinaria e manutenzione straordinaria dipende dalla consistenza delle opere da eseguire, se normali (nel senso di ordinaria e periodica ricorrenza) o eccedenti la normalità, e dall'entità della spesa; perciò, trattandosi pur sempre di attività edilizia di conservazione, non ne risulta un quid ontologicamente o qualitativamente diverso.
Del resto, non può ammettersi che l'inerzia del locatore ai propri obblighi contrattuali - tra i quali è certamente compresa la manutenzione straordinaria dell'immobile, pena altrimenti lo snaturarsi del contratto di locazione - si traduca in un vantaggio del medesimo soggetto.
In giurisprudenza (v., tra le altre, Cass. n. 4934/1988, cit.), è pure costantemente affermato che gli interventi di manutenzione straordinaria difettano delle connotazioni - di sistematicità, di compiutezza e di idoneità a dar vita al “nuovo” - che, appunto, sono proprie delle opere di completo restauro ed integrale ristrutturazione, onde non possono essere assimilati all'una o all'altra fattispecie, conseguendone che gli interventi di manutenzione straordinaria, i quali non danno luogo alla facoltà di recesso, pur consistendo, in genere, in opere di una certa consistenza dirette a rinnovare e sostituire parti anche strutturali dell'immobile, si concretano in un'attività edilizia di conservazione, che non comporta una modificazione ontologica di risultato rispetto a ciò che preesisteva, né, in relazione all'estensione dell'intervento, una diversità qualitativa dell'immobile.
Completando l'analisi, l'art. 29 consente, altresì, di denegare il rinnovo, alla lett. c), qualora il locatore intenda eseguire sull'immobile un intervento sulla base di un “programma pluriennale di attuazione ai sensi delle leggi vigenti”, nonché, alla lett. d), nel caso in cui intenda ristrutturare l'immobile per adeguarlo alle previsioni della normativa di settore in tema di distribuzione, richiamando, a tal fine, l'art. 12 della l. n. 426/1971, oggi abrogata in forza dell'art. 26, comma 6, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, sulla riforma della disciplina del commercio (c.d. decreto Bersani).