La sentenza della Cassazione è pienamente conforme alla consolidata impostazione giurisprudenziale in tema di modalità di nomina del difensore dell'ente indagato ed in relazione alle conseguenze riscontrabili nel caso in cui tale nomina provenga dall'amministratore della società a sua volta indagato per il reato presupposto. In tale ipotesi, come detto, la nomina deve ritenersi nulla e quindi all'ente, a pena di nullità dei successivi atti, va nominato difensore di ufficio.
In tale circostanza, l'inefficacia della nomina del difensore di fiducia dipende dalla presunzione di incompatibilità che in questo caso sussiste fra l'ente collettivo ed il suo rappresentante legale, il quale essendo indagato o imputato per un illecito da cui deriva la responsabilità della persona giuridica presso cui egli stesso operava, si ritiene versare - con presunzione assoluta ed insuscettibile di prova in senso contrario - in una situazione di conflitto di interessi, che lo rende inidoneo ad esercitare qualsiasi facoltà difensiva per conto dell'ente. Ciò comporta quindi che, laddove il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto abbia provveduto alla nomina del difensore di fiducia dell'ente, tale nomina è da ritenersi priva di qualsiasi efficacia ed eventuali istanze vanno qualificate come inammissibili.
Si ricorda, a quest'ultimo proposito, che l'ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo, ma la partecipazione dell'ente al procedimento è subordinata alla sua costituzione in giudizio, vale a dire alla manifesta espressione della sua volontà di prendervi parte mediante una dichiarazione scritta che, a pena di inammissibilità, deve contenere specifiche indicazioni secondo quanto previsto dal citato art. 39. La mancata osservanza del disposto di cui all'art. 39 determina la mancata costituzione dell'ente in giudizio e la conseguente inammissibilità per le iniziative difensive in assenza della preventiva costituzione, salvo che si versi in una situazione in cui sarebbe impossibile rispettare le prescrizioni dell'art. 39 citato come avviene negli atti c.d. a sorpresa o comunque caratterizzati da rapidità e urgenza nella rispettiva esecuzione, con riferimento soprattutto alla fase iniziale del procedimento nella quale l'ente non ha avuto, a volte, neppure sentore della pendenza delle indagini a proprio carico o comunque l'ha avuto in termini tali da non consentirgli di fatto il ricorso alla procedura ex art. 39 in tempo utile per l'esercizio delle facoltà di reazione (Cass. pen., sez. un., 28 maggio 2015, n. 15249).
Di regola la valutazione circa il ricorrere di una tale circostanza è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito ma vi è un'ipotesi in cui al giudicante è preclusa questa facoltà di giudizio dovendosi senz'altro escludere che ricorra una situazione in cui per la persona giuridica è impossibile rispettare il precetto di cui all'art. 39 d.lgs. n. 231/2001 e ciò si verifica nel caso considerato dall'art. 57 del decreto n. 231 ossia dalla norma che stabilisce che l'informazione di garanzia inviata all'ente contiene, tra l'altro, l'avvertimento che, per partecipare al procedimento, deve depositare la dichiarazione di cui all'art. 39, comma 2 (Cass. pen., sez. VI, 26 febbraio 2019, n. 15329).
L'art. 57 in parola, infatti, vale a rendere tracciabile la situazione procedimentale a partire dalla quale l'urgenza della reazione difensiva non può più prevalere sull'area della operatività dell'art. 39 citato, il quale torna così a presidiare con le proprie regole l'incedere della fase. In tutti i frangenti e i segmenti procedimentali che seguono l'informazione di garanzia contenente l'avvertimento della necessità della costituzione per partecipare al procedimento, il mancato esercizio di tale onere deve essere ritenuto come una precisa opzione processuale che vale a incidere negativamente, travolgendola ex lege, anche sulla legittimazione del difensore di fiducia, i cui poteri restano incapaci di produrre effetti procedimentali.
Accanto a tali considerazioni, poi deve aggiungersi che se il rappresentante dell'ente che versi nella condizione descritta dall'art. 39, comma 1 (ovvero sia indagato per il reato presupposto della responsabilità della società da lui amministrata), ciononostante procedesse alla nomina del difensore di fiducia dell'ente indagato, si tratterebbe di un atto sospettato - per definizione legislativa - di essere produttivo di effetti potenzialmente dannosi sul piano delle scelte strategiche della difesa dell'ente che potrebbero trovarsi in rotta di collisione con divergenti strategie della difesa del legale rappresentante indagato e il giudice investito dell'atto propulsivo della difesa così officiata non potrebbe esimersi dal sindacare tale condizione sotto il profilo della ammissibilità dell'atto. In altri termini, non si pone qui il problema dell'intervento (e delle sue modalità) del giudice su una scelta fiduciaria legittimamente effettuata dall'interessato, ma della ratifica, da parte del giudice, di una qualificazione di incompatibilità del rappresentante dell'ente che il legislatore stesso ha effettuato e quindi di rilevazione di un difetto di legittimazione alla nomina con la conseguenza che deve considerarsi inammissibile, per difetto di legittimazione rilevabile di ufficio ai sensi dell'art. 591, comma 1, lett. a), c.p.p., l'impugnazione presentata dal difensore dell'ente nominato dal rappresentante che è imputato o indagato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo.